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Pharoah & the Underground
ByTeatro Manzoni - Milano - 15.01.2012
Non è nuovo Rob Mazurek alle ospitate eccellenti. Il cornettista di Chicago i padri li ha sempre vezzeggiati e coccolati. Basti pensare alle comparsate dei vari Fred Anderson, Roscoe Mitchell e Bill Dixon nella Exploding Star Orchestra: solo dal vivo i primi due, pure su disco il trombettista scomparso nel giugno del 2010. Dunque non stupisce che a Mazurek sia venuto in mente di cucire addosso un progetto a Pharoah Sanders; progetto varato in Brasile, a San Paolo, qualche mese fa, con un paio di concerti al ministero della Cultura, e ripresentato ora in Italia - per la prima europea, la seconda mondiale - grazie alle larghe vedute e alle scelte sempre oculate (e sempre premiate dal tutto esaurito) di «Aperitivo in concerto».
Sul palco, con il leader e l'ormai canuto figlioccio di Coltrane («Trane was the Father, Pharoah was the Son, I am the Holy Ghost», diceva Ayler), una sorta di creatura mutante, un ibrido tra il São Paulo e il Chicago Underground, con Mauricio Takara alla batteria, percussioni, elettronica e cavaquinho (la chitarrina brasiliana), Guilherme Granado alle tastiere varie ed effettistica assortita e Chad Taylor alla batteria. Collante e catalizzatore, il fido basso elettrico di Matthew Lux, artista che del pensiero musicale di Mazurek rappresenta una sorta di estensione, compagno di suonate fin dai tempi degli Isotope 217 e oggi al suo fianco nell'Exploding Star e nel quintetto Sound Is (ma anche nell'ultimo São Paulo).
Creatura inedita e mutante, si diceva, ma dannatamente coesa ed efficace. Un treno in corsa, dotato di una propulsione ritmica pazzesca, che scaturisce da un mix altamente esplosivo di afflati tropicalisti e inevitabili richiami alla terra madre Chicago. Chi ha voglia di tirare in ballo il post-rock lo faccia pure, ma ci sarebbe da fare pure un discorso articolato sul retaggio dell'Arkestra e sui link con i combo di piccole dimensioni guidati da Sun Ra (su tutti il meraviglioso quartetto con John Gilmore, Michael Ray e Luqman Ali). Senza dimenticare il gusto per gli squarci psichedelici, nei quali emerge il carattere pulviscolare della musica di Mazurek. E in tal senso lo sfrigolio dell'elettronica, mai gratuito o decorativo, costituisce un elemento centrale nella poetica del Chicago-São Paulo Underground. Il tutto all'interno di strutture all'apparenza semplici, con i brani spesso imperniati su un ostinato a presa rapida (scandito dal basso, dalle tastiere, ma anche dal cavaquinho) o su temi cantabili, danzerecci, terreno ideale per le spire tracciate dalla cornetta sinuosa e guizzante di Mazurek.
E Pharoah? Già, e Pharoah? Diciamo che il vecchio leone sul treno in corsa è salito da passeggero, scegliendosi un posto in prima classe accanto al finestrino. Di tanto in tanto ha dialogato coi compagni di viaggio, mentre in altri momenti è sembrato assorto a fissare il paesaggio che gli scorreva davanti agli occhi. Non a disagio, certo, e nemmeno fuori luogo. Però, bisogna ammetterlo, tutt'altro che decisivo nelle dinamiche del gruppo. Un paio di zampate di classe, qualche scambio di vedute con la cornetta di Mazurek, gli immancabili balletti. Un po' poco? Forse; ma quando sei Pharoah Sanders ti puoi permettere questo e altro.
Foto di Roberto Cifarelli.
Ulteriori immagini della serata sono disponibili nella galleria fotografica
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