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Intervista a Duck Baker

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Abbiamo incontrato telefonicamente Duck Baker approfittando di una pausa del tour che lo sta impegnando in una serie di concerti in Inghilterra, paese dove risiede già da qualche anno. La chiacchierata si è svolta direttamente in italiano, lingua che il chitarrista parla correntemente per aver vissuto diversi anni nel nostro paese. Quella che segue ne è la trascrizione quasi fedele.

All About Jazz: Quanto tempo hai vissuto in Italia?

Duck Baker: Ho vissuto circa 4 anni tra il 1981 e il 1985, abitavo a Torino, però - a parte un periodo tra il 1990 e il 1995 - torno spesso. Ora vivo di nuovo in Inghilterra e faccio dei piccoli salti in Italia. Verrei a vivere in Italia di nuovo, magari vediamo più avanti, qui fa troppo freddo.

AAJ: Che ricordi hai del tuo periodo italiano?

D.B.: Ero molto giovane, è stato un periodo della vita particolare, se penso a quel periodo penso parecchio al mio amico Jerry Ricks. Era un uomo di blues nero americano che abitava anche lui a Torino, è morto due anni fa, però abbiamo passato tante cose insieme [ride]. Musicalmentre è stato un periodo intenso perchè mi ero molto concentrato sulla composizione, c'erano anche altri musicisti, ho conosciuto un po' Rava, abitava a Torino in quel tempo.

AAJ: Frequentavi più l'ambiente jazz o quello folk?

D.B.: L'ambiente folk non c'era tanto a Torino, a parte qualche chitarrista, però chiaramente non c'erano i musicisti che facevano musica irlandese a quel livello. Ho conosciuto vagamente dei tipi che facevano musica che mi interessava ascoltare, ma non molto bene. Rava, che ero andato a trovare, mi ha insegnato come suonare un brano di Charlie Parker, "Transformation". Lui suonava la tromba e io ho imparato alla chitarra, quello è stato divertente. Poi c'era un amico che abita ancora lì, Martin Mayes, un pazzo inglese che suona il corno francese nell'orchestra Instabile... ma sai, da Torino io andavo in giro molto per l'Europa, perché suonavo tanto in Germania, quasi sempre folk e poco jazz. Il mondo folk in generale in Europa lo frequento meno, perchè è sempre più per singer-songwriter, o le cose cosiddette contemporanee, mentre a me interessano cose tradizionali. In America invece c'è spazio per la musica acustica, c'è più scena per gli house concerts [concerti tenuti in case o ambienti privati, alla presenza di un pubblico di invitati - N.d.R.], le cose fatte in casa, e questo è interessante, è bello come ambiente. Anch'io ho fatto un paio di questi house concerts con Roswell Rudd. A New York suono più musica free o avanguardia che folk, soprattutto perché non ho avuto molto successo ad organizzare concerti folk. Ma d'altra parte la mia storia in quella città è legata ai vecchi tempi quando andavo a suonare con John Zorn e Eugene Chadbourne, sono entrato nella scena d'avanguardia a New York e più o meno ho continuato con quella scena lì.

AAJ: E' quella rappresentata nel tuo disco Ducks Palace.

D.B.: Sì, il disco Incus, lì ci sono due improvvisazioni con John Zorn e Cyro Baptista registrate alla Knitting Factory 15 anni fa. Quando andavo a New York suonavo lì e al Tonic. Adesso suono qualche volta al club di John [Zorn, N.d.R.], lo Stone, ma mai nei locali dove fanno folk.

AAJ: Torniamo un po' agli inizi della carriera, al periodo Kicking Mule.

D.B.: All'epoca di Kicking Mule ho incontrato un sacco di musicisti interessanti, e cominciavo a girare un po' soprattutto per l'Europa, e questo è stato importante per me. Trovo che il mondo della chitarra acustica ha la tendenza a essere... - si può dire? - ...incestuoso. Nel senso che i chitarristi ascoltano solo altri chitarristi... Se qualcuno chiede "che tipo di musica suoni?," la risposta è "chitarra acustica." Ma questo è uno strumento, non è uno stile di musica! Se i chitarristi chiedono "chi sono i tuoi musicisti preferiti?," e sono, tanto per fare qualche nome, Chet Atkins e tutta quella scuola, oppure John Fahey e la sua scuola, o i chitarristi new age, ma che musica è questa? La musica di Chet Atkins e Merle Travis è un conto, perché a quel punto si può legare alla storia di musica americana, musica country eccetera, però se qualcuno dice io ascolto questo chitarrista e quell'altro e quell'altro non hanno una visione della musica come jazz e blues, non so se mi spiego... io ho conosciuto chitarristi che dicono voglio fare musica irlandese e allora a quel punto ascoltano Pierre Bensusan, ascoltano Dave Evans, Duck Baker e John Renbourn, o al limite Tony McManus, però non ascoltano i violinisti o quelli che suonano la cornamusa o la fisarmonica, eccetera. Hai capito? Anche nel jazz la chitarra è uno strumento meno importante, bisogna ascoltare tutto il jazz, e non solo... un chitarrista di jazz che voglia ascoltare solo Joe Pass, Jim Hall, eccetera, questi sono grandi, però è sciocco non ascoltare anche Thelonious Monk o Bud Powell, Sonny Rollins, John Coltrane... per il jazz, ci sono pochi chitarristi che si possono mettere nel primo piano dei grandi, magari solo Charlie Christian... quando è morto Charlie Christian era tra i musicisti di jazz più avanti, uno come Wes Montgomery non è grandissimo, però... bisogna avere un'idea della musica che non è limitata solo dallo strumento.

AAJ: Riguardo alla musica tu hai un approccio globale, non solo perché affronti tanti generi e stili diversi, ma lo fai anche da studioso, con un atteggiamento didattico.

D.B.: Sì. Dico sempre che la musica americana per me è un qualcosa di intero, però d'altra parte io sono molto interessato alla storia di come è successo la musica, le persone che lo hanno fatto, la vita che hanno fatto loro, e anche se parliamo della cultura americana so che ci sono tanti in Europa che dicono che non esiste, ma (ride) il problema è loro, non mio... io dico anche come letteratura americana, oppure i modi di dire, i modi di essere americani, gli americani hanno certe tendenze, e usano certe espressioni, e allora anche il modo di parlare e di esprimersi è diverso che nella lingua inglese o irlandese, e queste cose si vedono anche nella musica, infatti è molto interessante adesso vedere che c'è una cosa che si può dire c'è il jazz italiano, che è diverso perché gli italiani naturalmente hanno qualche cosa di diverso da dire con questo modo di esprimersi... è sempre interessante ascoltare tutto, e più vai in profondo con qualsiasi cosa, approcciare l'artista di ogni paese, ad esempio più conosci l'Italia più apprezzi queste partecipazioni di jazzisti italiani... ho letto un libro scritto da un sudafricano Dugmore Boetie, il titolo in inglese è bellissimo, Familiarity is the Kingdom of the Lost, questo libro è molto forte, descrive la vita dei miserabili, le persone di colore in Sudafrica, e un poco dopo ascoltavo un disco di Abdullah Ibrahim e lo sentivo molto più profondamente, entravo molto più nella musica perché avevo assaggiato più la vita, non è che sono mai andato lì, ma anche tramite solo un libro entravo meglio nella musica...è anche vero che i miei interessi nella vita sono la musica, l'arte e tutte queste cose, non sono una persona che sta lì a vedere quanti soldi posso avere o questo tipo di cose, sono un musicista distratto, artista classico, bohémien, non è un lavoro che faccio otto ore al giorno.

AAJ: Quali sono state le tue prime esperienze e fonti di ispirazione?

D.B.: Le prime chitarre che avevo erano quelle acustiche di poco valore, facevo i primi passi con quelle. Ho cominciato a suonare rock'n'roll con gli altri ragazzini, ma dopo un anno volevo anche provare con la musica folk. La musica folk a quei tempi era abbastanza popolare, negli anni '60 c'erano complessi tipo il Kingston Trio o Peter Paul & Mary alla radio e tutti quanti conoscevano queste cose... io andavo nelle coffee-houses di Richmond, Virginia dove c'erano altri giovani che cercavano di fare queste cose, e così ho cominciato a sentire un po' di blues, un po' anche di musica bluegrass e old time, eccetera. La persona più importante per me è stato un pianista che si chiama Buck Evans, lui faceva ragtime... tieni presente che negli anni '60 nessuno sapeva cosa fosse il ragtime, è stato riscoperto solo negli anni '70, e a quel punto per me è stata una specie di rivelazione.

Avevo circa sedici anni, Buck Evans ne aveva diciotto e un po' più di esperienza, conosceva anche la musica jazz, quella vecchia di Louis Armstrong, Jelly Roll Morton, eccetera, così ho cominciato ad ascoltare anche quella insieme al blues e alla musica country vecchia tipo Doc Watson, old time; nello stesso periodo ho comprato un disco di Thelonious Monk, ne parlavano tutti e anch'io volevo vedere di che si trattava. Ho speso tre dollari per un disco, erano tanti per un ragazzino, non che fossi povero, però (ride) non avevo neanche lavoro... allora l'ho portato a casa e mi è bastato ascoltare due note di quella musica, mi è piaciuta subito, c'era qualcosa che proprio mi ha preso.

In quel periodo ho cominciavo a ascoltare anche i dischi di free jazz, Archie Shepp e tutti i dischi della ESP... sono entrato nel mondo del jazz soprattutto come ascoltatore, non l'ho mai studiato a scuola o qualcosa del genere, e ho cominciato a suonare un po' non proprio i brani di Louis Armstrong, ma i vecchi standard tipo 'Sweet Georgia Brown.' D'altra parte cominciavo a cercare di fare free jazz, dapprima mi ispiravo a Sonny Sharrock, ma poi passo dopo passo ho messo insieme un mio stile per suonare quel tipo di musica. Molto tempo dopo ho cominciato a fare swing, poi jazz moderno, però queste erano cose che conoscevo meglio perché avevo le ascoltate molto, e alla fine, molti anni dopo, ho capito come suonare bene Monk sulla chitarra.

AAJ: I tuoi primi dischi incisi per la Kicking Mule contengono già tutte le aree principali della tua musica, dai fiddle tunes alle canzoni jazz e alle improvvisazioni.

D.B.: E' vero, c'era quel disco di jazz che ho fatto per Kicking Mule (The Art of Fingerstyle Jazz Guitar) che contiene anche un po' di free jazz... a quell'epoca ho anche registrato metà di un disco con Eugene Chadbourne, negli anni '70 avevo già cominciato a fare queste cose... c'è da dire che io allora pensavo che sarebbe stato difficile per me andare a suonare con altri musicisti di jazz e fare brani di Charlie Parker eccetera, però soprattutto per le composizioni e l'approccio generale avevo già un'idea, un concetto di come fare jazz, spero di saperlo fare meglio adesso. C'è anche un italiano, un chitarrista veneto amico mio che si chiama Michele Calgaro, lui ha arrangiato un paio di brani di Monk compreso 'Light Blue' probabilmente ancora negli anni '80, io insegnavo e lui era venuto a un mio seminario di musica acustica e ha imparato usando idee mie, però è andato avanti per la sua strada, ha cominciato a fare arrangiamenti di Monk e quando l'ho rivisto non era niente male, allora ho cominciato io a usare le idee sue... è sempre così con i musicisti, questo è il bello della musica, perché i musicisti lavorano insieme, non sono come gli scrittori lavorano da soli.

AAJ: Il disco dedicato a Herbie Nichols [Spinning Song] come è nato?

D.B.: E' certamente quello più ambizioso e più impegnativo per me. E' stato completamente un'idea di John Zorn. Io avevo fatto un disco per Shanachie Opening the Eyes of Love verso il '90 o il '91, ma loro non volevano fare altri dischi del genere, allora ho chiesto a John se lui aveva un'idea per un'altra etichetta, (non intendevo la sua, ho semplicemente chiesto), quindi John mi ha chiamato chiedendomi se volevo fare un disco tutto di Herbie Nichols per la Avant, che era una delle sue due etichette. Nichols mi piaceva molto, mi chiedevo spesso perché i jazzisti stessi non lo suonassero di più, e allora ho chiesto ad altri musicisti che conoscevo se avevano spartiti per la musica di Nichols. Ne ho avuti alcuni da Bruce Ackley, sassofonista del ROVA che è un altro amico dei vecchi tempi, mi ha anche presentato a Ben Goldberg, un grande clarinettista di San Francisco, Oakland precisamente, anche lui aveva lavorato un po' con quella musica. Alla fine qualcuno, forse Ben, mi ha dato il numero di Roswell Rudd e mi sono messo in contatto con lui. Il che è stato molto utile anche perché, come dicevo prima, conoscere più a fondo dove è arrivata la musica di Herbie Nichols, che idee aveva, che tipo era, aiutava molto. E Roswell era stato un grande discepolo di Herbie. Allora mi sono dato da fare per quasi due anni studiando continuamente questa musica, cercando di capire come si fa... Ero molto insicuro, non essendo un vero jazzista, nell'avvicinarmi a questo musicista, però quel disco è stato accolto molto bene. Ricordo che dopo un concerto di Steve Lacy, mi sono presentato e gli ho detto 'vorrei darti questo disco,' lui mi ha risposto 'ah no, quello l'ho già a casa, è fra i miei preferiti di quest'anno.' Il che mi ha fatto un piacere immenso perché se gente come Steve Lacy o Roswell Rudd ritengono che io possa fare questa musica, a quel punto (ride) non si può chiedere di più. Non mi importa molto se altri hanno idee diverse, perché sono questi i musicisti che hanno vissuto quella musica. Quello è stato un passo importante, da allora ho anche cominciato a lavorare con Roswell e questo mi ha insegnato anche altre cose della musica.

AAJ: Parlaci degli ultimi dischi che hai pubblicato.

D.B.: La pubblicazione di quattro dischi a distanza di poco tempo l'uno dall'altro è stata un caso, perchè due dei quattro sono registrazioni vecchie: quella per la Incus con John Zorn e Roswell Rudd e anche Everything That Rises Must Converge.

Spero inoltre che alla fine di questo anno faremo uscire anche un disco di registrazioni dal vivo con Roswell e me, e registrerò anche un disco di brani di Monk, è una cosa che voglio fare da dieci anni, ormai l'hanno fatto tutti (ride), però non tanti su chitarra solo. Prima degli anni '60 c'erano forse solo uno o due dischi fatti da altri suonando tutta musica di Monk, non mi ricordo quando è stata la prima volta che Steve Lacy ha fatto un disco del genere; Johnny Griffin e Eddie Lockjaw Davis ne fecero uno. Poi negli anni '60 quasi tutti i dischi di Monk che non erano proprio di Monk erano di Lacy, ma negli ultimi 15-20 anni c'è stata questa esplosione, e ora tutti quanti fanno questo repertorio, comunque è una musica che io ho sempre suonato e quindi voglio fare un disco su Monk. Tra i chitarristi che hanno hanno dedicato grande attenzione a Monk, uno dei migliori è Elliot Schwartz, un bravo chitarrista di musica free.

AAJ: Hai già fatto una raccolta di trascrizioni di Monk [The Music of Thelonious Monk, video didattico pubblicato da Stefan Grossman's Guitar Workshop]

D.B.: Sì ma adesso ci sono altre cose, mi sono accostato più chiaramente a certi dettagli di Monk lavorando con Roswell. Lui e Steve Lacy hanno proprio studiato Monk in profondità come aveva fatto a suo tempo con Herbie Nichols. Ho tante idee per i dischi che voglio fare nei prossimi anni. Ora ho 60 anni e penso di non aver mai suonato meglio, però non posso suonare con la velocità di una volta. E in ogni caso è difficile immaginare che tra 10 anni sarò ancora forte come chitarrista, allora voglio registrare tante cose che ho nel repertorio e che non sono ancora state messe su disco. L'etichetta The Mighty Quinn è disposta a farmi realizzare tutte le idee di jazz, e poi quest'altra etichetta che è Les Cousins per il fingerpicking eccetera. Mi piace sempre provare situazioni diverse, a volte vorrei anche suonare musica swing in un complesso, però non come gli Hot Club perchè ci sono già tanti che lo fanno, ma facendo musica dell'epoca swing. Mi piace anche suonare da solo, come ho sempre fatto, ma suonare musica di Duck Baker con altri musicisti facendo jazz, free jazz, eccetera, è una cosa che non ho fatto tanto, perciò voglio proprio concentrarmi su questo approccio.

AAJ: Come mai suoni principalmente la chitarra con le corde di nylon?

D.B.: Mi piace la chitarra flamenco perchè si può battere proprio di brutto, si può suonare molto più forte fisicamente che non con le corde di metallo, e mi piace la toccatura con la fruja...(ride) la fruja è una parola piemontese per chitarra. Per la musica irlandese e qualcosa di jazz preferisco le corde di metallo, ma io trovo la chitarra flamenco quasi perfetta per come suono jazz in generale, soprattutto per come faccio i soli di note singole usando quello che si chiama rest stroke in inglese ["tocco appoggiato" nella chitarra classica, N.d.R.], e quello fa male se lo fai con le corde di acciaio, e anche per suonare swing, ad esempio per la fare parte ritmica; infine il suono delle corde di nylon nella chitarra flamenco è diverso da quello della chitarra classica. Nel complesso trovo che si combina molto bene con gli altri strumenti, soprattutto con un'altra chitarra; per me due chitarre con corde di acciaio acustiche hanno il suono meno ricco che non una di acciaio e una di nylon, quello è l'ideale.

AAJ: Il disco che hai fatto con Jamie Findlay [Out of the Past] ne è un buon esempio...

D.B.: Quel duo mi è piaciuto molto, anche Jamie è una persona che effettivamente mi ha insegnato molto, perchè sono andato a fare tournée con lui suonando in giro tutte le sere, è stata veramente la prima volta che lo facevo, poi come chitarrista lui è spaventoso. E' interessante, perché la tecnica di Jamie è basata sulla classica, allora lui suonava la chitarra con le corde di acciaio usando la tecnica classica, quella delle corde di nylon; invece la mia principale tecnica è quella della chitarra acustica, cioè quella per le corde di acciaio, ma io usavo la chitarra con le corde di nylon, tutto al contrario! Anche il modo di arrangiare jazz con due chitarre con Jamie è stato bellissimo per me, perché due che fanno fingerpicking è diverso da due che suonano con plettro, gli arrangiamenti sono molto più complessi, tutte le parti sono prima studiate e poi si lascia la libertà. Mi piace molto quel tipo di approccio, e poi Jamie Findlay è sempre pronto a provare le armonie più pazze, non è molto conservativo da quel punto di vista.

AAJ: Parlaci di Donna lombarda, il CD cui hai partecipato insieme ad altri chitarristi.

D.B.: Interessante come progetto... è nato tutto da un'idea di Luigi Maramotti. Luigi è il capo di Max Mara [nota casa di moda, N.d.R.], ma è un uomo veramente di cultura, uno che sostiene molto l'arte moderna, ha messo in piedi un museo dell'arte contemporanea a Reggio Emilia, è anche un bravissimo chitarrista, suona molto bene, ma ha anche seguito questa musica, ha deciso lui che per questo progetto sarebbe stato interessante mettere insieme musicisti americani con brani italiani e provare approcci diversi. Ascoltando il disco si sente che ognuno di noi ha provato cose diverse, è normale per queste canzoni famose, ci sono alcune versioni che non sono esattamente uguali, magari ci sono due versioni collegate ma diverse di 'Donna lombarda,' ci sono quattro note, infatti è semplificata da quella versione che era già molto semplice. Il mio approccio in quel caso è usare un'armonia molto ricca, molto moderna, e l'interpretazione è quasi completamente free. La storia della canzone mi è entrata molto dentro, anche perché è una storia vecchissima, quasi mitica, anche magica, molto dark. Da quel punto di vista mi ha aiutato il fatto che capivo le parole, mentre Woody, Bob e Ed non parlano italiano allora per loro è stata più la musica stessa a stimolarli, anche se immagino che Luigi gli abbia spiegato la canzone, però io usavo quella storia come punto di riferimento per l'arrangiamento, perché è proprio angosciante.

AAJ: Come sta andando il tuo attuale tour?

D.B.: Abbastanza bene, è interessante perché è un tour nei cinema, di solito io suono in un jazz club, o folk club, o blues club, in questo caso è un pubblico più generico, però sta andando abbastanza bene. Ho sempre avuto l'impressione che questa musica piaccia alla gente, e in questo caso suono un po' di tutto.

AAJ: Ma tu cambi il tuo repertorio per adattarti al diverso tipo di club dove suoni, o fai sempre le stesse cose?

D.B.: No, dipende, può darsi che mi capita di suonare nel locale di Londra dove fanno musica free, a quel punto se voglio posso fare un brano di Monk o qualcosa del genere, però è molto difficile che faccia la musica free se suono in un folk club, magari al limite posso fare un brano facile di Monk, non uno di quelli tipici che sono troppo impegnativi; per me è un po' come per un chitarrista classico, ci sono i dischi di Julian Bream dove lui fa musica barocca, oppure della musica moderna, in concerto è possibile che faccia di tutto, ma dipende dalle situazioni.

AAJ: Hai in programma di venire in Italia?

D.B.: E' possibile che venga in luglio con il mio trio jazz con Alex Ward e Joe Williamson, c'è un festival nella zona di Reggio Emilia, in un paese che si chiama Albinea, sto parlando con loro e vorrei chiaramente aggiungere altre due o tre date, ma per adesso è tutto lì. A parte quello, non so, probabilmente più avanti nel corso dell'anno.

Foto di Luigi Santosuosso (la seconda), Peter Gannushkin (la terzultima e penultima) e Hasby Allen (l'ultima).


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