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Festival a 4 piani

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Area Sismica - Forlì - 4-7.12.2009

Nell'ambito della sua rassegna di musica contemporanea, Area Sismica ha organizzato questo festival di quattro giorni interamente dedicato al pianoforte. Per quanto piccolo, si è trattato di un progetto molto significativo per il livello e la qualità tanto delle musiche proposte, quanto dei musicisti ospitati. Si può dire tranquillamente che nello spazio di quattro giorni si sono potute ascoltare alcune delle musiche più importanti del repertorio novecentesco, eseguite da alcuni dei migliori interpreti attuali; tutti italiani (ad eccezione di uno), ma tutti di caratura internazionale. Peraltro, la programmazione non si è limitata all'ambito ristretto della musica accademica, ma ha offerto nella serata di sabato un esempio di "musica totale," in cui le distinzioni fra composizione e improvvisazione, musica colta ed extra-colta ecc., hanno perso di significato. Quasi tutti i musicisti presenti nel programma sono ormai di casa all'Area Sismica, avendoci già suonato più di una volta.

Venerdì 4 dicembre: Matteo Ramon Arevalos

Reduce da un progetto in duo di pianoforte e ondes Martenot con Nadia Ratsimandresy, passato dall'Area Sismica un paio di stagioni fa, il brillante pianista ravennate ha aperto il festival, con un programma vario e ricco.

Si può dire che il percorso seguito dal musicista si è mosso su una traiettoria circolare che andava dalla semplicità alla complessità, per ritornare infine alla semplicità.

Semplicità, però, qui non vuol dire affatto povertà o banalità; al contrario, significa profondità: utilizzare pochi elementi, e dare spazio al silenzio, al vuoto fra le note, per raggiungere una dimensione di maggior concentrazione e presenza interiore.

Emblematiche, in questo senso, l'apertura e la chiusura del recital affidate a due brani di Arvo Pärt. Splendido soprattutto il brano finale, Für Alina, con l'uso della risonanzadegli scarni grappoli di note e ampi spazi lasciati al silenzio; melodie ellittiche che ricordavano quelle tradizionali del nord Europa, ed evocavano spazi aperti e malinconici, come distese gelate. Il tutto valorizzato dall'interpretazione sensibile di Ramon Arevalos.

Il ciclo dei dodici brani di Musica ricercata di György Ligeti ha svolto la funzione di una sorta di ponte dalla semplicità ed essenzialità alla complessità. Si tratta infatti di dodici studi sull'uso delle note della scala cromatica: partendo dall'uso di una sola nota, nel primo studio, si procede aggiungendone ogni volta una in più, fino ad arrivare alla scala completa nell'ultimo brano.

Saggio della flessibilità dell'arte compositiva dell'autore, il ciclo è interessante soprattutto per la capacità di valorizzare e sfruttare al massimo le risorse espressive a disposizione anche quando queste sono minime, come appunto nei primi brani della serie. In particolare, ha colpito per forza espressiva e dinamica il primo brano, realizzato utilizzando una sola nota della scala.

Il brano più corposo del programma è stato il Preludio E Fuga Op. 87 N° 24 di Sostakovich, una sorta di piccolo compendio della tradizione musicale colta, dal contrappunto al romanticismo e all'espressionismo, e con un ampio uso delle risorse espressive del pianoforte, cosa che ha dato a Ramon Arevalos l'opportunità per mettere in luce il suo virtuosismo pianistico, con un'interpretazione superba.

Sabato 5 dicembre: Thollem McDonas

Ormai di casa all'Area Sismica, il pianista di San Francisco ha dato un'ennesima dimostrazione della sua prorompente creatività ed energia, travolgendo (come detto prima) le barriere fra categorie musicali e fra composizione ed improvvisazione; le sue performance sono piuttosto una sorta di composizione istantanea, unendo la creazione estemporanea dell'improvvisazione ad un senso della struttura e della coerenza unitaria che è piuttosto della composizione.

L'approccio stilistico di McDonas è speculare a quello che è risultato essere una sorta di linea di fondo delle proposte del festival, ovvero un'essenzialità asciutta e a volte anche austera.

Con McDonas ci troviamo di fronte a un'esuberanza straripante e incontenibile. La sua fantasia è sovrabbondante e inarrestabile come un fiume in piena, potente come le rapide della corrente; spesso rovente come una colata lavica. Un flusso continuo, spesso turbolento, che a volte si arresta in temporanei stagni di bonaccia, dal mood più dolce o assorto.

Durante questa corsa incessante lo stile e le suggestioni si sono alternate e mescolate: l'atonalità jazz, le suggestioni mediorientali, gli ostinati minimalisti, il blues caricato di potenza espressionista...

Domenica 6 dicembre: Fabrizio Ottaviucci

Altro musicista con un legame speciale con l'Area Sismica, pianista fra i migliori interpreti attuali di Cage e Riley, Fabrizio Ottaviucci ha proposto nella serata di domenica le suite IX e X di Giacinto Scelsi, musicista che Ottaviucci ha conosciuto personalmente studiandone l'opera.

Entrambe le suite hanno come elemento strutturale comune l'uso del ribattuto di singole note o di piccole cellule tematiche, ma usato con una grande varietà di effetti e di funzioni.

Nella suite IX, il ribattuto viene usato alternativamente nei movimenti pari e dispari per dare effetti di fissità e di movimento, come rappresentazione del tempo. In sostanza, com'è proprio del forte elemento spirituale della musica di Scelsi, lo scopo, più che estetico, è la modificazione della coscienza, per uscire dalla dimensione del divenire ed entrare in una fatta di un presente senza tempo.

Molto belli in particolare il II e IV movimento, con una singola nota cadenzata ad imitazione dell'Om, nel primo caso, e un piccolo tema molto incisivo, che Ottaviucci accompagnava anche con la voce, nel secondo.

La suite X invece ricercava effetti più contrastati e vari. Molto bello il IV movimento, con un'evocazione mimetica della campana tibetana, di corni e in generale di rituali buddhisti di quei luoghi. Impressionante infine il settimo e ultimo movimento, col cosiddetto "effetto della sciabola" (come indicato dallo stesso Scelsi), impressionante per potenza percussiva e dinamica.

L'interpretazione di Ottaviucci è stata semplicemente magistrale, a testimonianza della conoscenza approfondita che il pianista ha del repertorio dell'autore.

Al termine Ottaviucci ha offerto come bis anche una piccola "chicca," una rielaborazione improvvisata ed intensa del "Raga d'inverno," uno dei brani del suo ultimo album di composizioni proprie.

Lunedì 7 dicembre: Ciro Longobardi

L'ultima serata della rassegna ha visto come protagonista Ciro Longobardi, pianista dedito da quindici anni allo studio e diffusione del materiale e dei linguaggi contemporanei.

Il programma è stato dedicato interamente all'esecuzione di "Triadic Memories" di Morton Feldman, una lunga composizione di oltre un'ora.

Feldman è una delle figure più emblematiche (e, come Scelsi, inizialmente misconosciute) del Novecento, e questo brano è un chiaro esempio della sua poetica, al tempo stesso essenziale e di non facile accessibilità. Si tratta infatti di una prova impegnativa tanto per l'esecutore quanto per l'ascoltatore.

Come spiegato da Longobardi, Feldman partiva dall'osservazione che la tradizione musicale occidentale era basata sulla memoria e su una ben precisa ed acquisita percezione del tempo. Con questa composizione intende dunque procedere a destrutturare questa percezione, con l'uso sistematico di brevi frasi, accordi e pennellate impressionistiche, che vengono esposte e ripetute per diverse volte, in modo da annullare la percezione di uno sviluppo lineare della musica; ma che allo stesso tempo non ritornano su se stesse, bensì trascorrono progressivamente dalle une alle altre, in modo da togliere anche la percezione di circolarità, come avviene invece ad esempio nel minimalismo. In questo modo l'ascoltatore viene a trovarsi in una dimensione indefinita e impalpabile, in uno stato di sospensione perenne che non si può dire né immobile, poiché c'è un'evoluzione costante, né dinamica, poiché l'effetto è piuttosto quello della staticità.

L'intero pezzo è mantenuto costantemente su una dinamica del piano, costringendo l'ascoltatore a fare silenzio dentro di sé per cercare di sintonizzarsi su questo mood senza luogo e senza tempo. Longobardi ha interpretato con una padronanza impeccabile, fronteggiando brillantemente la difficoltà di esecuzione.

Questo festival è una dimostrazione che anche con pochi mezzi si possono organizzare eventi di notevole portata culturale; potrebbe essere una lezione, oltre che un esperimento da ripetere.

Foto di Claudio Casanova

Ulteriori immagini tratte da questo festival sono disponibili nella galleria immagini: parte prima e seconda.


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