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Intervista a Johannes Tonio Kreusch

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Johannes Tonio Kreusch è un chitarrista che rifiuta i generi e che con disinvoltura passa dal mondo della musica classica a quello dell'improvvisazione. Da Hector Villa Lobos a Markus Stockhausen trova sempre il modo per esprimere se stesso con autorità, allo stesso tempo modesto con chi, musicisti, allievi, giornalisti, si trova con lui a intrattenersi sul tema che gli sta più caro: la Musica.

All About Jazz: I due mondi dell'improvvisazione e della musica classica sembrano stare l'uno di fronte all'altro, senza molta comunicazione. Come colleghi entrambi?

J.T.K.: Per me è stato sempre importante avvicinarmi alla musica in modo sperimentale e così affrontare nuove vie di interpretarla. Dopo molti anni passati a studiare la letteratura classica era arrivato per me il momento di cercare una nuova via. La musica classica viene vista oggi come qualcosa di rigido che non si deve osare toccare e cambiare, mentre in passato l'improvvisazione è stata una parte importante dell'arte di suonare. La musica - da non dimenticare nel periodo della sua riproducibilità meccanica - deve conservare sempre questo suo prendere dal momento in cui è eseguita. La semplice esecuzione di modelli imparati a scuola non porta da nessuna parte. Per questo motivo è per me logico che l'improvvisazione e la composizione siano collegate insieme. Il famoso direttore d'orchestra Nikolaus Harnoncourt ha definito la musica un "discorso di suoni". Anch'io sento il fare musica come un dialogo o un incontro con l'Altro. In un discorso o in un incontro può accadere qualcosa di inaspettato e che non è stato già programmato, così dovrebbe essere anche per la musica. L'improvvisazione offre molte possibilità inaspettate.

AAJ: In che direzione vai, come utilizzi queste possibilità?

J.T.K.: Mi piace la musica di Barney Kessel e Wes Montgomery, l'ho ascoltata a lungo ed intensivamente. Tuttavia, per quanto riguarda il mio lavoro, ho preferito andare in un'altra direzione. Ho fatto molti tour in trio insieme a mio fratello, il pianista Cornelius Claudio Kreusch, con noi c'era il percussionista Jamey Haddad, che suona anche, fra gli altri, con John Scofield e Paul Simon. La nostra musica va verso il genere world/crossover, sono ispirato, per quello che faccio ora, da Egberto Gismonti o Ralph Towner.

Con questo gruppo faccio molti esperimenti, utilizzo accordature diverse ogni volta (scordature) oppure preparo la chitarra con materiali diversi, così che suoni come un altro strumento, un oud, un koto o un'orchestra gamelan. Inoltre utilizzo spesso live-sampling e cambio i tipi di chitarra, ad esemio quella classica, a 12 corde o una steelstring. Suono sempre con strumentisti diversi, per me è importante cercare nuove vie. Se dovessi suonare nella formazione classica con contrabbasso e batteria non lo farei per suonare del jazz tradizionale, ma per provare gli strumenti in un nuovo contesto. Trovo che sia interessante quando si incontrano degli strumenti che di solito non suonano insieme. Per questo motivo ho provato la combinazione di chitarra classica, pianoforte e percussioni, o la combinazione di chitarra e tromba, così come nel duo con Markus Stockhausen. Insieme a mio fratello abbiamo provato il trio con chitarra classica, pianoforte e sassofono, con cui ci ciamo esibiti in alcuni festival.

AAJ: Come sei arrivato al lavoro con Markus Stockhausen?

J.T.K.: Mio fratello Cornelius Claudio ci ha messi insieme. Ha avuto l'idea del disco Panta Rhei (uscita su Oehms Classics), che ha anche prodotto. Cornelius ha intuito che il modo in cui entrambi affrontavamo la musica, l'agire sia nel campo della musica classica che in quello della musica improvvisata ci dava un terreno comune.

AAJ: Cosa fai per ora nel campo della musica classica?

J.T.K.: Sono in tour con il mio programma in solo, che è in parte documentato sul mio nuovo album Crystallization (MusicJustMusic). Suono soltanto la mia musica, tra improvvisazione e composizione. Attraverso preparazioni della chitarra e l'accordatura di singole corde cerco di ampliare i confini dello strumento.

Il concerto non può essere sostituito da alcuna possibilità tecnica. L'esperienza della musica dal vivo non è da paragonare ad una registrazione. Nel concerto ascoltatore e musicista si trovano in un rapporto di scambio, proficuo per entrambi. La registrazione è come una buona copia, che sveglia l'appetito per il resto, ma non ha la forza del concerto dal vivo. In parallelo a questo programma suono anche musica classica, da Bach fino alle composizioni di autori moderni che mi sono dedicate. Inoltre suono molta musica da camera, con mia moglie, che è violinista, e con il tenore della Metropolitan Opera di New York, Anthony Dean Griffey. Con quest'ultimo ci siamo conosciuti durante il periodo in cui studiavo alla Juilliard School, ed è da allora che suoniamo insieme. Lo scorso autunno ha fatto il suo debutto alla Carnegie Hall e mi ha invitato insieme ad André Previn. Per questo concerto ho preparato degli arrangiamenti di composizioni di Aaron Copland insieme a degli spirituals. La chitarra è uno degli strumenti più importanti della musica folk americana, per cui ho avvertito gli arrangiamenti come una specie di ritorno al suono originario. Usando il plettro o il bottle neck sullo strumento classico ho raggiunto degli effetti come di un banjo o di una chitarra slide.

AAJ: Come sei arrivato ad interpretare di nuovo gli studi di Hector Villa Lobos?

J.T.K.: La mia registrazione degli Studi di Villa Lobos (Oehms Classics) è basata su due manoscritti, che per me sono stati come una rivelazione. Ho scoperto che le imprecisioni dell'editore hanno portato a false note che si sono così infiltrate nell'interpretazione di molti chitarristi, addirittura pagine intere dei manoscritti originali sono finite sotto il tappeto. Inoltre le istruzioni per l'esecuzione, agogiche e dinamiche, sono rimaste inosservate. Sono proprio le istruzioni dell'autore ad essere importanti per l'interpretazione di un brano. È come se si potesse dialogare con il compositore sulla sua musica e su come renderla al momento dell'esecuzione. Quando si suonano gli Studi di Villa Lobos secondo il manoscritto suonano in modo diverso, non sono così accademici e dal punto di vista musicale più ricchi, più differenziati l'uno dall'altro. Ci sono varie edizioni dei suoi studi. Si sa che è stato un grande improvvisatore e trovo che lo si noti anche nella sua musica classica. Le tante versioni dimostrano come abbia continuamente lavorato sulla sua musica e di come questa sia stata quasi sottoposta ad aspetti improvvisativi. Forse è proprio questa la ragione per cui ho avuto la sensazione di dare a queste opere una nuova luce. Ovviamente sono contento di avere ricevuto per la mia interpretazione il premio Classica Repertoire in Francia, con la motivazione che la mia incisione è un nuovo punto di riferimento dopo quelle di Juliam Bream e Narciso Yepez.

AAJ: Uno dei tuoi CD precedenti è sulla musica di Cuba, come al solito hai scelto delle vie originali.

J.T.K. Quando lavoro con un compositore, come appunto in questo caso con il cubano Tulio Peramo per Portraits of Cuba (Oehms Classics), non è un processo a senso unico, non chiedo al compositore un pezzo ed aspetto che lo finisca, al contrario, voglio partecipare al processo creativo e lavorare ad una musica che è collegata ad entrambi. Il CD Portraits of Cuba contiene solo dei brani fatti per l'occasione e che sono stati elaborati tramite la collaborazione di entrambi. Lo sottolineo perchè per me è essenziale partecipare al lavoro di composizione. Proprio per quei compositori che non suonano la chitarra è importante avere l'esecutore al proprio fianco durante il lavoro di composizione.

Ho incontrato Tulio Peramo nel 1994 all'Havana durante un festival dedicato alla chitarra. Durante i miei viaggi cerco sempre di informarmi sulla musica del paese che visito e di incontrare i compositori del luogo. In questo modo, ho incontrato spesso delle personalità interessanti, il cui lavoro meriterebbe di essere più conosciuto a livello internazionale.

Quando incontro un compositore la cui musica mi dice qualcosa cerco di capire quali sono i suoi punti di forza e forse pure quelli deboli. Allo stesso tempo esigo che il compositore si confronti con il mio modo di avvicinarsi alla musica, così che entrambi troviamo qualcosa di nuovo. Deve venir fuori un lavoro con cui entrambi ci possiamo identificare! Tulio è un grande conoscitore della musica cubana. Ai miei occhi i suoi migliori lavori sono quelli che sono pervasi dalla tradizione del suo paese. Portraits of Cuba non è solo la musica di Tulio Peramo, ma anche la musica di Cuba! L'idea del titolo mi è venuta in mente pensando al fatto che - invece di portare di ritorno da quel paese cartoline o fotografie - ho portato sempre nuove composizioni di Tulio. Come sottotitolo ho usato New Cuban Music, in quanto Tulio appartiene alla nuova generazione di compositori cubani, i quali si rifanno alle loro radici. Nella sua musica si mischiano le danze di strada ed i ritmi di Cuba con le sue idee. "Fiesta", ad esempio, è su un ritmo di tango-conga, che in questa forma è stato sempre usato durante la rappresentazione di commedie. Per il testo Tulio ha usato il dialetto "Bozal", da lungo dimenticato, che fu parlato dagli schiavi nei secoli diciottessimo e diciannovesimo. Il successo dell'incisione ha reso la sua musica nota fuori dall'isola e ne sono stato molto contento.

AAJ: Cosa cerchi di trasmettere ai tuoi allievi? Come metti insieme i due concetti di improvvisatore ed esecutore nel tuo modo di trasmettere cosa/some suonare la chitarra?

J.T.K.: Ho insegnato a lungo al conservatorio di Monaco di Baviera ed attualmente sono nella Università della stessa città. Dò spesso dei corsi durante festival o presso i conservatori che mi invitano. La prima cosa che cerco di insegnare ai miei allievi è che trovino una propria voce musicale e che abbiano un rapporto creativo con quello che fanno. Inoltre per me è importante che gli studenti diventino, se lo vogliono fare, degli insegnanti motivati: è più importante vedere maturare uno studente in un maestro capace di entusiasmare chi lo segue che farne uno brillante solista che vinca i concorsi. La capacità e la gioia nel trasmettere il proprio lavoro è una premessa importante per un musicista. Attualmente la realtà è che a causa di misure di risparmio nella spesa pubblica chi insegna musica viene pagato sempre peggio: se si vuole che sopravviva una cultura musicale di buon livello ci devono essere molti musicisti, i quali si impegnino che la musica sia avvicinata a tutti gli strati sociali, ricchi e poveri, giovani e vecchi.

Sono dell'opinione che lo studio della musica nei conservatori dovrebbe essere effettuato con una più ampia varietà di informazioni. Si deve trasmettere di più che la semplice padronanza di tasti e corde. Sarebbe importante imparare ad usare la capacità di improvvisazione. Quello che manca in generale è la preparazione a quello che sarà in realtà il mestiere di musicista. Chi ha scelto questo mestiere non lo dovrebbe fare per vanità o con il fine di diventare una star del pubblico. Solo chi si mette al servizio della Musica è in grado di affrontare le prove che lo aspettano. Così come in altri campi della nostra società, anche nella musica la commercializzazione industriale e la standardizzazione sono diventate la prassi. L'individualità viene accettata solo sullo sfondo di una totale autorappresentazione. Bisogna fare qualcosa contro!

Per tutti questi motivi ogni insegnante dovrebbe chiedersi quanto il lavoro sulla tecnica e finalizzato ai concorsi musicali sia poi una vera preparazione alla professione o se gli studenti in questo modo non siano spinti verso un mondo artificiale che ha con la realtà poco a che fare, in cui la maggioranza è destinata a fallire.


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