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Clown Time e Minotauri

Clown Time e Minotauri

Courtesy Andrea Macchia

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La Compagnia Abbondanza-Bertoni, insieme al co-autore Marco Dalpane ed il duo OoopopoiooO, si é misurata con la complessa arte della drammaturgia teatrale e musicale vincendo con il progetto Clown Time il concorso intitolato "OPER.A 20.21 Fringe II Edition" organizzato dalla fondazione Haydn di Bolzano e Trento. Per l'occasione, la partitura "Kammersymphonie n. 1, op. 9" (arrangiamento di Anton Webern) eseguita dal vivo con l'orchestra in scena viene destrutturata ed allo stesso tempo ricreata in chiave elettro-acustica. Il suono e l'azione drammaturgica in sincretismo con la poetica immaginifica ispirata alla serie di cortometraggi di David Lynch Rabbits, aprono alla percezione di un sonorità che non diviene pensiero, ma può solo percepire. Il mondo creato si trasforma così in un flusso di immagini nella mente di chi guarda. Eternità come abisso che riceve e crea. Ne abbiamo parlato con Michele Abbondanza ed Antonella Bertoni (fondatori della compagnia) ed il pianista e compositore Marco Dalpane

All About Jazz: In Italia sono pochissimi i progetti contemporanei che si misurano con l'arte del teatro musicale. Potreste raccontarci brevemente questa esperienza ?

Michele Abbondanza e Antonella Bertoni: Abbiamo scritto e immaginato il progetto Clown Time come un processo di studio sulle forme e suoni attorno all'incomunicabilità dell'umano contemporaneo, attraverso la rappresentazione di tre "minotauri" in scena: animali antropomorfi chiusi in uno spazio claustrofobico e quasi circondati e mossi dai suoni e dai rumori dei musicisti e delle parti vocali. Bisogna aggiungere che già da un anno stavamo lavorando sulla figura di Arnold Schönberg con il debutto nel luglio 2019 del poema sinfonico Pelleas e Melisande; contestualmente stavamo sperimentando l'uso del mascheramento come ricerca e forma del contemporaneo facendone l'argomento centrale del Seminario-studio Ballo in maschera.

AAJ: L'uso delle maschere nella vostra pièce, ispirate al cinema di David Linch, così come la scenografia e i dialoghi tra i personaggi, possono essere considerati un tentativo "magico" di strappare i corpi al realismo?

MA -AB: Tutta l'arte stessa è, o dovrebbe essere, un tentativo magico di strappare il corpo al realismo, e per corpi (essenza e strumento principale del danzare) possiamo anche intendere gli oggetti, la scena, la musica stessa. Crediamo che il riprodurre o rappresentare abbia uno scopo documentaristico e informativo mentre l'arte come la intendiamo noi, dovrebbe invece più formare che informare. L'arte chiede e non ha certo soluzioni o risposte; attraverso le sue domande l'artista chiede aiuto e conforto e attiva e vuole provocare risposte personali in ognuno di noi. Questo non significa "capire" né consolarsi con una spiegazione che ci accomuni e tranquillizzi ma ricercando nell'opera alla quale si assiste, una propria viscerale e intima bellezza.

AAJ: Non è la prima volta che la Compagnia Abbondanza-Bertoni si misura con l'opera cameristica di un grande compositore, penso alla Morte e la Fanciulla di Schubert. Come avete "trasformato" questa volta la partitura in corpo che si muove, che interpreta la rielaborazione della partitura originale di Schönberg "Kammersympphonie n.1 in mi maggiore opera 9"?

MA -AB: In realtà il progetto al quale accenni (la trilogia Poiesis 2017-2018-2019) si riferisce alla scelta di dedicare un triennio del nostro percorso ad un diverso approccio coreografico e quindi compositivo e drammaturgico: danzare e agire nota per nota come se il corpo dei danzatori potesse comportarsi alla stregua dell'inchiostro del compositore sul pentagramma dello spartito musicale. Una stenografia coreografica per corpi vibranti "mossi" dal suono (inteso proprio anche come "onda sonora"). Con questi intenti sono nati i tre lavori che hanno preceduto Clown Time. Quello al quale ti riferisci, La morte e la fanciulla, è il primo del trittico. Ora siamo in una situazione completamente diversa: i presupposti insiti nel bando Fringe erano tali per cui l'approccio e la metodologia del processo creativo non poteva partire da una lettura esclusivamente coreografica ma doveva tener conto di una maggior stratificazione degli elementi da mettere in scena.

AAJ: A Rovereto siete stati tra gli ultimi a calcare le scene durante la fase iniziale di questa pandemia... come ricordate la serata della prima al teatro Zandonai

MA -AB: Dopo aver rischiato di non andare in scena, Clown Time è riuscito a debuttare il 25 febbraio 2020 appena in tempo prima della chiusura dei teatri che ancora oggi stiamo dolorosamente patendo. Il colpo d'occhio che appariva spiando la platea da dietro le quinte era già di per sé surreale: il pubblico ridotto ad un terzo della capacità del teatro, distanziato e diviso per file, con movenze amorevolmente circospette, appariva inserito come in una scacchiera assolutamente artificiale. Diciamo che l'atmosfera era già sufficientemente lynchiana... Le mascherine non erano ancora obbligatorie ma, precorrendo i tempi, mascherati eccome erano i tre interpreti in scena; così come velati erano i musicisti sul palcoscenico da un grande tulle nero. Rimarrà nella nostra memoria come uno dei debutti più emozionanti di sempre.

AAJ: La composizione "Kammersymphonie n.1 in mi maggiore op. 9" di Schönberg, può essere ascritta solo ad un passo dalla dissoluzione e dal venir meno della logica delle funzioni tonali. Il linguaggio armonico sente i limiti della tonalità e si pone sempre in "perpetua modulazione." Questa particolarità ha a che fare con l'accostarla al cinema di Lynch ed al teatro-danza?

Marco Dalpane: Nella Kammersymphonie Schönberg continua il percorso già intrapreso che lo porterà ad abbandonare il linguaggio tonale. È un processo lungo e tormentato, guidato da un senso di necessità talvolta opprimente. Come il cinema di Lynch l'opera di Schönberg si delinea come una radicale messa in discussione delle convenzioni della propria epoca. L'irrazionale e l'inconscio fanno irruzione in modo deflagrante nell'articolazione del discorso musicale, che diviene l'espressione necessaria di urgenze profonde e laceranti. Allo stesso modo Lynch ha sovvertito i canoni del cinema Hollywoodiano, giungendo a un punto limite.

AAJ: L'elettronica degli OoopopoiooO (Vincenzo Vasi e Valeria Sturba) crea una sorta di effetto narrativo, quasi distopico nella rielaborazione della partitura. Come nasce questa idea ?

MD: L'elaborazione del suono attraverso l'amplificazione e la produzione di sonorità elettro-acustiche sono ormai da considerarsi acquisizioni consolidate della musica di oggi. Nel cinema di Lynch il suono svolge un ruolo non meramente illustrativo, ma rappresenta una porta di accesso a una realtà ulteriore. Negli ultimi anni il regista ha sviluppato inoltre la riflessione sulla musica in modo autonomo rispetto al cinema, ed è anche per questo che OoopopoiooO riprende e rielabora certe atmosfere tipiche dell'universo musicale e sonoro di Lynch.

AAJ: Dal punto di vista dell'intonazione e della scrittura come avete lavorato per amalgamare il suono tra gli strumenti acustici e le incursioni espressamente elettroniche?

MD: Si parte dal suono, dalla peculiarità di ciascun gesto sonoro e si scava alla ricerca di analogie, contrasti, riflessioni, vuoti e tutto quello che può servire a creare relazioni. Apparentemente non ci sono punti di contatto tra i suoni dell'orchestra classica e l'armamentario elettro- acustico della musica di oggi, ma basta scavare e aprire porte e finestre. Il mondo della musica si aprirà verso orizzonti inesplorati e carichi di possibilità.

AAJ: Il tempo è soltanto una convenzione, non esiste. Sembra avercelo dimostrato Schönberg così come il cinema di Lynch nella vostra pièce. Il suono diventa spazio sonoro, corpo sinestetico. Potresti parlarcene?

MD: La musica del '900 ha conosciuto la grande rivoluzione della radicale messa in discussione della direzionalità nell'articolazione del flusso temporale. Il tempo non appare più come una traiettoria da percorrere in una direzione obbligata. L'abbandono del linguaggio tonale, con la sua forza costruttiva e la sua implicita direzionalità, ha spalancato le porte a modalità nuove nella costruzione della forma. Del resto l'esperienza tipicamente umana del tempo inteso come un flusso pluri-direzionale non poteva rimanere a lungo esclusa nell'esperienza artistica del '900. La dissoluzione dell'identità, centrale in tante poetiche dell'ultimo secolo, sicuramente pregiudica la possibilità di ritrovare un centro stabile, un'origine e una fine. Tutto si moltiplica, si disperde, si ricompone in forme diverse.

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