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Kip Hanrahan, quando l’arte diventa incesto multimediale
ByMa la ormai pluridecennale parabola artistica di questo geniale artista è troppo complessa per essere ricondotta a schemi così elementari. Infatti nella sua musica le immagini ci sono eccome, così come c’è la poesia, la voglia di rompere le regole, il gusto del mischiare le influenze cubane con il rock, con il jazz, con la musica del mondo. Una sorta di orgia fra componenti che appartengono a mondi e a sistemi anche diversi, che sono fra di loro familiari ma che raramente hanno occasione di compenetrarsi in maniera così completa e profonda. Un incesto multimediale, in altre parole.
Due recenti album pubblicati dall’etichetta di Kip Hanrahan, la raffinata American Clavè, ci offrono due diversi modi di affrontare il matrimonio fra poesia e musica.
Conjure
Bad Mouth
American Clavé (2006)
Valutazione: 4 stelle
Nel primo caso, con il bellissimo album doppio Bad Mouth attribuito ad un ensemble denominato Conjure troviamo la prosecuzione del lavoro già iniziato parecchi anni fa con altri due splendidi album, sotto la stessa sigla Conjure che nasconde in realtà il poeta Ishmael Reed e un manipolo di musicisti che siamo soliti ritrovare alla corte di Kip Hanrahan: David Murray, Leo Nocentelli, Alvin Youngblood Hart, Billy Bang, Fernando Saunders, Anthony Cox, Horacio El Negro Hernandez, Roby Ameen e altri.
Il contesto è quello di un jazz-rock-blues molto speziato, pieno di percussioni e di chitarre che delirano fra wha-wha e distorsori, senza mai perdere di vista il filo conduttore. Non mancano influssi cajun, latini e sudamericani. E belle incursioni in territorio jazzistico che svoltano rapidamente per andare a celebrare il mondo del rhythm and blues. Il tutto al servizio dei testi e della voce di Ishmael Reed, vero protagonista della poesia afro-americana moderna. Una poesia intesa in senso molto moderno, sublimata nei testi dei brani, con quello stile a metà fra il recitativo e il cantato che è diventato decisamente un segno dei tempi, sin da quando i poeti della Beat Generation decisero di sporcarsi le mani con la musica. Testi che profumano di attualità, di sfide sociali, di analisi anticonformiste. Scritti dal punto di vista dell’arte, ma consapevoli che questo non necessariamente deve distaccarsi dal punto di vista della politica e dell’economia.
Piri Thomas
Every Child Is Born a Poet
American Clavé
(2006)
Valutazione: 4 stelle
Nel caso di Every Child Is Born a Poet ci troviamo invece di fronte alla colonna sonora di un documentario girato dal regista Jonathan Robinson sul celebre scrittore-poeta Piri Thomas, un afro-americano di origini portoricane, cresciuto nella Spanish Harlem negli anni trenta, fra problemi di droga, rapine a mano armata e carcere. La sua via di uscita dal bugliolo del mondo è stato il libro autobiografico Down These Mean Strets, dove ha raccontato le sue disavventure di emarginato. Un testo che è diventato uno dei libri più rispettati nell’America multirazziale del ventesimo secolo.
La sua è una poesia di strada, una poesia che racconta il mondo, le emozioni, le vicissitudini di un dropout che è riuscito ad emergere dal fondo del pozzo per diventare un educatore, un maestro, un ausilio consistente e quasi istituzionale per le generazioni più giovani della sua, alle prese con problemi simili, ingigantiti dalla globalizzazione e dalla crescente alienazione della civiltà dello spettacolo e della disuguaglianza sempre più accentuata. Un precursore del rap, se così vogliamo interpretarlo, con la sua capacità di trasformare anche in ritmo le storie durissime che lasciano spazio alla fierezza per le proprie radici.
Il soundtrack mischia brani tratti da altre produzioni di Kip Hanrahan con brani composti appositamente per l’occasione, come commento sonoro per la poesia di Thomas. Anche qui ritroviamo compagni di strada che da sempre sono al fianco di Kip Hanrahan, da Alfredo Triff a Milton Cardona, da Andy Gonzales a JT Lewis, da Roby Ameen a Fernando Saunders, da Chocolate Armenteros a Billy Bang. Ma anche recenti acquisizioni come Stefon Harris e James Zollar.
Piri Thomas recita i suoi testi e si racconta, la musica attorno a lui costruisce un backdrop dove le percussioni si intrecciano coi violini, le lune cubane si immergono nelle acque portoricane, la giungla urbana si frammenta in tanti piccoli paesaggi che riportano alla memoria le immagini ancestrali. E la vita riprende a scorrere.
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