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Paolo Fresu - Claudio Astronio
Bologna
02.04.2014
Fra le iniziative culturali organizzate all'ex Oratorio di San Filippo Neri direttamente dalla Fondazione del Monte, proprietaria dell'immobile a suo tempo restaurato con oculatezza, s'inseriscono i concerti tesi a valorizzare l'organo, ricostruito filologicamente intorno al 2000, sotto la guida di Luigi Ferdinando Tagliavini, restituendo le caratteristiche dell'originale organo settecentesco. Appunto su questo strumento, come All About Jazz non ha mancato di documentare, nell'ottobre scorso Omar Sosa ebbe modo di suonare per la prima volta in assoluto un organo antico.
Non è stata invece la prima volta che Paolo Fresu ha dialogato con Claudio Astronio, organista, clavicembalista e direttore d'orchestra, che alla musica barocca, di cui è interprete di assoluto rilievo, non disdegna di accostare esperienze di musica contemporanea. I due si erano infatti già esibiti in duo alcuni anni fa a Pisogne sul lago d'Iseo.
Il repertorio è stato estremamente vario, tanto apparentemente disomogeneo quanto nella realtà strettamente concordante: fra composizioni di musica barocca (di Claudio Monteverdi, Tarquinio Merula, Henry Purcell...) si sono inseriti un tema di Philip Glass e brani originali dei rispettivi interpreti. Ognuno di essi, alternandosi nel ruolo principale, ha potuto usufruire anche di spazi d'esposizione solistica. Di Astronio si sono potuti apprezzare l'elegante e austero piglio della diteggiatura, la sapienza armonica e la mobilità delle dinamiche. Come in altre occasioni, il trombettista sardo ha dimostrato di sentirsi perfettamente a suo agio con qualsiasi repertorio, riuscendo a piegarlo a una sua personale sensibilità, a una sua pronuncia contraddistinta da spontanea naturalezza, da intima e semplice poesia, da una comunicativa umana e rilassata. L'impressione complessiva che ne è risultata è stata quella di assistere a un concerto di musica classica, dalle atmosfere pacate e avvolgenti, senza trasgressioni (non sono parsi tali nemmeno i passaggi più eccentrici e tangenziali in cui la strumentazione elettronica ha filtrato la tromba o il flicorno di Fresu).
Nella performance una componente importante hanno rappresentato le sorprese sceniche, ormai immancabili quando Fresu si trova ad esibirsi in spazi anomali: una modalità comportamentale che da un lato risponde all'esigenza di relazionarsi fisicamente con l'ambiente, sondando il variare delle sue qualità acustiche, dall'altro tende a coinvolgere maggiormente il pubblico. Fra giochi di luce e una suggestiva penombra, nell'ex Oratorio il trombettista ha occupato il palco centrale (collocato al posto dell'altare maggiore) solo in alcuni brani; si è affacciato inaspettatamente invece in un'alta apertura laterale sull'abside, è comparso sulla balconata dell'organo al fianco del partner, o su quella specularmente opposta, in alto a metà della navata, ha deambulato in platea fra il pubblico nei momenti di raccordo fisico-musicali.
In pratica ne è risultata una musica quasi totalmente acustica, dalla dimensione cameristica, che ha sfruttato le opportunità della sala: quando sul palco Fresu ha usato il microfono, lo ha fatto non per amplificare il suono ma unicamente per raddoppiarlo o arricchirlo con l'aiuto dell'elettronica. Comunque l'equilibrio acustico fra i due strumenti si è rivelato sempre ottimale, senza che uno sovrastasse l'altro: le armonie risonanti e vibranti dell'organo si sono integrate con il sound pieno e morbido degli ottoni di Fresu.
In questa situazione ambientale, la concentrazione non è stata rotta da interruzioni di sorta, per presentare i brani e nemmeno per applaudire, lasciando così che si snodasse un flusso musicale continuo in una concatenazione naturale e magica di suggestioni. Solo alla fine, dopo un attimo di esitazione, sono scrosciati gli applausi per poi lasciare il posto al bis: la struggente aria "Lascia ch'io pianga" di Händel, in una versione dalle movenze forse troppo cadenzate.
Foto
Daniele Franchi.
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