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La Beat Generation, il Jazz, la Cultura Nera

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Pubblicato sul mensile "Musica Jazz" nell'ottobre 1976, questo è uno dei primi saggi pubblicati in Italia sui rapporti tra letteratura beat e jazz. Da allora il tema è stato abbondantemente analizzato in studi e tesi di laurea e questa ripubblicazione, per gentile concessione dell'autore, ha fondamentalmente valore di documentazione storica.

Recentemente si è molto parlato di beat generation, generalmente per comprendere lo sviluppo storico dei movimenti giovanili degli anni sessanta, che nella generazione dei beats hanno trovato la loro matrice culturale. Non è questa la sede per uno studio del genere e se ce ne occupiamo (insieme ai poeti che fanno capo a quel movimento) è principalmente per i rapporti che essa ha stabilito con le espressioni della cultura neroamericana ed in particolare con il jazz ed i suoi esponenti.

È importante in primo luogo vedere, da una prospettiva sociologica, l'esatto ruolo che assume la generazione beat in una società industriale avanzata come quella americana. Secondo noi, in quel contesto, essa può essere considerata il primo "movimento collettivo di gruppo" emerso dopo la seconda guerra mondiale. Da questa data fino agli inizi degli anni sessanta, la beat generation si caratterizza infatti come il momento più importante in cui la ricerca di nuove dimensioni del possibile può essere effettuata dalle nuove generazioni di bianchi americani, anche se, per ragioni strutturali, è ancora espressa da una élite costretta nell'underground.

La beat generation evidenzia quelli che sono i primi sintomi della contraddizione tipica di ogni società ad alto livello tecnologico, costretta ad aprire spazi nel processo di socializzazione delle nuove generazioni, spazi che si rivelano poi il momento principale di una elaborazione teorico pratica antagonista al sistema stesso. Tutto ciò accade perché le nuove generazioni, con le loro potenzialità innovative non più controllate istituzionalmente, creano nuovi poli ideologici in contrasto con quelli espressi dal sistema dominante, arrivando a costituire un pericolo per la stabilità sociale; questo spiega l'atteggiamento del sistema stesso che, con i suoi meccanismi di difesa, tende a neutralizzare (prima emarginandoli per poi inglobarli nelle sue strutture) tutte le espressioni del dissenso giovanile.

A livello di massa, negli anni cinquanta, al di fuori della beat generation si sviluppano solo "movimenti di aggregato" (mode ecc.) che, come sappiamo dalla teoria sociologica, precedono spesso quelli di gruppo (nel nostro caso rappresentati dai movimenti giovanili del decennio successivo) ma che, non coinvolgendo le appartenenze individuali, non arrivano a rappresentare un serio pericolo per la stabilità sociale.

A1 termine beat generation noi associamo istintivamente la sua espressione artistica, prodotta da quella schiera di poeti che nelle loro pagine hanno rappresentato il malessere esistenziale di una parte della gioventù di quel periodo, una gioventù nata sotto l'incubo della guerra nucleare, in una nazione dominata dalla caccia alle streghe, dal conformismo di massa e dall'isolamento individuale. Sappiamo però che il termine include tutto il fermento e la protesta esistenziale di quegli anni e quindi le varie forme a cui ha dato vita e con le quali si è specializzata.

I movimenti degli hipsters e dei beatniks sono per Norman Mailer le componenti costitutive della beat generation e gli individui che ne fanno parte sono caratterizzati da un diverso modo di agire nella realtà sociale anche se, per usare le stesse parole dello scrittore americano: "(...) share the following general characteristics: marijuana, jazz, not much money, and a community of feeling that society is the prison of the nervous system". (Nota 1). Anche se il beatnik può essere considerato il fratello minore dell'hipster e a differenza di questi non usa eroina e proviene da una classe sociale più elevata, (".., sceglie di non lavorare come una risposta al conformismo dei suoi genitori") (Nota 2) i due movimenti non hanno rigide differenziazioni e si può dire che per un periodo siano coesistiti. A parer nostro i due termini spesso non sono altro che etichette e come tali nascondono il pericolo di creare tipologie che sono poi astrazioni e non esistono nella realtà delle cose.

Le caratteristiche salienti dei beatniks e degli hipsters sono, in vario modo, presenti in entrambi i gruppi a un punto tale che, a volte, si potrebbe anche parlare di beasters o di hipniks o ancora di hipsters divenuti poi beatniks ecc.

Per Kerouac all'interno della generazione beat esistono solo due atteggiamenti, il cool e l'hot. Nella sua famosa intervista a Playboy nel giugno 1959 dice infatti: "(...) Gran parte della confusione riguardo agli hipsters e alla beat generation oggi deriva in genere dal fatto che ci sono due stili diversi di hipsterism: quello freddo (cool) è il saggio laconico e barbuto, che siede davanti a una birra appena iniziata in un locale beat, ha voce bassa e scortese e ragazze nerovestite che non aprono bocca; quello caldo (hot) è il folle dagli occhi scintillanti (innocente e dal cuore aperto), chiacchierone, che corre da un bar all'altro, da una casa all'altra, alla ricerca di tutti, gridando irrequieto, brillo, cercando di far lega con i beat - sotterranei - che l'ignorano. La maggior parte degli artisti della "beat generation" appartiene alla scuola calda (...) In molti casi il miscuglio è al 50 %".

Consapevoli dell'estrema fragilità che comporta una divisione rigida tra gli atteggiamenti presenti all'interno della beat generation, pensiamo sia opportuno vedere i due movimenti in una dimensione dinamica, in cui determinate istanze si interrelano e si sviluppano con successive modificazioni. Dall'hipster degli anni quaranta, il beatnik assimila e porta avanti, a volte fino all'esasperazione, le forme di individualismo anarchico, l'aggressività sempre più rivolta verso sè, l'identificazione con la nuova dimensione che il nero inizia ad assumere nella società USA, l'amore folle per il bebop al quale inizialmente preferiva la musica di Ben Webster o Lester Young.

I caratteri della generazione beat

Vediamo meglio le caratteristiche della generazione beat e il quadro sociale in cui è nata. Per prima cosa è importante notare che, nel dopoguerra, il ghetto della grande metropoli inizia a delinearsi sempre più come il punto di aggregazione delle componenti più esplosive del dissenso interno. Abbiamo già detto che, per la prima volta nella storia dell'America bianca, il dissenso giovanile (anche se in forma ancora elitaria) arriva a rompere i meccanismi di socializzazione posti dal sistema e le potenzialità innovative escono dai canali istituzionali iniziando un processo che porterà all'elaborazione di nuovi valori. Possiamo considerare l'hipster il primo esempio di questa nuova realtà sociale. "E' stata su questa squallida scena - dice Mailer - che un fenomeno è apparso: l'hipster, l'uomo che sa che se la nostra condizione collettiva è di vivere sotto la minaccia di una morte per guerra atomica, una morte relativamente veloce ad opera dello Stato come l'univers concentrationnaire, o di una morte lenta per conformismo, essendo soffocato ogni istinto di creazione e di rivolta (...) se il destino dell'uomo del ventesimo secolo è di vivere con la morte dall'adolescenza fino a una vecchiaia prematura, bene allora l'unica risposta vitale è accettare i termini della morte, vivere con la morte come pericolo immediato, divorziare dalla società, esistere senza radici, imbarcarsi in un viaggio sconosciuto negli imperativi ribelli del proprio essere".

L'hipster si oppone ai valori sui quali è stato socializzato ed una componente della sua violenza è così diretta a distruggere in sè quanto ha assimilato dall'ideologia dominante. I mezzi di cui si serve per liberarsi e sviluppare una propria individualità sono: le droghe, una dimensione anarchica ed, importante per noi, il jazz (quasi esclusivamente il bebop) da lui inteso come l'espressione artistica dove la libertà individuale è dominante ed in cui gli impulsi inconsci hanno la possibilità di emergere in maniera più immediata, essendo meno ostacolati da schemi formali. Ma il jazz, per l'hipster, si pone anche come il mezzo più importante per arrivare ad una identificazione con i modelli esistenziali espressi dal mondo nero. Per la prima volta, forse, in maniera così marcata, il processo di identificazione che fino allora era sempre andato (tranne rarissime eccezioni) dal nero verso il bianco, ora si inverte. Nella sua ricerca di nuovi valori, nuove norme su cui basarsi dopo il rifiuto dei modelli di vita dominanti, il bianco emarginato(si) non poteva che rivolgersi all'unico polo culturalmente ancora vivo nell'America del Nord (la cultura pellerossa è stata, come sappiamo, quasi completamente distrutta) e cioè al mondo nero, che nei ghetti urbani di quegli anni postbellici era in un momento di particolare fermento innovativo.

Non si può comprendere il movimento degli hipsters e in generale di tutta la generazione beat, senza metterlo in relazione allo sviluppo e al nuovo ruolo che il nero iniziava ad assumere nella realtà statunitense e di cui questi giovani bianchi sono stati i primi ad averne la percezione. Dal nero l'hipster (e poi il beatnik) assimila il gergo, vive la sua stessa condizione di continuo pericolo, fa propri molti dei modelli elaborati in quasi tre secoli di condizione subalterna. "Sentendo in ogni fibra del suo essere - dice sempre Mailer - che la vita è guerra, nient'altro che guerra, il negro (pur con delle eccezioni) poté raramente permettersi le inibizioni sofisticate della civiltà, e così fece sua, per sopravvivere, l'arte dei primitivi, visse nell'enorme presente, sempre in attesa delle avventure emozionanti del sabato notte, e accantonò i piaceri intellettuali per i più urgenti piaceri fisici, e nella sua musica diede voce al carattere e alla qualità della sua esistenza, alla sua rabbia come alle infinite variazioni di gioia, lussuria, languore, grugniti, crampi, strette grida e disperazione del suo orgasmo. (...) Così nacque una nuova razza di avventurieri, avventurieri urbani che uscivano di notte come alla deriva in cerca di azione e avevano un codice negro da applicare alle loro gesta. L'hipster aveva assimilato le sinapsi esistenzialiste del negro, e ai fini pratici poteva essere considerato un negro bianco".

Molte delle cose dette per l'hipster possono essere applicate al beatnik per le ragioni già esposte. Usando per un momento quella che potremmo definire la tipologia comune, possiamo dire che il secondo si differenzia dal primo in quanto riesce a filtrare intellettualmente molte cose che nell'hipster sono pura espressione istintuale. Il beatnik è più portato alla poesia, è a suo modo un mistico, una filiazione del bohemien europeo, mentre l'hipster ritrova i suoi connotati nel sottoproletariato nero, nel mondo dei criminali, degli sbandati che errano nei ghetti delle metropoli. Se 1'hipster cerca incessantemente l'azione, il beatnik si trova più a suo agio nella meditazione. Comune a tutti i componenti della generazione beat è comunque la volontà di costituire con i giovani neri gruppi di tipo primario, in risposta, forse, al razzismo semi-ufficiale ed alle condizioni di isolamento offerte dal sistema di vita americano.

Gli scrittori beat e il jazz

I poeti della generazione beat possono dirsi, pur con delle differenze individuali, metà beatniks metà hipsters in quanto hanno assimilato gli atteggiamenti caratteristici dei due movimenti modificandone la misura nel corso degli anni. Di loro preferiamo occuparci esclusivamente per i rapporti che hanno stabilito col jazz e i suoi musicisti e per l'importanza che ciò ha rappresentato nella formazione del loro stile narrativo. Per prima cosa bisogna sottolineare un aspetto della poetica beat che è spesso interpretato in maniera troppo semplicistica. Sappiamo che all'interno di essa il verso non assume la funzione principale di riflettere la realtà ma che, al di là di questo, è esso stesso azione reale e la letteratura come dice Vito Amoruso "...è più che un sostituto, un surrogate della vita: la ricalca immediatamente, freneticamente, è strumentalmente piegata a continuare il ritmo, l'anarchico, caotico, avventuroso, procedere delle vicende, dei sentimenti dell'esperienza vissuta". (Nota 3) Contrariamente a quanto spesso si crede, non esiste una volontà da parte dei poeti beat di usare la poesia come arma per opporsi, con la sua ritmica asimmetrica, a volte violenta, al conformismo del sistema; essa non è un mezzo che tende a un fine, quale che esso sia, ma un fine essa stessa ed il suo strutturarsi in versi è forse un atto rituale che ripropone l'irrequietezza, l'instabilità psicologica che spinge ad andare senza meta e trova un soddisfacimento nell'atto stesso dell'andare.

A questo punto a molti lettori sarà venuto in mente il celebre verso di On The Road dove Dean rivolgendosi a Sal (lo stesso Kerouac) dice: Sal, dobbiamo andare e non fermarci mai finché ron arriviamo Per andare dove, amico? Non lo so, ma dobbiamo andare.

Come nel bebop la melodia si pone in quanto estensione delle parti ritmiche e si caratterizza in un modulo espressivo asimmetrico dove predominano gli arresti, i mutamenti melodici improvvisi e una linea aspra con continue variazioni di intensità, nella poesia e letteratura beat è il ritmo che assume il ruolo dominante. Non possiamo dire in che misura lo stile di questi poeti abbia ricevuto impulsi dal fraseggio bop o quanto ciò che essi hanno affermato sia stato frutto di una teorizzazione successiva; noi siamo propensi a credere che la loro poetica, benché sia sorta inizialmente da un impulso istintuale riproducente la realtà fisica del loro universo, abbia comunque assimilato in misura sempre più cospicua anche dal jazz di quegli anni.

Nel periodo che segue i primi successi, Kerouac pubblica una specie di decalogo della sua "prosa spontanea". È interessante vederne alcune parti. Sotto la voce "Procedimento" egli scrive: "Poichè il tempo è l'essenza della purezza del discorso, il linguaggio è un indisturbato flusso della mente di segrete idee-parole personali, un esprimere (come fanno i musicisti di jazz) il soggetto dell'immagine". E sotto la voce "Metodo": "(...) Non fate periodi che separino frasi-strutture già confuse arbitrariamente da falsi punti e virgola e da timide virgole per lo più inutili, ma servitevi di un energico spacco che separi il respiro retorico (come il musicista di jazz prende fiato tra le varie frasi suonate)".

Anche Gregory Corso rapporta il suo stile poetico a quello del primo jazz moderno: "Quando Bird Parker o Miles Davis suonano un brano di musica comune, sconfinano in altri piccoli suoni personali e non comuni - be,' questo è ciò che avviene con la mia poesia - X Y e Z, chiamatelo automatico - io lo chiamo flusso comune (perché alla partenza le parole sono comuni) che viene intenzionalmente distratto e deviato verso il mio suono personale. Naturalmente molti diranno che una poesia scritta in questo modo è grezza, ecc... - e questo è proprio ciò che voglio essa sia - perché l'ho fatta veramente mia - il che è inevitabilmente qualcosa di nuovo - come tutto il buon jazz spontaneo, la novità è accettabile e attesa - dalla gente scaltra che sta a sentire".

Allen Ginsberg riferendosi all'opera di Kerouac ha parlato di "prosodia bop" e lo stesso Kerouac nella sua prefazione a Mexico City Blues dice: "Voglio essere considerato un poeta jazz che soffia un lungo blues in una jam-session di una domenica pomeriggio. Io attacco 242 chorus: le mie idee variano e talvolta rotolano da chorus a chorus o dalla metà di uno alla metà di quello seguente".

Anche nella prosa di Kerouac le analogie con la tecnica dell'improvvisazione jazzistica sono evidenti; il suo modo di comporre è infatti basato su una serie ininterrotta di variazioni intorno a un tema centrale e queste variazioni sono così elaborate che a volte è difficile ritrovare il periodo principale. Ma, come per il jazz moderno, se si riesce ad assimilare il linguaggio, sarà facile individuare la logica interna e si percepiranno allora quelle che per Kerouac sono gli "spacchi" e come dice Fernanda Pivano " l'intensità del tema centrale sarà solo sottolineata proprio dalle distrazioni, dalle sospensioni, dagli indugi creati dai temi laterali". (Nota 4)

Ma al di là delle analogie stilistiche, il mondo del jazz è presente continuamente nelle pagine di questi poeti; i suoi musicisti sono efficacemente descritti mentre partecipano a delle jam-sessions infuocate e soprattutto nelle pagine di Kerouac (On The Road ne è l'esempio più significativo) essi sono trasfigurati in una dimensione quasi mitica, oggetto di un amore folle e appassionato. Charlie Parker è addirittura divinizzato (Nota 5) e ciò è spiegabile in quanto Bird, con la sua musica ed ancor più con il suo tipo di esistenza diversa e drammatica, agli occhi dei poeti beat ha certamente rappresentato, incarnandolo, il simbolo di un'altra America, diventando per essi un modello di sregolatezza, di energia vitale, di creatività ed intensità emotiva.

Charlie Parker, come i beats è una vittima. L'iperindividualismo e la violenza auto-punitiva sono risposte in negativo alla realtà che lo circonda e lo opprime (diciamo in negativo in quanto gli impulsi aggressivi sono ancora dislocati, non dirigendosi verso i veri obbiettivi che determinano le cause delle frustrazioni). Dicevamo anni fa (Nota 6) che Parker nella sua interiorità trova però il modo di affrontare i problemi di identificazione che hanno assillato per molti decenni i neri, negande così, anche se ad un livello inconscio, il mondo e la cultura bianca. I poeti della "beat generation," nella loro ricerca di modelli esistenziali alternativi, si sono identificati in quelli espressi dalla cultura nera. Ma i beats (qui sta la differenza) non sono l'espressione di una realtà di classe con connotati socio-economici (oltre che razziali) specifici; il loro è un movimento collettivo allo stato nascente ma di tipo particolare in quanto dalla loro condizione non nasce un altro stato del sociale. La beat generation brucia in una esperienza esaltante e drammatica tutte le sue potenzialità innovative non riuscendo a compiere quella che Alberoni ha chiamato una sintesi concreta tra l'ideale che nello stato nascente si rivela ed il mondo quale è.

L'incontro tra la poesia beat ed il jazz avviene in un breve periodo della seconda metà degli anni cinquanta nei piccoli locali di San Francisco e del Greenwich Village a New York. Di questo connubio tra le due arti ci restano alcuni dischi introvabili e il film Fucili degli alberi di Mekas dove le poesie di Kerouac e Ginsberg entrano in simbiosi con le immagini e il commento musicale. L'Urlo dei beats sarà ripreso negli anni sessanta dai movimenti giovanili, ma la cultura nera e il jazz cesseranno, ad eccezione dell'Europa in cui sarà da tramite l'ideologia marxista, di rappresentare per i giovani bianchi un modello di riferimento.

Note

1) Norman Mailer, Advertisements For Myself, G.P. Putnam's Sons, New York, 1959. Ed. ital.: Pubblicità per me stesso, Lerici, Milano 1962. 2) Norman Mailer, op. cit. 3) Vito Amoruso, La letteratura beat americana, Laterza, Bari, 1975. 4) Fernanda Pivano, Introduzione a Jack Kerouac ne I Sotterranei, Feltrinelli, Milano, 1971. 5) Un esempio di ciò è rappresentato dal 241° chorus di Mexico City Blues. vediamo la parte finale da: Poesia degli ultimi americani, Feltrinelli, Milano 1964 (...) Charley Parker, perdonami - Perdonami di non rispondere ai tuoi occhi - Di non avere mostrato Ciò che tu sai inventare Charley Parkcr, prega per me - Prega per me e per tutti Nei Nirvana del tuo cervello Dove ti nascondi, indulgente ed enorme, Non più Charley Parker Ma il segreto nome indicibile Che porta con sé valori Non misurabili da qui In su, giù, est od ovest - - Charley Parker, libera dalla sventura me e tutti. 6) Angelo Leonardi, Da una prospettiva psicoanalitica, Musica Jazz, febbraio 1974


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