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Wayne Shorter: The Complete Columbia Albums Collection

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Wayne Shorter: The Complete Columbia Albums Collection
Ci sono operazioni discografiche che, al di là dello stretto valore musicale, raccontano assai bene una fetta della nostra storia, più o meno recente. Un buon esempio viene dalla Complete Columbia Albums Collection di Wayne Shorter, cofanetto contenente sei CD che spaziano dall'esordio dei Weather Report al disco Joy Rider del 1988 che chiude il trittico solista post-Report.

Si tratta infatti di un periodo che, visto retrospettivamente, sembrerebbe appartenere - specialmente per quanto riguarda i lavori a proprio nome - a un momento poco significativo della carriera di Shorter, ma si tratta anche del medesimo periodo in cui una larga fetta di ascoltatori di jazz, oggi tra i quaranta e i cinquanta, si è formata e aveva questi suoni come, sebbene discussa, contemporaneità.

Non sarà necessario ricordare come il sassofonista e compositore giunge agli anni Sessanta: emerso in un quindicennio, il precedente, dominato dalle figure di John Coltrane e di Sonny Rollins, Shorter si rivela sia negli Art Blakey Jazz Messengers che nel mirabolante quintetto di Miles Davis, incidendo anche come leader alcuni splendidi dischi per la Blue Note in cui conferma non solo l'originalità di strumentista, ma soprattutto l'acume di compositore.

Dopo avere partecipato a Bitches Brew e essersi dedicato particolarmente al sax soprano, Shorter forma con Joe Zawinul i Weather Report, band simbolo del jazz elettrico per un buon decennio e qualcosa di più.

Del periodo con i Report il cofanetto riporta, nei primi due dischi, solo le composizioni firmate esclusivamente dal sassofonista, operazione che garantisce certamente una piacevole raccolta, ma che priva la musica dei Weather Report di quella dialettica interna - non sempre bilanciatissima, tra l'altro - con la concezione del compagno Zawinul.

Posta quindi la natura "sghemba" di questi due CD, è comunque un piacere riascoltare tracce storiche come "Eurydice," "Three Clowns," "Harlequin," "Palladium" o "Mysterious Traveller," nonché episodi originali come "Manolete" o l'orecchiabile "Pearl on the Half Shell" dal congedo Sportin' Life.

Il terzo disco del cofanetto è dedicato a Native Dancer, lavoro del 1974 di grande successo e che contribuì notevolmente alla fama del cantautore brasiliano Milton Nascimento. Con classici come "Ponta De Areia" e "Ana Maria," le morbide sonorità elettriche garantite da artisti come Herbie Hancock o Airto Moreira stabilirono allora uno standard di fusion globalizzata che rimase [e ancora rimane] un punto di riferimento per molto smooth jazz.

Rapportato il tutto al periodo, il disco rimane piacevole e il soprano di Shorter - unito alla particolarissima timbrica della voce di Nascimento - disegna linee intriganti attorno a un'idea di esotismo immaginario e pre-globalizzazione.

Con un salto di oltre dieci anni, si giunge quindi al trittico più controverso della carriera di Shorter, un filotto costituito da Atlantis, Phantom Navigator e Joy Rider e che ascoltato di fila oggi rischia di suscitare nell'ascoltatore quel senso di inquietante pesantezza e artificiosità che anche molte tarde pagine del rock progressivo sanno evocare.

I tempi erano quelli della fusion e del grande successo di Herbie Hancock con Future Shock e "Rockit" e Atlantis si apre con una bella glassa di tastiere su cui il soprano del leader piega frasi come un artigiano fili di ferro, veloce e efficace. C'è il tentativo di lavorare sia con strumenti acustici che elettronici e ci sono composizioni che si muovono in modo originale come "The Three Marias" o la dolce title-track, c'è la presenza del pianoforte acustico [lo suona Yaron Gershovsky] e una certa attenzione agli equilibri timbrici che rendono questo lavoro ancora interessante in alcune sue parti.

Le cose vanno decisamente meno bene con i successivi Phantom Navigator e Joy Rider, dischi in cui le cose vengono tagliate un po' col coltello e in cui la pesantezza degli arrangiamenti [sia dal punto di vista ritmico che timbrico] annega tutto in una sorta di brodaglia che di certo non favorisce le idee formali del sassofonista. Non resta dunque che ascoltarli come documento dei tempi [o come madeleine un po' zuccherosa per chi li ha vissuti "in diretta"] e come interessante dimostrazione che un artista può incappare in un lungo periodo buio senza perdere poi in originalità, come ben conferma l'eccellente lavoro di Shorter in quartetto degli ultimi lustri.

In un'interessante analisi di questi ultimi tre dischi uscita in un recente numero della rivista Musica Jazz, il collega Luca Conti cita dapprima il giudizio di Joni Mitchell secondo cui l'artista in quei lavori si nascondeva come dietro una recinzione, per poi accennare a degli stimolanti collegamenti sia con Hancock - ne abbiamo parlato anche noi qui sopra - sia con il lavoro dell'M-Base.

Purtroppo anche queste prospettive non cambiano di molto la sensazione che Shorter non sia stato in grado di dare una "sua" direzione alla musica di quegli album, condividendo scelte produttive nate vecchie e tenendosi dentro, con la proverbiale timidezza, quella complessità di jazzista che non trova ancora il giusto completo riconoscimento nonostante i capolavori disseminati nei decenni.

Personnel

Wayne Shorter
saxophone

Album information

Title: The Complete Columbia Albums Collection | Year Released: 2012 | Record Label: Columbia Records


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