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David Liebman - Roberto Tarenzi - Paolo Benedettini - Tony Arco: Dream of Nite

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Registrato nel 2005 dopo ripetute collaborazioni occasionali che avevano accresciuto affiatamento e stima reciproca, questo lavoro vede il grande sassofonista statunitense David Liebman assieme a tre ottimi, ancorché non notissimi, musicisti nostrani: il pianista Roberto Tarenzi, il contrabbassista Paolo Benedettini e il batterista Tony Arco.

Tarenzi e Arco avevano già registrato con Liebman un CD uscito nel 2002 per la Abeat: Feel (sotto la denominazione Cues Trio Meets David Liebman). In quel trio compariva Lucio Terzano al posto di Paolo Benedettini, ma già la formazione attuale iniziava a rodare l’intesa in una registrazione estemporanea che lasciava Liebman piacevolmente impressionato. Passati alcuni anni e altre occasioni di collaborazione, il feeling non poteva che accrescersi.

Infatti, questo Dream of Nite appare eccellente: un jazz moderno dalle molteplici sfumature, palpitante, pieno di swing e - soprattutto, del tutto privo di quei sentori di muffa che così spesso emergono dall’ascolto di lavori dello stesso genere. Il merito spetta senz’altro ampiamente alla forma smagliante di Liebman, il quale tanto al soprano quanto al tenore si conferma sassofonista di classe largamente superiore: davvero è assai raro ascoltare assoli così originali, privi di ripetizioni, ricchi di espressività. Ma non da meno è l’apporto dei tre italiani, il cui affiatamento traspare dall’equilibrio con il quale si distribuiscono gli spazi e dal modo in cui a turno sostengono i ritmi.

Rispetto alle prove dal vivo con le quali hanno presentato il lavoro (clicca qui per leggere la recensione di una di esse) il gruppo appare su disco più equilibrato nelle parti (maggiore sembra il ruolo del contrabbasso di Benedettini) e nell’espressione dei tempi (non mancano qui i tempi lenti, più rari dal vivo). Rimane invece la forte intensità, che spicca in tutti i brani: dal classico davisiano “Fran-Dance”, alle composizioni di Tarenzi (eccellente l’iniziale “Unsteady”) a quelle di Liebman.

Un bel lavoro, di quelli che stimolano e riconciliano con il “puro jazz” anche chi sia portato sempre più a sospettare che si tratti ormai di un genere del passato: che non sia così vero?


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