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Le foto di William Claxton alla Fenice

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Se qualcuno non fosse ancora convinto che viviamo nella civiltà dell'immagine, potrebbe fare il simpatico esperimento statistico di verificare su un determinato numero di individui quanti riconoscono Chet Baker da una delle celebri fotografie di William Claxton che lo ritraggono in pose pensose. Poi, tra tutti quelli che l'hanno riconosciuto, verificare quanti hanno mai ascoltato un disco di Chet Baker. La percentuale potrebbe non essere così alta...

Nome classico della fotografia jazz, William Claxton è il protagonista del nuovo evento espositivo che Veneto Jazz ha pensato per il Teatro la Fenice di Venezia, dopo l'esperienza della scorsa estate con i dipinti di Miles Davis.

Inaugurata il 1 giugno, la mostra "Photography is Jazz for the Eye" proseguirà fino al 26 agosto 2007 e presenta al pubblico quaranta fotografie in bianco e nero e alcuni scatti a colori, scelte tra quelle, ben note, dei due libri "Jazz Life" [edito dalla Taschen] e "Young Chet". Il pubblico del jazz, ma non solo, potrà così ritrovare i volti di Duke Ellington, Gerry Mulligan, Bill Evans, Ray Charles, Thelonious Monk e tanti altri, colti sia nel gesto performativo, sia nella loro intimità, obbiettivo che Claxton raggiunse nel suo celebre viaggio attraverso gli stati uniti in compagnia di Joachim Berendt.

A dirci qualcosa in più su questa mostra è la curatrice, Camilla Seibezzi:

All About Jazz: Come nasce questa mostra "Photography is jazz for the eye"?

Camilla Seibezzi: Avevo già curato in precedenza mostre fotografiche, anche se non di argomento jazzistico, per cui quando mi è stato proposto da Veneto Jazz di curare questo progetto, ho accettato con piacere. Conoscevo ovviamente già il lavoro di William Claxton e ancora meglio l'ho conosciuto grazie alla collaborazione del suo manager.

Mi interessava in particolare il modo trasversale di guardare alla fotografia che questa mostra offre, anche in riferimento al rapporto tra immagine e suono che è oggi sempre più presente all'interno delle arti visive e che vediamo già fortemente presente in Claxton.

AAJ: Cosa ti ha colpito in particolare dello sguardo di Claxton?

C.S.: Per quanto siano dei classici del bianco e nero per tecnica e composizione, che rientra nel ritratto, trovo che le fotografie di Claxton vibrino ancora di una forte contemporaneità e il fatto di presentarle in uno spazio come quello del Teatro la Fenice non va intenso come un tentativo di riconversione del luogo - che è ovviamente adibito ad altro per natura - ma ne rappresenta la capacità di produzione a tempo pieno, in un raggio di azione che abbraccia tutte le musiche.

Mi colpisce poi molto l'equilibrio negli elementi dell'immagine, tieni conto che abbiamo scelto quaranta foto su cinquemila, di certo ce ne erano tantissime altre che avrebbero rappresentato altrettanto bene l'arte di Claxton, ma credo che il percorso che il pubblico affronta alla Fenice riesca bene a rendere l'idea della poetica di Claxton.

AAJ: Le foto sono state allestite alle Sale Apollinee su dei vecchi leggii...

C.S.: Quei leggii in ghisa sono una delle pochissime cose che si è salvata dal terribile incendio che ha distrutto la Fenice qualche anno fa e sembrava giusto che degli oggetti così fortemente simbolici "sostenessero" le fotografie... sotto le ceneri il fuoco brucia, così come non c'è stacco tra uomo e musicista.

L'allestimento, curato da Stefania Uberti, vede i leggii disposti in file serrate, come fossero quelli di un'orchestra, così da permettere ai visitatori di vedere spiegarsi i volti e le emozioni uno dopo l'altro.

AAJ: I volti, da sempre al centro dell'attenzione fotografia di Claxton...

C.S.: Il forte potere evocativo delle immagini di Claxton si deve proprio a questo, a questo suo seguire il jazzista non solo nel momento dell'atto performativo, ma soprattutto nella sua vita quotidiana, letta con giochi di luci e ombre straordinari, cogliendo i musicisti nella loro realtà, nelle emozioni al di fuori del palcoscenico.

AAJ: Si parla spesso di spontaneità, ma alcune fotografie, per quanto bellissime [o forse proprio per questo], mi sembrano comunque studiate attentamente e non colte al volo.

C.S.: Claxton seguiva i musicisti molto profondamente e i suoi scatti si possono suddividere in quelli colti durante i concerti o le sedute di registrazione, i ritratti e quelli che nascevano più casualmente. Non c'è dubbio che molte foto abbiano dietro sé una costruzione, ma era solo quella familiarità con la vita di uomini per cui l'adesione tra quotidianità e arte era fortissima che rendeva possibile certi scatti.

L'interesse per la fotografia di jazz è sempre altissimo. Le gallerie che pubblichiamo su AllAboutJazz sono sempre tra le pagine più lette. Con l'avvento del digitale le cose sono molto cambiate. Avendo la possibilità di fare un numero altissimo di scatti durante un concerto, è più facile che qualche scatto riuscito venga fuori. Sono finiti i tempi di Claxton?

Non credo che poi questo cambi molto. Nel senso che il valore delle fotografie di Claxton va al di là della semplice questione tecnica e attiene alla sfera della sensibilità: quello di Claxton è un percorso, la tecnica non viene mai elusa dalla casualità e il tono di intimità che emerge dai ritratti può essere solamente frutto di un lavoro particolare, di un rapporto privilegiato con i soggetti fotografati.

La mostra è aperta tutti i giorni dalle 11 alle 17 [salvo impegni di produzione del teatro] e il biglietto di ingresso varia da 3 a 7 euro. Tutte le informazioni a www.venetojazz.com

Foto di William Claxton, per gentile concessione della Demont Photo Management


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