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BOOM, tra jazz e elettronica. Intervista a Raffaele Costantino

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S'intitola When in Rome, è un EP registrato dal vivo dal duo BOOM che unisce il produttore, DJ e seguitissimo conduttore radiofonico per Radio2 Raffaele Costantino e il pianista jazz Giovanni Guidi.
Pubblicato dalla factory creativa LBL, è un lavoro in cui i due musicisti cercano di andare oltre i luoghi comuni del binomio DJ + improvvisatore, per esplorare terreni nei quali la sensibilità e l'esperienza di ciascuno diventa la chiave per un'esplorazione sonora avventurosa e mossa dalla curiosità.

Di Giovanni Guidi i nostri lettori conoscono ormai bene il percorso, abbiamo così pensato di dialogare un po' con Raffaele Costantino sul disco e su questo tipo di progetti.

All About Jazz Italia: Come nasce, brevemente, l'incontro con Giovanni Guidi e come avete pensato di costruire il vostro duo?

Raffaele Costantino: Giovanni è un musicista importante secondo me, perché ha diverse caratteristiche che ne fanno un artista sul quale investire: è giovane, ispirato, un po' fuori di testa.
Nonostante la giovane età ha una lunga esperienza a fianco di mostri sacri del jazz sia sul palco che nella vita. Ma soprattutto è molto curioso, ama la techno, l'elettronica, gli piace andare a ballare e sperimentare molto.
Ecco come, anzi, perché è avvenuto l'incontro. Era inevitabile.
Una sera stavo mettendo i dischi in un club a Foligno (il Serendipity) e sotto al palco Giovanni ballava molto divertito. Non ci conoscevamo ancora personalmente ma io lo stimavo molto e lui chiaramente mi conosceva per il mio lavoro nella musica elettronica. Da quel momento abbiamo iniziato a scriverci, scambiare opinioni e prendere confidenza uno con l'altro, senza spingere troppo. Poi abbiamo iniziato a darci appuntamento al mio studio a Roma (Snob Studio) ed abbiamo iniziato a suonare insieme. Alcune volte improvvisando e registrando le nostre session per poi editarle, altre con un vero e proprio lavoro da producer, cioè scegliendo insieme i suoni, le melodie, le armonie. Chiaramente tutto questo è molto facile da fare con uno come lui. Giovanni riesce a suonare perfettamente quello che hai io ho in mente. Abbiamo gusti e visioni molto simili su molte cose. Tranne che sul calcio.

AAJ: Nel duo Boom compari con il tuo nome vero e non con il moniker DJ Khalab con cui sei famoso, ci vuoi raccontare il perché di questa scelta?

R.C.: Quando ho iniziato a produrre con il moniker Khalab, ho scelto di tenerlo molto separato dal resto del mio lavoro nella musica. Non volevo che il mio essere in mezzo a molte cose potesse inquinare la percezione del pubblico, soprattutto in Italia.
In questo caso non faccio altro che continuare a mantenere separate le cose. Il fatto che io sia DJ Khalab non vuol dire che sia soltanto DJ Khalab. In questo caso a suonare con Giovanni Guidi è il DJ resident delle serate dance della Palma di 15 anni fa, il conduttore radiofonico, il direttore artistico che per anni ha portato l'elettronica all'auditorium di Roma, il DJ, l'appassionato di jazz, il produttore che ha suonato live con Fabrizio Bosso, con Gianluca Petrella...
Insomma vorrei che Khalab non si impicciasse negli affari di chi prima di lui si occupa di jazz ed elettronica... Molto prima di lui.

AAJ: When in Rome è registrato dal vivo e prelude a un disco in studio. Quando è prevista l'uscita di quest'ultimo e come si svilupperà il lavoro nuovo?

R.C.: Il nuovo lavoro sarà molto diverso. Quello che si ascolta in questo EP, registrato dal vivo all'Auditorium Parco della Musica, è lo studio che precede il lavoro in sala di registrazione sul disco vero e proprio: ecco perché Lbl ha voluto pubblicarlo, per far capire come siamo arrivati al suono che sentirete nel lavoro finito.
Un suono molto più duro, più cupo, più corposo. Questo non vuol dire però che When in Rome sia meno importante per noi, anzi in questa session si capisce molto del nostro spirito improvvisativo.
Ho lavorato molto per creare un tipo di set che mi permettesse di interagire realmente con Giovanni dal vivo, perché come sai, il grande limite dell'elettronica dal vivo è la difficoltà nella quale si trova quando bisogna realmente dialogare con altri musicisti.

AAJ: Si parla appunto spesso dell'esigenza che i musicisti elettronici hanno di dialogare con altri strumentisti, tu che ami collaborare con molti improvvisatori, cosa ci puoi dire di queste dinamiche?

R.C.: Nella mia piccola esperienza con grandi improvvisatori come Baba Sissoko, Kenny Wollesen e lo stesso Giovanni, ho capito che non può nascere niente di esplosivo costringendoli a seguire un percorso prestabilito dal tuo computer o dalle macchine legate tra di loro con un segnale midi che ne coordina il bpm.
L'agilità intellettuale di un produttore in questi casi deve permettergli di abbandonare, anche in corsa, l'idea originale e lasciarsi andare al flusso di idee che arrivano al momento. Per fare questo è fondamentale lavorare su un set up che possa consentire questa agilità.
Personalmente in questi casi preferisco usare strumenti "percussivi" come i campionatori, che ti permettono di utilizzare la tua sintesi sonora in maniera molto intuitiva e soprattutto ritmica. In questo modo posso incastrare il mio lavoro ritmico ed armonico negli spazi lasciati dai musicisti quando sono loro a guidare, per poi riprendere il controllo con l'utilizzo dei sequencer e del computer quando la scaletta del concerto lo richiede.

AAJ: Nelle note che accompagnano l'EP fate un chiaro riferimento alla vostra intenzione di cercare un suono originale, che il progetto sia fuori dalle regole del jazz e anche svincolato dalle influenze dell'ambito elettronico, ma non possiamo negare che nei rispettivi ambiti si guardi da un lato con curiosità a questi incroci, dall'altro sempre con un po' di diffidenza. Che tipo di ascoltatore e ascoltatrice—nonché che tipo di spazio—pensate sia quello cui questo lavoro si dirige naturalmente?

R.C.: So che può sembrare un'affermazione presuntuosa ma è un obbiettivo che tutti quelli che fanno musica dovrebbero porsi. L'originalità del linguaggio è un tema molto importante soprattutto oggi che si produce tanta musica. Ma non è solo una questione di "quantità."
Oggi con la rete ed il concetto di condivisione alla base dei social network, siamo tutti sovraesposti ad una enorme massa di informazioni che rischiano di appiattire non solo il gusto ma addirittura i processi creativi ed estetici. Musicisti indiani, africani, neo zelandesi, europei o americani rischiano di somigliarsi troppo tra di loro, non per mancanza di idee o di radici antropologiche legate alla loro espressione musicale, ma per colpa di una sempre più standardizzata tecnica di produzione. Quando si produce musica utilizzando gli stessi strumenti, gli stessi software e gli stessi hardware, si alimenta una vera e propria globalizzazione del suono.

AAJ: Qual è quindi per te oggi la vera sfida?

R.C.: Penso sia di tipo estetico, ecco quale sarà la ricerca sulla quale dobbiamo concentrarci. Un suono veramente originale si riesce a raggiungere solo quando si ha bene in mente il paesaggio sonoro che si vuole raccontare, ed in questo caso il know how nelle tecniche di produzione è fondamentale.
Per quanto riguarda i luoghi di fruizione si apre tutto un altro ragionamento che riguarda la necessità di avere spazi che rendano l'esperienza dell'ascolto non fine a se stessa. La nostra musica non è pensata per stare seduti a guardare due smanettoni. Mi piacerebbe che nei luoghi dove portiamo la nostra musica, come in quelli dove l'abbiamo già portata, ci siano altre cose sulle quali posare lo sguardo. Natura, cielo, visuals, design...

AAJ: Negli ultimi decenni ci sono stati diversi filoni di rapporto tra elettronica e jazz, da quello che per praticità chiameremo nujazz alla ricerca elettroacustica di artisti più d'avanguardia, passando per molti jazzisti—anche celebri—che continuano a usare effetti vecchissimi o DJ che prendono in prestito due frasi di tromba.
A me sembra che una delle esperienze più rilevanti per continuità sia stata quella della Blue Series della Thirsty Ear, così come i lavori Treader degli Spring Heel Jack. Volevo sapere da te quali sono le esperienze che sono state più rilevanti nella formazione del tuo gusto.

R.C.: Mi piacciono molto i contesti nei quali il jazz viene miscelato ad altri mondi dell'improvvisazione grazie al collante dell'elettronica. Con questo voglio dire che non ho mai considerato l'elettronica un genere a sè, ma un mezzo per evolvere linguaggi già esistenti. Rispetto a questo trovo molto stimolante ad oggi il lavoro del team Brainfeeder. Flying Lotus su tutti ma anche Thundercat (che arriva dalla scena punk), Daedelus con i Kneebody e il loro progetto Kneedelus, Austin Peralta... questa scena è sempre stata per me un riferimento molto importante.
Oltre al giro Brainfeeder, mi piacciono anche altre cose più "classiche" come The Comet Is Coming, i canadesi Bad Bad Not Good, etc. E da "fighetto" devo dire che anche i giovani jazzisti riescono a tirare fuori un suono molto affascinante, mi riferisco a gente come Robert Glasper o {Christian Scott}}.

AAJ: Quali potenzialità e quali limiti vedi in scene come quella Brainfeeder?

R.C.: Nella loro crew ognuno inserisce l'amore per la musica afroamericana in modi diversi, ma sempre lasciando intravedere una grande consapevolezza. Flying Lotus chiaramente è un caso a parte, è lo spirito guida, è il visionario, è lo scienziato pazzo, è il supereroe, l'illuminato. Ma prendendo spunto dalle sue intuizioni gli altri hanno seguito una via ben precisa per raccontare il suono contemporaneo in ambito black.
Credo che questi produttori, musicisti, artisti, non cerchino di essere nuovi ad ogni costo (questo vale anche per il non citato Kamasi Washington), si limitano a suonare quello che piace loro suonare, perché lo hanno ascoltato per anni, perché lo conservano come patrimonio genetico. La differenza la fa soltanto il modo in cui il tutto viene prodotto, mixato, masterizzato.
Forse il vero limite di questo ambito si manifesta proprio quando la necessità, egocentrica, di far qualcosa di inaudito supera quella espressiva. Chiaramente è un territorio di confine molto sottile e quindi è anche vero che la curiosità dei musicisti, come gli studi e gli esperimenti tecnici dei produttori, saranno la chiave per evolvere.
Le potenzialità sono da individuare nelle applicazioni delle tecniche di produzione da parte dei musicisti. Flying Lotus è riuscito a sintetizzare alla perfezione questo concetto: tecnica e creatività.
Il limite sarà allo stesso tempo costituito dalla ossessione che i produttori ed i musicisti avranno sul suono in termini razionali e meno sul linguaggio in termini istintivi. Come al solito sarà una questione di equilibrio.

AAJ: Parliamo del tuo lavoro come conduttore radiofonico di Musical Box su Radio2. Come nascono le scalette della trasmissione e che tipo di dialogo con gli ascoltatori si crea programmando un certo tipo di musica?

R.C.: Sto scrivendo un libro che uscirà a primavera per Arcana, proprio sul concetto di playlist. Su come sia indispensabile provare con ogni playlist a raccontare una storia. Una serie di elementi (i brani) e di personaggi (gli autori dei brani) che legati tra di loro devono dare una narrazione ben precisa. Questo richiede chiaramente molta fantasia e conoscenza della materia, ma una volta affinata la tecnica, si riesce a far passare il messaggio della storia che stai raccontando. Gli ascoltatori di Musical Box hanno capito ormai che la sorpresa è dietro l'angolo e che devono essere pronti a qualsiasi cambio di direzione, ma pretendono che il tutto accada rimanendo dentro i binari della macro storia che si sta raccontando in quella puntata.
Questo concetto è secondo me alla base dell'importanza di figure come le nostre. Ricercatori che hanno come compito principale quello di filtrare le informazioni e riassumerle in concentrati che siano facilmente comprensibili e che diano gli spunti per un approfondimento individuale. Spero che il rapporto tra me ed i miei ascoltatori si basi quindi sulla fiducia guadagnata playlist dopo playlist.

AAJ: I tuoi prossimi impegni?

R.C.: Come dicevo, sto ultimando il mio libro (è la prima volta che ne parlo pubblicamente), sto lavorando ad un nuovo format di intrattenimento musicale, spero di finire il disco con Giovanni Guidi entro la fine del 2016 e contemporaneamente sto lavorando al nuovo album di Khalab per la Black Acre Records. Poi chiaramente tante date in giro per il mondo che mi terranno un po' impegnato soprattutto nei week end e poi il massimo dell'impegno su Musical Box.

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