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SMARTFEST – Festival della musica creativa

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Šmartno - Slovenia - 17-18.06.2011

Che l'area di confine tra il Friuli e la Slovenia sia una zona vocata (oltre che al vino) alla musica di ricerca è cosa che chi si interessa di jazz sa bene, non foss'altro che per l'elevato numero di musicisti di alto livello cui ha dato i natali. Ma l'idea-guida di questa prima edizione della Smart Fest (nel Collio sloveno a pochi chilometri da quella Cormons ben nota per il suo Jazz & Wine), messa in atto dal direttore artistico Zlatko Kaucic - percussionista, compositore e didatta, primo jazzista a essere insignito del Prešern Fund Award, la più alta onorificenza nazionale Slovena per meriti culturali - costituisce un passo avanti: superare, dopo i confini nazionali fortunatamente già abbattuti, anche quelli mentali, che limitano la conoscenza reciproca, all'insegna della libera improvvisazione, giustamente identificata come emblema della comunicazione democratica.

Il luogo scelto - Šmartno, parte dell'agglomerato collinare di Brda - era magnifico: un piccolo borgo circondato da mura, immerso nelle vigne e nelle piante da frutto, con vista sulle montagne della Carnia, sul Collio e sulla piana friulana fino a Udine. Un borgo interamente a disposizione di musicisti e appassionati, che lo hanno invaso per due giorni per dar vita a workshop e concerti, organizzati e anche spontanei negli angoli più suggestivi. Sempre all'insegna dell'improvvisazione e con la carismatica e magistrale presenza di Evan Parker, uno dei massimi maestri europei del jazz di ricerca.

La manifestazione, organizzata dalla locale associazione Jota con la collaborazione di Euritmica, responsabile di Udin&Jazz - storica rassegna che ha inserito Smart Fest nel proprio programma come evento collaterale - è iniziata venerdì pomeriggio, con il workshop di improvvisazione orchestrale condotto da Evan Parker, cui hanno preso parte oltre venti musicisti, giovani e meno giovani. In oltre tre ore, una produzione di suoni che Parker ha progressivamente organizzato, trasmettendo ai partecipanti il senso dello stare assieme in libertà, senza perdere rigore e coerenza. A giudicare dalle reazioni di chi vi ha preso parte e del breve concerto del giorno successivo, con eccellenti risultati.

Alle 21,00 sono iniziati i concerti programmati, con il duo del flautista Massimo De Mattia e del chitarrista Denis Biason ad accompagnare la proiezione di filmati d'archivio degli anni '30 (fondo Simonelli) e riprese di famiglia degli anni '50. Documenti di vario genere - vita agricola, propaganda politica e militare, scene di svago e vita sociale - a momenti anche molto coinvolgenti e che la musica improvvisata dal duo, eccellente nei suoni, ha reso incalzanti e arricchito di pathos.

A chiudere la prima serata, nella suggestiva piazzetta appena entro le mura, il trio di Evan Parker, Giovanni Maier e Zlatko Kaucic. I tre, saliti sul palco senza alcun accordo preliminare, hanno improvvisato totalmente quasi un ora di musica sulla base essenziale della reciproca interazione e, soprattutto, della maniacale perizia di ciascuno dei tre nella produzione del suono, spesso attraverso artifici informali altamente creativi e forieri di sorprendenti consonanze. Ne sono stati esempio prima un passaggio nel quale Parker si produceva in colpi d'ancia su toni estremamente soffusi, Maier in una ricerca di sonorità screziate e saltellanti con l'archetto, mentre Kaucic "grattava" con le dita, con abilità da arpista, piatti di plastica e confezioni di uova: può sembrare incredibile, ma la coerenza sonora era totale, cosi come affascinante era l'effetto scenico, poi una ripresa dopo una pausa dinamica, quando ciascuno è ripartito con tecniche informali - sfregamento circolare dell'arco Maier, struscio di spazzole su un tamburello Kaucic, emissione di fiato nel tenore senza note Parker - ma di totale coerenza complessiva, con un incedere lento ma sincronico che ha ricondotto tutto fino a una superba intensità. Potenza di un'attenzione straordinaria per l'ascolto del suono reciproco e della ricerca del creativo sviluppo progressivo del discorso musicale.

Il sabato è iniziato con una tavola rotonda sull'idea-guida del festival, alla quale hanno partecipato musicisti, critici e giornalisti sia italiani che sloveni. L'idea di una cooperazione tra musicisti delle due nazioni e l'ideale costruzione di una comunità che possa avvalersi dell'arte del dialogo in musica per costruire anche in altri ambiti sociali qualcosa di alternativo alla appiattita e impoverita cultura dominante è, pur nelle differenze di sguardo, emersa come una necessità da tutti condivisa. Accanto alle purtroppo note considerazioni critiche riguardo la scarsa attenzione dedicata da istituzioni, organizzatori e pubblico per la musica di ricerca, si è anche cercato di capire in che misura ciò dipenda anche da chi di questa musica è appassionato o autore, ad esempio perché non riesce a comunicarne l'importanza a chi non la conosca, o a offrire a chi non la capisca adeguati strumenti ed esperienza per apprezzarla. Tra le proposte costruttive, è stata avanzata l'idea di affiancare alla musica altre forme d'arte - cinema, pittura, fumetto, letteratura, ecc. - di più immediata recepibilità, la creazione di una più coesa rete di relazione tra coloro che si occupano di questa musica per unire gli sforzi creativi nella direzione della sua valorizzazione d'immagine, un impiego sistematico e organizzato di Internet per focalizzare l'attenzione del pubblico, un'azione più determinata per far sì che le rassegne jazzistiche dedichino regolarmente almeno dei piccoli spazi alle produzioni di ricerca, così da "gettare dei semi" nel campo degli ascoltatori del jazz più tradizionale (anche alla luce del fatto che, le poche volte in cui ciò è avvenuto, la risposta del pubblico è stata tutt'altro che fredda) e infine l'invito ai musicisti a essere meno chiusi nel loro recinto e a proporre con più continuità e coraggio le loro idee radicali. Al termine, pur tra qualche immancabile frustrazione, se ne è usciti anche con molto entusiasmo per le prossime edizioni di Smart Fest.

Nel primo pomeriggio, dopo una breve ripresa del workshop di Parker - rapidamente conclusosi per la soddisfazione del Maestro dei risultati ottenuti e con il rinvio al concerto della sera - sono iniziati i concerti "informali," perlopiù di allievi di Kaucic, in un caso con la partecipazione anche al clarinetto contrabbasso di Ugo Boscain, presente per il workshop di Parker. Musica fatta di vibrazioni, suoni, rumori, legati all'istante dalle sensazioni dei musicisti. Frequente la presenza creativa di elaborazioni al computer.

Nel tardo pomeriggio, apprezzato concerto in duo di Massimo De Mattia e del percussionista e vocalist Luca Grizzo, poi un improvvisazione per due contrabbassi di Giovanni Maier e Još Drašler, prima dell'esibizione dell'orchestra del workshop.

La conclusione del festival è stata poi affidata a una proposta meno radicale, ma pur sempre libera, in quanto spaziante su territori musicali assai diversificati: I Diavoli Rossi, ultimo progetto del pianista e compositore Claudio Cojaniz alla prima uscita dal vivo, che vede all'opera 19 elementi (ma nell'occasione tre erano assenti), impegnati su musiche originali attingenti al free e alla musica etnica, alle orchestre popolari e a quelle sudafricane, alla lirica e a Duke Ellington. Nonostante sia apparso un po' sacrificato dall'acustica (per timore della pioggia il concerto è stato fatto al chiuso), il gruppo ha messo in luce un'impressionante vitalità e una grande gioia di suonare assieme, oltre una pirotecnica quantità di cambi di atmosfera e alcune strepitose individualità. Su tutti, la cantante Alessandra Franco, dalle formidabili capacità vocali ma anche dalla grande presenza scenico-interpretativa, che ha spesso dato corpo ai Diavoli cui è dedicato il gruppo con le sue portentose vocalizzazioni. Belli i duetti delle due trombe (Flavio Davanzo e Mirko Cisillino) e di chitarra elettrica e armonica (Jimi Barbini e Gianni Massarutto), notevoli gli assolo di Clarissa Durizzotto (clarinetto), Michele Troncon (vibrafono), Tony Costantini (trombone). E impagabile Cojaniz con la sua direzione informale e ludica. Un finale popolare e festoso, con un bis che era una sorta di satira della Carmen di Bizet, dimostrazione che libertà è anche mescolare adeguatamente i generi: forse proprio da questa strada antitalebana può passare il tentativo di tornare a rendere popolare anche la musica più libera e di ricerca.

Foto di Ziga Koritnik.


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