La chitarra a doppio manico (uno dei quali fretless a sette corde) di Timucin Sahin (origini turche, studi in Olanda, residenza attuale newyorchese) è la protagonista assoluta di questa incisione. Non nel senso più prevedibile di primadonna egocentrica e vanitosa ma come prolungamento indispensabile e convincente delle idee compositive ed espressive del leader. Certo una front line formata da Ralph Alessi e John O'Gallagher abbinata ad una sezione ritmica comprendente l'emergente Christopher Tordini e lo straordinario Tyshawn Sorey agevola enormemente il compito, ma Sahin ci mette del suo e in dosi massicce.
A partire dalle composizioni che combinano in modo sapiente scrittura (essenziale e aperta negli elementi base) e improvvisazione (che attinge da sollecitazioni le più disparate - dalla musica del sud dell'India al rock passando per Ornette) e le pulsazioni sempre vibranti della grande mela. Per continuare, come si diceva, con il suono della sua chitarra, elettrico certamente, ma capace di timbriche vicine alla pastosità acustica, così come a volte indefinibile nella tonalità. Il fraseggio poi procede a strappi, alternando note singole con accordi insoliti, e venendo a trovarsi di frequente in splendido contrasto con le sequenze dei fiati.
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