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Chitarristi jazz tra passato e futuro

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La chitarra jazz gode di una ricca tradizione sviluppatasi principalmente negli anni '50 e '60, e radicata ormai da tempo in quello che può essere considerato un filone mainstream cui attingono anche numerosi esponenti delle generazioni più recenti. La scena chitarristica attuale appare molto ricca di nomi, ma sono pochi i musicisti che riescono a sfuggire a una omologazione sempre più diffusa e imporre una propria personalità strumentale; la maggior parte preferisce riproporre all'infinito situazioni musicali sterili e stereotipate, nel migliore dei casi eleganti e raffinate ma prive di reale originalità. Colpa delle scuole, che insegnano tutte a fraseggiare alla stessa maniera, del pubblico che chiede sempre le stesse cose, dei produttori che non vogliono rischiare sulle novità, o dei musicisti stessi che mancano di fantasia e coraggio?

Ai posteri l'ardua sentenza, anche se una combinazione di tutti questi fattori sembra la risposta più probabile. Vediamo comunque alcuni esempi discografici per cercare di capire la situazione attuale.

Grant Green Goin' West Blue Note (2005 [dist. 1962] - distr. Emi Italia)

Cominciamo la rassegna da Grant Green, uno dei chitarristi più attivi tra quelli che hanno contribuito a fissare la tradizione dello strumento durante tutti gli anni '60 e '70, fino alla scomparsa avvenuta nel 1979. Nel periodo iniziale della sua carriera, trascorso alla Blue Note, ha partecipato a numerose sedute di incisione sia come titolare che come sideman. Questo Goin' West, ristampa di uno dei suoi primi album da titolare registrato nel 1962 (ma pubblicato solo nel 1969), non è probabilmente tra le sue opere più significative, soprattutto a causa del repertorio costituito da classici del Country & Western, anche se affrontato con piglio decisamente jazzistico. Accompagnato da una ritmica di lusso, col quasi debuttante Herbie Hancock al piano, Reggie Workman al contrabbasso e Billy Higgins alla batteria, Green riesce comunque a dare una buona impressione del suo stile immediato e senza fronzoli, profondamente radicato nel blues e nel gospel.

Jimmy Bruno Solo Mel Bay Records (2005)

Jimmy Bruno firma con questo Solo, pubblicato dalla Mel Bay Records, un triplice atto d'amore nei confronti del suo strumento, della musica che ha accompagnato la sua giovinezza, e dei genitori, entrambi musicisti jazz. La madre cantante e il padre chitarrista gli hanno trasmesso la passione per le canzoni e gli standard del repertorio jazzistico più classico, su cui ha imparato i primi rudimenti dello strumento. Ritroviamo qui brani immortali come "Have You Met Miss Jones", "Darn That Dream", "Misty", "Stella by Starlight", "Night and Say" e altri ancora, eseguiti da Bruno in completa solitudine, sfoggiando gusto, senso dello swing e tecnica in abbondanza, alla maniera del modello inarrivabile di Joe Pass. Consigliato soprattutto agli studenti di chitarra (e il marchio di Mel Bay rappresenta una garanzia per la didattica), il disco si fa complessivamente apprezzare per la sua spontaneità un po' ingenua, dove il virtuosismo è sempre sostenuto dal cuore e la retorica è sempre in agguato. Bruno non riesce a sfuggire alle insidie del già sentito, ma da un disco volto nostalgicamente al passato sarebbe fuori luogo pretendere la ricerca di novità. Resta comunque un ascolto piacevole, soprattutto per chi ama l'età d'oro della canzone americana. Da segnalare infine la presenza di alcuni contenuti per CD-ROM: una breve intervista al chitarrista, corredata da biografia, discografia e alcuni frammenti video tratti da DVD di suoi concerti.

Gene Bertoncini Quiet Now Ambient Records (2005)

Anche Gene Bertoncini sceglie la via della solitudine nel suo Quiet Now, pubblicato nel formato ibrido CD/SACD dalla Ambient Records, con un approccio non dissimile da quello di Bruno, ma meno scopertamente orientato al virtuosismo, più incentrato sull'armonizzazione dei brani in stile pianistico. Non a caso sono presenti "Waltz for Debby/Very Early" da Bill Evans (una delle sue più dirette influenze) e "Quiet Now", brano che dà il titolo al disco, firmato da un altro pianista, Denny Zeitlin. Oltre ai classici standard come "Giant Steps", "Lush Life" e "My One and Only Love", il repertorio si allarga a comprendere la musica brasiliana ("Olha Maria", di Jobim) e la musica classica con un lieder di Schumann e l'aria pucciniana "Nessun Dorma". L'uso di una chitarra con le corde di nylon e una tecnica strumentale più vicina al mondo classico che a quello del jazz sottolineano la scelta stilistica, fatta da un'interazione paritetica tra armonia, melodia e ritmo, e arricchita da numerose sfumature interpretative per un disco raffinato e ricco di musicalità.

Eric Hofbauer The Blueprint Project Creative Nation Music Productions (2005)

Abbiamo già incontrato Eric Hofbauer in un curioso disco per sola chitarra acustica, American Vanity; lo ritroviamo in un contesto decisamente più jazzistico in questo The Blueprint Project, pubblicato da Creative Nation Music, terzo lavoro del trio formato insieme al sassofonista Jared Sims e al pianista Tyson Rogers, qui allargato a un quintetto con la partecipazione di Cecil McBee al contrabbasso e Matt Wilson alla batteria. La musica, tutta costituita da composizioni originali equamente suddivise tra i tre titolari, si inserisce nel filone del revival hard bop, ma spazia dal blues al free in una gran varietà di situazioni musicali, a riprova della fantasia e creatività di questi giovani musicisti, dotati di un notevole interplay. Il disco, sospeso tra classicità e modernità, ha tutte le carte in regola per poter piacere a una vasta platea di appassionati.

Dom Minasi Quick Response CDM Records (2005)

Anche Dom Minasi galleggia abitualmente tra avanguardia e tradizione, come nei precedenti Taking the Duke Out, Goin' Out Again e Time Will Tell. Per il nuovo lavoro, Quick Response, pubblicato dalla sua label CDM Records, rinnova la formazione in un quartetto con sax, organo e batteria. Il suo approccio caratteristico è ben eviddenziato dai due standard che aprono e chiudono il disco, "What Is This Thing Called Love" e "Softly as in a Morning Sunrise", i cui temi risultano quasi trasfigurati nella rilettura in chiave moderna operata dal chitarrista, autore di assoli tesi e nevrotici. Diverso il trattamento riservato alle composizioni originali, dove le melodie vengono poste maggiormente in risalto e lo sviluppo delle improvvisazioni è più lineare. Paradossalmente, il chitarrista Minasi è molto più classico nelle sue composizioni, come in "For My Father", che nelle cover, dove sfiora spesso il free, dimostrandosi in ogni caso a proprio agio. Tuttavia gli manca quel pizzico di incisività ed espressività in più che potrebbe farlo emergere maggiormente dalle folte schiere di colleghi meno originali e brillanti.

Ximo Tebar The Champs Omix Records (2005)

Non sono molti i jazzisti spagnoli emersi sulla scena internazionale; ci prova ora il chitarrista Ximo Tebar, già da tempo attivo con un suo trio nella classica formazione con organo e batteria, facendosi accompagnare da due fuoriclasse come Joey DeFrancesco e Idris Muhammad in questo The Champs, quarto volume del suo Jazz Guitar Trio. Il disco è stato registrato dal vivo in un locale di Barcellona nel 1999, ma pubblicato solo lo scorso anno dalla Omix Records (sottoetichetta della Sunnyside). Il repertorio è quello classico del bop, da Charlie Parker e Dizzy Gillespie a Sonny Rollins e Horace Silver, interpretato con grande virtuosismo e senso dello swing dai tre musicisti in gran forma. Tebar (anche cantante scat) in particolare mostra una grande fantasia inventiva sorretta da una tecnica in cui si rispecchia la lezione di Wes Montgomery e George Benson. DeFrancesco lo sostiene da par suo, confermandosi tra i maggiori specialisti dell'Hammond B-3 (ma anche alla tromba se la cava bene). Un disco decisamente godibile e divertente, grazie alla grande musicalità e comunicativa del trio, legato dal piacere di fare musica che si trasmette intatto a chi ascolta.

Jay Geils - Duke Robillard - Gerry Beaudoin New Guitar Summit Stony Plain Records (2005)

All'insegna del puro divertimento è anche New Guitar Summit, della Stony Plain Records, che vede riuniti insieme per la prima volta Jay Geils (leader della J. Geils Band), Duke Robillard (chitarrista blues più volte vincitore del premio W.C. Handy) e Gerry Beaudoin (autore tra gli altri di un paio di album in coppia col mandolinista David Grisman). Il disco è un sentito omaggio all'era dello swing e al suo chitarrista più rappresentativo, Charlie Christian, ricreando il sound dell'epoca grazie anche all'uso di alcuni strumenti vintage. Il repertorio include brani di Goodman ("Benny's Bugle", "Seven Come Eleven"), Ellington ("Perdido"), Gershwin ("Lady B. Good"), un paio di blues ("Ain't Nobody's Business") e tre brani firmati da Beaudoin, uno dei quali è presente anche come traccia video per PC in formato Quicktime. I tre chitarristi si alternano negli assoli come vecchi amici impegnati in una chiacchierata, ciascuno sfoggiando il proprio repertorio tipico, avente comunque radici comuni nel blues. La ritmica (contrabbasso e batteria) è presente in funzione puramente metronomica: la scena è tutta per le tre chitarre, ma non è tanto il virtuosismo a dominare (come ci si potrebbe aspettare da questo genere di riunioni), quanto la voglia di divertirsi e divertire, senza strafare. E questa è proprio la carta vincente del disco, non potendo fare appello a originalità o novità, che lo fa valutare in modo sostanzialmente positivo.

Josh Workman Jumpin' at the Border Tetrachord Music (2005)

Anche il chitarrista californiano Josh Workman, al suo debutto discografico con questo Jumpin' at the Border (pubblicato da Tetrachord Music), può essere considerato un chitarrista mainstream, nonostante le influenze mostrate nella sua musica siano numerose e varie, come dimostra la scelta dei brani in programma, che spaziano da blues e bop fino alla musica brasiliana e perfino a quella gitana (uno dei brani è una composizione di Dorado Schmitt, eseguita dall'Hot Club di San Francisco, quartetto di cui fa parte lo stesso Workman). Anche le formazioni variano di conseguenza, dal solo al quintetto con piano e sassofono; e se da un lato la varietà e l'eclettismo aiutano a reggere i 70 minuti del disco, dall'altro viene a mancare una qualche forma di unità progettuale che permetta di valutare in modo approfondito la personalità del chitarrista più che il talento, esibito in numerose occasioni sia allo strumento elettrico che a quello acustico. Non particolarmente originale, ma tutto sommato piacevole.


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