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Stephan Micus - Sette giorni in Tibet

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Basilica S. Vitale - Ravenna - 08.07.2012

Un concerto di Stephan Micus, al pari delle sue incisioni discografiche, rappresenta un'occasione per intraprendere un viaggio interiore alla ricerca della propria spiritualità facendosi trasportare dalla musica. La differenza principale sta nel fatto che dal vivo il musicista è da solo e non può ricorrere agli artifici di studio utilizzando le tecniche di sovraincisione per arricchire e moltiplicare la sua proposta vocale e strumentale.

I suoi concerti non sono molto frequenti (questo era in esclusiva per l'Italia, e solo un'altra data in Norvegia è segnata sul suo calendario di impegni). L'occasione, offerta dal Ravenna Festival, faceva parte di una settimana di eventi, non solo musicali, raccolti sotto il titolo di "Sette giorni in Tibet" per una serie di incontri e confronti tra il misticismo occidentale e quello orientale; da qui anche la scelta del luogo deputato ad alcuni di questi incontri (tra cui il concerto di Micus), ovvero la Basilica di S. Vitale e i suoi giardini.

La convergenza tra Oriente e Occidente ha sempre rappresentato un punto fermo nella musica di Micus, fin dalla scelta degli strumenti, raccolti in gran parte durante i suoi anni di peregrinazioni in Oriente, usati però decontestualizzandoli dalla loro cultura di provenienza. Non sono l'aspetto etnico o la fedeltà filologica a interessare al musicista, e neanche la tecnica strumentale, che spesso stravolge piegandola alle sue esigenze espressive. Quello che cerca Micus è la realizzazione di una musica veramente globale, universale, ottenuta ricercando le radici sonore della spiritualità interiore. Il musicista è quindi l'officiante di un rito ancestrale, e le sue composizioni sono preghiere rivolte all'assoluto e condivise dalla platea, aspetto sottolineato maggiormente dalla sacralità del luogo in cui si è svolto.

Il musicista si è presentato sul piccolo palco preparato nell'abside, nella cornice dei mosaici bizantini, si è seduto nella posizione del loto, e dopo aver brevemente introdotto alcuni degli strumenti che avrebbe suonato nel corso della serata, ha iniziato suonando lo sho, un organo a bocca giapponese composto da 17 canne in bambu. Poi è passato al canto, accompagnandosi con una cetra bavarese, e a una serie di flauti come lo shakuhachi giapponese, utilizzando in alcuni brani degli accompagnamenti di cetra preregistrati. Dopo una breve pausa è ritornato sul palco con un duduk basso (strumento armeno a doppia ancia), e ha proseguito con altri brani per flauto, uno per voce non accompagnata, uno per cetra e voce, terminando con un altro brano per flauto e accompagnamento di cetra e sho (preregistrato). Richiamato per un bis, ha eseguito una breve composizione per due tin whistle suonati da lui contemporaneamente.

Anche nelle limitazioni imposte dal concerto in solo, la musica di Micus rimane intensa e ricca di contenuto, in grado di suscitare emozioni profonde nell'ascoltatore che sappia porsi in sintonia con il suo messaggio, per condividere un'esperienza spirituale fuori del comune.


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