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Intervista a Petra Magoni e Ferruccio Spinetti - Musica Nuda

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Duo particolarissimo e dalla difficile collocazione di genere - suonano di tutto, dal pop al jazz, dalla classica ai brani originali—Petra Magoni, voce, e Ferruccio Spinetti, contrabbasso, in arte Musica Nuda, hanno nei due anni di attività successivi al loro primo disco ottenuto un imprevedibile quanto consistente successo di critica e di pubblico. Adesso, in occasione dell’uscita del secondo disco, Musica Nuda 2, è arrivato il momento di sapere qualcosa di più di loro e del modo in cui hanno iniziato, progettato e portato avanti il loro connubio. Coerentemente al loro progetto musicale - che vive dell’istintivo feeling personale —i due rilasciano interviste solo assieme. Anche se, fortunatamente per gli intervistatori, a differenza che sul palco si esprimono uno alla volta.

All About Jazz: Petra, parlaci anzitutto della tua formazione e della tua biografia artistica, che è piuttosto composita, spaziando dagli studi classici fino alla partecipazione a Sanremo.

Petra Magoni: Gli studi sono quelli necessari per avere una buona preparazione: devi comunque passare da lì. Gli interessi invece sono quelli che ti crei crescendo, con le persone che incontri. Io sono una persona molto curiosa e, piacendomi un po’ tutta la musica come ascoltatrice, mi ci sono anche cimentata come cantante nei vari periodi della mia vita. Visto che la mia idea era di vivere con la musica, quale ragazza di ventidue anni direbbe di no a Sanremo? Certo, adesso ragiono in un altro modo e capisco che andare a Sanremo senza un progetto tuo, alla fine, non serve a niente. Nella musica classica, invece, ho iniziato proprio dalla gavetta, come comparsa, per poi avere anche delle piccole parti, soprattutto nella musica antica, ad esempio nel Rinaldo di Haendel. E in me l’interesse per la musica antica, più che per la lirica, riamane forte - infatti ho inserito nell’ultimo disco proprio un’aria dal Rinaldo - perché la voce vi svolge un ruolo più naturale. Di contro, però, fare solamente la musica antica mi limiterebbe sui versanti rock e improvvisativo, che permettono una interpretazione maggiormente personale: se fai musica classica sei più un esecutore che un vero e proprio interprete, perché ci sono canoni più rigidi. Così, affrontare musiche diverse, inserendo anche brani di musica antica, mi permette di tenere assieme più cose che mi piacciono. E anche di essere più libera, utilizzando la voce in modi che per determinati canoni classici può essere “sbagliato”, ma che invece servono a sottolineare aspetti del testo della canzone e ad interpretarlo in modo più personale.

AAJ: Certo, è un operazione interessante e molto apprezzabile, anche quando condotta proprio su arie come “Lascia ch’io pianga” del Rinaldo, che poi alla fine fa la sua bella figura in mezzo alle altre canzoni del disco.

P.M.: Credo sia dovuto al fatto che, in fondo, quelle erano le “canzoni” dell’epoca, i loro standard, così come sono nostri standard brani come “La canzone del sole” (noi abbiamo standard diversi dagli americani!). Il progetto di Musica Nuda consiste proprio nel rileggere ogni tipo di standard che possa piacerci, con una formazione per sola voce e contrabbasso, che ci dà una libertà maggiore di quella che potrebbe esserci in un gruppo più complesso, o perfino in un duo per voce e pianoforte, con il quale sarebbe più difficile trovare un equilibrio in situazioni continuamente diverse. Con il contrabbasso e la voce, invece, anche nel caso di brani antichi c’è una eco della tradizione della voce accompagnata dal basso continuo, che permette di fornire una versione moderna del brano antico.

AAJ: Haendel è davvero rappresentativo di questa tradizione: molte delle sue opere sono veri e propri “montaggi” di “canzoni”; per cui la riproposizione in queste forme è in realtà ben lungi dall’essere uno snaturamento, ma può davvero essere considerata una riattualizzazione di una modalità che ha quattro secoli di vita.

P.M.: Sì, infatti non è detto che in futuro non affrontiamo anche in modo più sistematico la musica antica. Ad esempio, a fine settembre dobbiamo andare a suonare, come outsider, ad un festival di musica classica a Poitier, in Francia. In quell’occasione faremo un programma che conterrà più brani classici - ho già in mente una splendida aria di Bach che amo molto! Però, resta il fatto che se facessi solo questo mi sentirei un po’ limitata, e anche che se volessi frequentare con più continuità la musica classica dovrei riprendere con più assiduità anche lo studio e l’esercizio specificamente necessario per quel repertorio, cosa che oggi non avrei neppure il tempo per fare.

AAJ: Torniamo alla specificità dell’organico voce/contrabbasso, particolare e un po’ atipico, sebbene non esattamente “unico”, dato che qualche caso si dà…

P.M.: ... però in ambito esclusivamente jazz!

AAJ: Giusta precisazione, dato che tu e Ferruccio Spinetti non vi collocate neppure nell’ambito propriamente jazzistico.

P.M.: No, noi ci siamo semplicemente messi a suonare quel che ci piaceva. E abbiamo scoperto di avere gusti e background simili: anche Ferruccio viene da studi classici, ha fatto il conservatorio ed è anche diplomato, ma al tempo stesso è però molto curioso, ed anche le nostre preferenze musicali collimano. Francamente, quando abbiamo iniziato non ci saremmo mai immaginati di arrivare dove siamo adesso, con il successo in Francia, tutte le date delle tournée, il pubblico sempre molto abbondante... Tre anni fa, se ce lo avessero pronosticato, non ci avremmo mai creduto!

AAJ: Un incontro nato per caso e sulla base di gusti comuni, dunque?

P.M.: Esattamente! Non è vero, Ferruccio?

Ferruccio Spinetti: Sì, è vero. Perché, come diceva Petra, effettivamente anch’io sono molto curioso e, anche quando facevo il conservatorio, ho sempre suonato un po’ di tutto - forse escluso solo l’Heavy Metal! Poi è stata ovviamente importante la mia esperienza con gli Avion Travel, nei quali suono ormai da sedici anni e che mi ha dato tanto: abbiamo fatto innumerevoli concerti e parecchi dischi. Con Petra l’incontro è nato sul palco, e questa è una cosa molta bella! Eravamo stati invitati nelle Marche da un amico comune, assieme ad altri musicisti per una serata di “carta bianca” e, per caso, suonammo in duo, con molto piacere. Così, visto che lei vive a Pisa e io vicino a Siena, decidemmo di rivederci. Poi - altra casualità - una sera lei aveva in programma un concerto con un chitarrista che si ammalò e quindi mi chiamò per provare a fare una serata assieme. In quella sola occasione mettemmo su più di trenta brani e ci rendemmo subito conto che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Per spiegare cose come questa è inevitabile parlare di forme di “alchimia” tra le persone, perché è certo che né io con un’altra cantante, né Petra con un altro contrabbassista, saremmo riusciti ad avere gli stessi risultati.

AAJ: Il contrabbasso è uno strumento molto particolare, spesso forse anche sottovalutato, che ha molti modi di essere interpretato. Tu come lo fai?

F.S.: Sicuramente con Petra posso suonarlo danno fondo a tutta la mia fantasia, liberando tutta la mia follia - così come, invece, non posso fare con un trio, con gli Avion Travel, o con il quintetto di Stefano Bollani. Però è anche vero che cerco sempre di non esasperare troppo gli aspetti sperimentali dello strumento, anzi, di essere molto semplice. Inoltre, paradossalmente, amo molto il silenzio, per cui mi piace lasciare spesso delle pause molto lunghe, che fanno parte della mia concezione della musica. Poi uso anche molto l’arco, alternandolo al pizzicato, e cerco di usare le molte possibilità dello strumento.

AAJ: Il repertorio è basato su ciò che vi sta a cuore. Come lo sviluppate?

F.S.: Di quando in quando ci presentiamo reciprocamente dei brani che a uno di noi piacerebbe suonare, e lo proviamo. L’unico metro di valutazione è l’esecuzione: se dopo cinque minuti non troviamo una chiave interpretativa, lo abbandoniamo subito. Ma devo dire che ci è capitato molto di rado, perché di solito quando uno di noi propone un brano vuol dire che ha già in mente un’idea di come possa andare avanti. Questo spiega anche l’apparente “schizofrenia” del repertorio, che va da Battisti a Monteverdi e, nell’ultimo album, include anche brani originali, sia nostri che di amici - come Nicola Stilo e Stefano Bollani - che ci hanno aiutato a inserire cose fatte apposta per noi.

AAJ: Entrambi avete affermato che quel che potete fare assieme non potreste farlo con altri musicisti. La mia sensazione personale è che nel disco appena uscito, la parte che fate da soli - il primo dei due CD - funzioni meglio di quella nella quale collaborate con ospiti. Non che il secondo CD non sia bello, anzi, ci sono eccellenti brani, però è come se ci fosse qualcosa di diverso e che fa perdere una parte dell’identità della musica che siete soliti suonare. Mi colpisce che tutto ciò corrisponda al vostro giudizio di “esclusività artistica” della vostra coppia.

F.S.: Sì, forse è inevitabile, perché l’originalità di Musica Nuda viene per forza a cadere quando si aggiungono altre voci: si trasforma in trio, o quartetto, e perciò diventa qualcosa di diverso e di già noto. Ovvio che se ci sono musicisti di valore, come in questo caso, aggiungono anche cose importanti; però al tempo stesso rendono la proposta meno “unica” di quella per soli contrabbasso e voce.

AAJ: Come lavorate per rileggere i brani - gli standard, come gli ha definiti Petra?

F.S.: Come dicevo, in modo del tutto istintivo: proponiamo i brani, decidiamo gli accordi, poi tutto segue in modo istintivo e naturale. Addirittura ci sono brani, come ad esempio “Come together”, che quando gli abbiamo registrati era forse la prima o la seconda volta che li suonavamo assieme. Questo fa capire l’immediatezza con cui noi affrontiamo i brani. Alla base non c’è uno studio pazzesco di armonie e armonizzazioni o quant’altro. Così, avviene anche che, quando li ripresentiamo in concerto, spesso li suoniamo in modo diverso da prima. L’istinto vince su tutto.

AAJ: Quindi, il “denudamento” della musica è qualcosa che fate istantaneamente assieme, senz’altro lavoro?

F.S.: Esattamente, anche perché, come dicevo, alla base c’è il fatto che siamo in due, per cui non c’è da ritoccare, da dire “tu col contrabbasso non fare quella nota, lasciala alla chitarra”; siamo in due, tutto è semplice e conta soprattutto l’interazione.

AAJ: Per quanto riguarda invece la vostra presenza nel quintetto di Stefano Bollani, “attraversa” la vostra esperienza, o è del tutto indipendente?

F.S.: Lo è dal punto di vista artistico, dato che io sono uno degli elementi del quintetto e Petra è ospite in alcuni brani; poi però capita spessissimo che in un concerto del quintetto Petra salga sul palco e faccia anche brani che non ha registrato sul disco I visionari. Questo credo perché anche Stefano, così come me e Petra, intende il disco come una fotografia di quel che siamo al momento della registrazione, e in questo momento noi siamo molto vicini, suoniamo assieme in vari contesti, che seguitano a intersecarsi e modificano il quadro dei personaggi rispetto a come li ha ritratti la fotografia.

AAJ: Tu Petra cosa pensi del fatto che nel disco la parte migliore sia forse quella in cui siete da soli?

P.M.: Che riflette una cosa molto, molto evidente dal vivo: lì, quando suoniamo in duo siamo come una cosa sola, e quando c’è qualche ospite siamo come noi, un’unità, più l’ospite. Non si tratta solo di una nostra sensazione, ma di una valutazione che ci è stata espressa da molti spettatori. Però, tanti ci avevano detto di suonare anche con musicisti ospiti e abbiamo voluto provare, non a caso distinguendo su due dischi diversi le situazioni musicali - in uno solo noi, nell’altro con gli ospiti. Diciamo che il disco vero e proprio è il primo; il secondo è una sorta di “regalo” che accompagna il “nostro” disco.

AAJ: E infatti fa quest’impressione. Molto bella, peraltro.

P.M.: Si tratta di un’impressione comune, siamo d’accordo anche noi. Nonostante alcuni brani siano bellissimi - ad esempio il primo, dove Stefano suona e canta, o “Anima animale”, di Stilo, che mi piace tantissimo. Però il secondo disco è un’altra cosa.

AAJ: Non per scivolare sul “costume”, ma il tuo sodalizio personale con Stefano Bollani ha influenzato in qualche modo il progetto musicale di Musica Nuda, ad esempio trasmettendo lo spirito eclettico che lo contraddistingue?

P.M.: Stefano con il mio incontro con Ferruccio non c’entra niente, nel senso che ci siamo incontrati attraverso altre persone. Però certo il fatto di stare con Stefano mi ha fatto capire molte cose, senza tante parole, vedendolo lavorare. Ad esempio vedendolo dire di no ad offerte e situazioni, cosa della quale io prima non ero capace. Questo mi ha aiutato a ricercare la mia strada. In più, lui era presente al primo concerto che facemmo a Firenze, in una cappella sconsacrata vicino a Bagno a Ripoli, e fu il primo a dire “dovete fare un disco!”. Noi ci avevamo pensato e rispondemmo “sì, magari più in là”, e lui ci incoraggiò a farlo subito, cosa che poi avvenne: la settimana dopo eravamo in studio a registrare il primo disco. Da questo punto di vista, il suo stimolo è stato importante. Aveva visto subito delle potenzialità, anche in un concerto che conteneva ovvie imprecisioni ed ingenuità. Infine, il vivere insieme facendo lo stesso tipo di attività permette di capire l’uno i problemi dell’altro - anche perché suonare non è solo fare il concerto, che è bello, ma anche passare giornate in macchina, affrontare problematiche organizzative, e via dicendo. Cose che vanno aldilà della musica, purtroppo, ma che devi saper vivere.

AAJ: Mi pare di poter riassumere che il vostro sia un duo molto istintivo, poco “pensato”, fatto con il cuore fin dalla scelta del partner, del repertorio e dell’atteggiamento interpretativo. Emerge in particolare come decisivo il vostro accordo, che esprimete - ed esprime chi vi vede - con le suggestive parole: siete una cosa sola. Puoi descrivere in parole una cosa così affascinante ma, almeno apparentemente, poco spiegabile?

P.M.: Beh, è una cosa anche visiva: siamo tutti e due molto vicini, con il contrabbasso nel mezzo; io utilizzo anche il contrabbasso, lo percuoto, tiro qualche corda; c’è un modo di stare vicini che non sarebbe possibile, ad esempio, con un pianista, che ha uno strumento ingombrante e che impedirebbe questo tipo di relazione. Poi mi hanno anche detto che c’è sul palco un movimento, mio e del contrabbasso, che si armonizza, e dà la sensazione di questa “unità”. Poi…, non lo so!

AAJ: Capisco la difficoltà, è qualcosa che si esprime male in parole, così come del resto si esprime male in parole anche la stessa musica… E chissà che la difficoltà comune non abbia a che fare con l’importanza che la vostra “unità” ha per la vostra musica!

P.M.: Certo, poi musicalmente c’è un’intesa che è esistita fin dall’inizio, un senso del tempo, cose che vanno aldilà della bravura tecnica e che è importante quando si suona in due, dove ciò che conta sopra ogni altra è riuscire ad “andare insieme”. Una cosa che con Ferruccio c’è sempre stata, senza bisogno di parlarne, quasi “magica”. Che è poi quello che mi rende felice del duo con Ferruccio, perché prima avevo fatto tante cose, ero convinta di poter fare delle cose belle, ma fin lì ero sempre stata almeno in parte insoddisfatta. Con Ferruccio ho trovato “la mia cosa”, quella che mi permette di usare la mia voce come voglio, sfruttando sfumature che con altre formazioni forse non sarebbero neppure percepibili, come usare i respiri, cambiare da pianissimo a fortissimo, giocare con le parole, dare spazio al silenzio, confrontare la mia voce acuta con i registri gravi del contrabbasso.

Chi ascolta di solito impiega due o tre pezzi per entrare in questo mondo sonoro - che è atipico, dato che oggi siamo abituati a sentire musica dappertutto e, proprio per questo, a trascurare le sfumature e i silenzi. Poi però, dopo un po’, il pubblico si abitua e, alla fine, ci dice di non aver sentito la mancanza di ciò che non c’era nella nostra Musica Nuda. È chiaro che siamo aiutati dal fatto di fare canzoni molto conosciute, per cui l’ascoltatore può immaginarsi quello che non c’è, può immaginare il riff di chitarra, che non c’è, perché invece c’è nell’originale…

Un’altra cosa che mi piace è che la nostra musica può essere ascoltata a più livelli. Ci si potrebbe fermare al riconoscimento del brano noto - “ah, che bella questa canzone, la conosco!” - che comunque è un piacere e un’emozione. Oppure, se si è ascoltatori più esperti, si può andare a scoprire la reinterpretazione, o quelle sfumature di cui parlavo prima. Comunque, è godibile a più livelli. Ad esempio, c’è chi mi ha detto che per la prima volta aveva capito pienamente il testo di una canzone: è normale, non siamo abituati a farlo, la nostra attenzione è attratta da molte, talvolta troppe sollecitazioni, nell’ascolto di un brano. Qui invece la musica e nuda, si mette meglio a fuoco quel che c’è.

AAJ: Avete avuto un notevole successo, sia con i dischi che con le tournée. Di che entità?

P.M.: Il primo disco, registrato in un pomeriggio e costato meno di mille euro copertina compresa, ad oggi ha venduto tredicimila copie in Italia e quindicimila in Francia; il nuovo, uscito ad aprile, dovrebbe essere adesso sulle diecimila in Italia e sulle dodicimila in Francia. Il DVD è uscito da poco, fine giugno, ma le prime duemila copie sono finite già prima dell’estate. I numeri sono piccoli, ma per il tipo di musica che facciamo sono decisamente buoni. Quanto ai concerti, per fare un esempio, abbiamo avuto venti date a luglio e diciannove ad agosto - ma su venti giorni, perché poi, fortunatamente, siamo anche andati in vacanza! Poi facciamo molte date anche in Francia, a Parigi recentemente abbiamo suonato al festival jazz del Parc Floral, c’erano quasi tremila persone e ci hanno fatto una standing ovation… ma in Francia sono più disponibili alle standig ovation, si alzano più spesso!

AAJ: Come ti spieghi questo particolare successo in Francia?

P.M.: In parte perché credo che anche loro, come noi, siano un po’ esterofili… In parte perché là c’è un po’ più di tradizione all’ascolto di musiche “diverse” di quanto non accada da noi, cosa che ha probabilmente fatto comprendere che anche la musica “non commerciale” può essere “commerciale”, ovvero che anche con le musiche diverse è possibile creare dei circuiti, organizzare concerti, farli conoscere e avere un pubblico. C’è poi anche un altro fenomeno, legato alla vendita nei negozi, nei quali in “disco in ascolto” non è un servizio pagato dal produttore o dal musicista, ma è a discrezione del responsabile, così che, se a lui piacciono, i dischi possono stare in ascolto più a lungo di quanto potrebbe permettersi di pagare un’etichetta che non sia una major o un musicista di nicchia, con la conseguenza di avere una esposizione diversa. Infine, anche le radio trasmettono musica di più generi, mentre qui da noi, se escludi radio Rai, le altre trasmettono tutte la stessa musica.

Comunque, alla fine anche il pubblico italiano, quando ci ascolta, reagisce come quello francese! Che poi, aldilà dei numeri, è la cosa più importante: sentire che stai facendo un viaggio con il pubblico, e che anche lui si diverte come te. D’altronde, il vero lavoro del musicista è suonare dal vivo (non sarebbe neppure possibile vivere con la vendita dei dischi), e la vera soddisfazione te la dà il pubblico che ascolta e apprezza ciò che fai.

Visita i siti di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti

Foto di Claudio Casanova


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