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Genius Loci 2023

Genius Loci 2023

Courtesy Alessandro Botticelli

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Genius Loci 2023 Firenze
Complesso Monumentale di Santa Croce
28-30.9.2023

Come ormai accade da sei anni, gli splendidi e suggestivi spazi che circondano la Chiesa fiorentina di Santa Croce —nella quale, come noto, si trovano le spoglie di numerosi artisti e personaggi storici—si sono aperti per ospitare Genius Loci, due giorni di incontri, attività e spettacoli aperti al pubblico, con il contributo, oltre che dell'Opera di Santa Croce, del Comune di Firenze, di associazioni cittadine e dell'emittente radiofonica Controradio. Gli spettacoli, ancora una volta, includevano generi diversi, ma—grazie anche alla direzione artistica di Enrico Romero —il jazz e la musica di ricerca avevano anche quest'anno uno spazio privilegiato, in alcuni casi anche accompagnando teatro, talking e dibattiti, stavolta all'insegna dell'ospitalità, dell'ascolto e della cura. Viste la densità e la sovrapposizione degli eventi, daremo qui conto solo di parte di quanto avvenuto, concentrandosi sugli spettacoli musicali.

L'inaugurazione della rassegna è avvenuta —è proprio il caso di dirlo —"con il botto," materializzatosi con il concerto/spettacolo offerto da Munedaiko, trio di percussionisti giapponesi nati in Italia e dedito allo sviluppo dell'arte del tamburo tradizionale nipponico, il taiko; un'arte, tuttavia, che oltre a far uso anche di strumenti come lo shakuhachi —il mitico flauto di bambù, difficilissimo da suonare ma capace di sonorità stupefacenti —e lo shinibue —altro flauto, traverso, usato in ambito teatrale —, fa riferimento anche alla danza, al teatro e al culto del corpo delle arti marziali giapponesi. Tutto questo si è potuto apprezzare nel secondo e più appartato chiostro della Chiesa, nel corso di un'ora abbondante di esibizione incentrata sulle vibrazioni cangianti dei tamburi di diverse dimensioni —uno, di quasi due metri di diametro, tenuto in orizzontale e suonato in coppia —percossi con vari supporti e con intensità dal soffuso al roboante. Attorno alle percussioni, i flauti disegnavano atmosfere di grande suggestione, mentre i tre protagonisti si esibivano, percuotendo, in figurazioni dal forte impatto visivo, iniziando con pittoreschi costumi e concludendo, sudatissimi, a torso nudo. Davvero un grande spettacolo, vuoi per la suggestione un po' esotica, vuoi perché già le sole figurazioni ritmiche, per il loro impatto e la varietà —costruita sul progressivo intrecciarsi di cicli reiterati —, sono risultate fortemente coinvolgenti. E il folto pubblico non ha mancato alla fine di sottolinearlo, con grande entusiasmo.

Nella cornice unica della brunelleschiana Cappella dei Pazzi, dall'acustica singolare e tra le lunette dei Della Robbia, sono quest'anno andati in scena solo archi; il primo giorno è stata la volta del contrabbasso di Furio Di Castri, uno degli storici maestri italiani dello strumento in ambito jazz. Nel corso del primo dei due set, quello che abbiamo seguito, l'artista ha iniziato con levità, quasi a prendere confidenza con le eco e i riverberi, limitando anche l'uso delle tecniche estese. Progressivamente, però, la performance ha preso sempre più corpo, con un crescendo del lavoro sulle corde basse, che maggiormente esaltavano l'acustica dell'ambiente, che si intrecciavano agli sfregamenti e allo scintillare episodico delle note più alte, fino a raggiungere una sognate simbiosi tra il suono dello strumento, non amplificato, e il ritorno ambientale. Una maestosità da ascoltare a occhi chiusi, alla ricerca dei suoni, la cui fine è stata quasi dolorosa.

Nel mentre, due spettacoli narrati —un monologo teatrale sulla bomba atomica di Roberto Mercadini e un reading sul tema dell'accoglienza e della cura di Marco Balzano —si svolgevano con accompagnamento musicale —il secondo con l'intervento di musicisti jazz quali il pianista Fabrizio Mocata e la cantante Giulia Galliani. A seguire, nel cenacolo, il concerto della cantante mongola Urna Chahar-Tugchi con i multistrumentisti Luigi Cinque e Stefano Saletti, che presentavano il disco Perse-phone, di freschissima uscita per Materiali Sonori. Un progetto originale, scritto largamente a tre mani, che univa world music, elettronica, progressive e molte altre cose, ovvero quel tipo di sperimentazioni di cui Cinque è da molti decenni un pioniere. Diciamo subito che l'acustica del Cenacolo non ha reso giustizia né all'intreccio di suoni, né alle notevolissime doti canore della Chahar-Tugchi. Cionostante, la cantante è riuscita ad affascinare per il senso di spazio delle sue emissioni e a incantare ogni volta che è andata in progressione verso i suoi nitidi toni alti, oltre a catturare l'attenzione grazie alla forte presenza scenica, mentre Saletti ha cesellato alcuni belli affreschi attorno alla cantante con oud e bouzuki e Cinque ha soprattutto orchestrato con l'elettronica, aggiungendo qualche piccolo quadro al sax soprano e al clarinetto. Spettacolo piacevole, arricchito dal mirabile sfondo —L'albero della vita, di Taddeo Gaddi —ma che non ha reso giustizia al disco.

La serata è stata poi chiusa, sempre nel Cenacolo, da Khaled Levy, cantante e chitarrista brasiliano di nascita, egiziano di ascendenza e cosmopolita di fatto, che ha interpretato in solo il repertorio canoro di Chet Baker.

La seconda giornata della rassegna si è aperta nella Cappella de' Pazzi con il primo set del duo di Maya Homburger e Barry Guy, che con gli altri due, svoltisi a distanza di un'ora l'uno dall'altro, hanno scandito la serata. Avendo seguito tutte le tre parti, possiamo dire che sono a nostro parere state il momento più alto della rassegna: i due straordinari artisti hanno proposto un programma che univa il barocco —Biber, Johan Sebastian Bach, Dario Castello —al contemporaneo —Kurtàg e lo stesso Guy —, cosa che ha permesso loro sia di sfruttare numerosi registri degli strumenti, sia di alternare scenari diversissimi, sia infine di valorizzare la loro strepitosa intesa, umana oltre che artistica. E se la violinista ha impressionato per abilità, precisione e leggerezza, spiccando specialmente nei brani del suo amato Biber, il contrabbassista lo ha fatto specialmente quando nei propri brani c'era spazio per il solo, cosa che gli ha permesso di sfruttare l'amplificazione per produrre —con le note basse, le percussioni sulla cassa e alcuni artifici —impressionanti risonanze ambientali, che hanno a momenti trasformato la sala in una cassa acustica. Ma entrambi i musicisti erano estremamente attenti a come il suono ruotava nella stanza per tornare loro dall'alto soffitto, un effetto che ha esaltato le splendide composizioni di Kurtàg e gli elaboratissimi brani del contrabbassista, ricchi anche d'improvvisazione. Uno spettacolo davvero magnifico.

Nel secondo chiostro si sono invece succeduti l'Aleph Trio di Gabriele Coen e il talking del geologo Mario Tozzi con l'accompagnamento di Enzo Favata. Il sassofonista e clarinettista romano ha proposto un programma di canti yiddish, in particolare quelli sefarditi recentemente presentati in quintetto nel suo album Sephardic Beat, qui però cantati dalla voce di Barbara Eramo e con l'accompagnamento del solo pianoforte di Alessandro Gwiss. Una veste diversa per ascoltare la musica che Coen studia e ripropone da diversi anni —e che ha infatti presentato con dovizia di particolari storici —, che anche stavolta è apparsa, come sempre, bellissima, grazie alla scelta delle composizioni, ma anche alla bella interpretazione della Eramo e alle improvvisazioni di Coen, che specie al soprano ha confermato di avere un suono davvero superbo.

Quest'ultimo strumento è tornato di scena subito dopo, nelle mani di Favata, il quale ha accompagnato gli affascinanti racconti di Tozzi sui miti del mediterraneo con effetti elettronici e completandoli, negli intervalli, appunto con il suo sax soprano. Uno spettacolo suggestivo, che i due portano in tour da anni, perfezionandolo; Favata, in particolare, sta sviluppando sempre più l'uso dell'elettronica e ha in programma di estrarre la propria performance dalla cornice teatrale e proporla come concerto in solitudine, cosa che senz'altro la valorizzarebbe maggiormente.

Il Cenacolo, che aveva nel frattempo ospitato un dibattito sul tema delle migrazioni e il concerto del cantante e rapper Ghemon, è stato poi teatro della conclusione della serata, con la Site Specific Performance di Rob Mazurek. L'artista statunitense, che affiancava a tromba e cornetta anche elettronica e varie piccole percussioni, ha dato vita a un'improvvisazione di un'ora scarsa, prendendo ispirazione dalla suggestione del luogo, durante la quale, oltre a suonare dal palco, ha effettuato una sorta di rituale sonoro in un ben preciso punto della sala, impiegando le varie percussioni —vari tipi di sonagli, una corona di conchiglie e campanelle —e la cornetta, per poi passeggiare lungo la stanza agitando la corona. Dal palco ha invece usato i vari strumenti sia acusticamente, sia con elaborazioni elettroniche, variando in molti modi anche i suoni della tromba. Purtroppo, però, il tutto è apparso non solo troppo casuale e privo di un filo drammaturgico che gli conferisse senso, ma a momenti perfino un po' banale e semplicistico, come quando Mazurek ha infilato uno dietro l'altro una serie di stilemi —la tromba in acustico, poi con la sordina, quindi con l'eco elettronica, di seguito soffiata senza emettere suoni, infine premendole solo i tasti —quasi stesse esibendo agli astanti l'intero catalogo delle possibilità acustiche, prescindendo del tutto da ogni esigenza espressiva. Vista l'attesa del concerto e il suo essere il gran finale della serata, una delusione piuttosto cocente. Ma, come diceva Steve Lacy, nell'improvvisazione «certe combinazioni producono scoperte di livello veramente alto, in altri casi, non succede niente».

Come da tradizione, il concerto svoltosi poi all'alba —quest'anno è stata la volta della pianista e cantante Zola Jesus, che tuttavia non abbiamo seguito—ha concluso suggestivamente Genius Loci 2023, rassegna che anche quest'anno ha confermato sia il suo livello qualitativo, si di essere un momento importante e non banale della vita culturale cittadina, come dimostrato dal pubblico, ampio (la partecipazione è gratuita, ma le prenotazioni sono andate esaurite in mezza giornata) e soprattutto composto in larghissima parte da fiorentini e non da turisti.

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