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Nicola Angelucci

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Solo divertendosi riesci a tirare fuori il meglio sia da te stesso che dalla musica. Quando sul palco non rido c'è qualcosa che non va.
Il giovane batterista e compositore Nicola Angelucci ha da poco pubblicato il suo primo lavoro da leader The First One, alla guida di una band affiatata e legata da un grande rapporto d'amicizia. Il percorso che ha intrapreso per arrivare a questo obiettivo è stao lungo, tra lezioni private, serate di liscio fino alla folgorazione per il jazz. Ci ha raccontato le tappe di questo cammino per la rubrica The Shape of Italian Jazz to Come?

All About Jazz Italia: Raccontaci come è andato il primo incontro con la batteria e come si è sviluppato il tuo percorso di formazione.

Nicola Angelucci: Mio padre aveva una batteria inutilizzata, che fino a qualche anno prima si divertiva a suonare con gli amici nel salotto di casa, ed io all'età di cinque anni e mezzo ho inizato a percuoterla, nel vero senso della parola. Dopo circa un anno il mio formidabile papà mi portò a scuola di musica, nella quale l'insegnante era un certo Alberto Biondi (grande persona, batterista e musicista) al quale tutt'ora sono molto legato. Ho studiato con lui per nove anni dopodiché ho fatto circa tre anni di lezioni con Lorenzo Tucci, che a sua volta era stato allievo di Aberto. Lorenzo allora si era già trasferito a Roma e stava diventando un batterista molto quotato. Tutto questo mentre andavo ancora a scuola, quindi facevo il pendolare Abruzzo-Roma. Finite le scuole superiori mi sono trasferito nella capitale e da lì ho iniziato il mio percorso da musicista professionista.

Non ricordo precisamente il momento in cui è avvenuto il mio incontro con il jazz. Ho iniziato a suonare dal vivo all'età di undici anni circa e suonavo il liscio in duo con un fisarmonicista di tredici anni; suonavamo nei matrimoni, alle comunioni e abbiamo fatto persino due veglioni di capodanno. Da allora sono passato attraverso tantissimi generi musicali tra cui anche il jazz che mi ha colpito particolarmente e al quale mi sono avvicinato sempre di più, fino a che ho capito che sarebbe stato prevalentemente il mio mondo.

AAJ: Quali sono i progetti musicali che stai portando avanti?

N.A.: Suono con il mio gruppo composto da Paolo Recchia, Roberto Tarenzi e Francesco Puglisi, che sono dei musicisti fantastici e - cosa molto importante per me - soprattutto amici. Se si crea un bel rapporto tra i componenti di un gruppo, non solo dal punto di vista musicale, quando si sale sul palco sicuramente la musica sarà migliore. A parte questa situazione, nella quale sono leader e con la quale ho in progetto altre cose molto interessanti che svelerò a breve, faccio il sideman in vari altri progetti, come ad esempio il quartetto di Rosario Bonaccorso, il trio ed il quartetto di Max Ionata, il trio di Paolo Recchia, di Luca Mannutza. Tutte situazioni nelle quali mi sento a mio agio, salgo sul palco ridendo e mi diverto. Questo è molto importante: divertirsi! Solo divertendosi riesci a tirare fuori il meglio sia da te stesso che dalla musica. Quando sul palco non rido c'è qualcosa che non va.

AAJ: Dai brani di The First One, il tuo esordio da leader, si evince una certa predisposizione per i temi articolati, che sviluppano la propria natura in diverse direzioni. È così?

N.A.: Ho la fortuna di amare tutta la musica, fatta bene, con sincerità e con swing. Con quest'ultima parola non intendo dire per forza "suonare in 4" come si dice generalmente o racchiudere il tutto in un periodo storico; lo swing è molto di più, lo devi avere dentro. Paradossalmente parlando puoi suonare anche il liscio con swing. Per questo motivo la mia musica va in diverse direzioni, vado dove alla fine verrà fuori la musica più bella possibile. I temi non credo siano così tanto articolati, forse ritmicamente può esserci qualcosa che a un primo ascolto risulti articolato, però se non si pensa a contare, ma ad ascoltare la musica per com'è senza pensare che ci siano trucchetti e senza aspettarsi chissà cosa, ci si accorgerà che a fine brano molto probabilmente esso rimarrà in mente. Forza della melodia e della semplicità.

AAJ: Difficilmente la tua batteria prende per sé tutta la scena. Cosa si cela dietro questo atteggiamento?

N.A.: Mi piacerebbe molto diventare un grande musicista, non ho detto strumentista, quindi quello che cerco di fare ogni volta che suono è di mettere al primo posto la musica, sempre.

AAJ: Quanto tempo dedichi alla scrittura e in che modo nascono le tue composizioni?

N.A.: Dedico quasi più tempo alla scrittura che allo strumento, mi piace molto comporre e cercare nuove soluzioni. A volte i brani vengono fuori abbastanza rapidamente, altre volte dopo anni. Mi piace molto la melodia (da buon italiano) e se non c'è, molto facilmente archivio quello che sto facendo. Di solito inizio a scivere proprio la melodia e i bassi per poi aggiungere gli accordi, tante volte parto con un riff di basso, in pochissimi casi sono partito dagli accordi per poi scrivere il resto. Ho la fortuna di collaborare con Benny Golson da diversi anni e con lui in concerto suoniamo i suoi brani: "I Remember Clifford," "Alone Come Betty," "Wisper Not," "Stabel Mates" ecc... Standard che ascolto e che amo da sempre. Mi piace molto la scrittura di Golson, è un compositore fantastico, gli ho dedicato anche il brano "For Mr Benny" da The First One.

AAJ: Quali sono gli aspetti sui quali vuoi concentrarti per progredire ulteriormente e i punti di forza del tuo modo di fare musica?

N.A.: Non ci sono aspetti particolari, vorrei continuare a studiare e scrivere musica nel modo migliore possibile. A qualcuno può risultare strano che anche noi batteristi scriviamo brani e magari qualcuno è anche bello. Ecco questa è una cosa che non tanto mi piace e che vorrei smentire, anche noi batteristi lo sappiamo fare.

AAJ: Se accendo il tuo iPod, cosa trovo in play?

N.A.: Puoi trovare di tutto, ascolto tanta musica, tanto jazz. Ascoltare - non sentire - è fondamentale per chi vuole essere un ottimo musicista.

Foto di Giorgio Alto (le prime due) e Davide Susa (la terza).

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