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Biennale Musica di Venezia 2016

Biennale Musica di Venezia 2016
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Biennale Musica 2016
Venezia
varie sedi
7-16.10.2016

Un paio di giorni alla Biennale Musica; un assaggio delle tendenze in atto nella musica contemporanea nelle varie sezioni curate da Ivan Fedele. La maggior parte dei concerti si è svolta negli spazi suggestivi del decentrato e vasto Arsenale: spazi da conquistare faticosamente, soprattutto se martoriati dal maltempo, ma nonostante ciò spesso affollati, quasi a denotare la caparbia curiosità di un pubblico assiduo e plurale, che nei decenni sembra aver dimenticato l'atteggiamento élitario proprio della nicchia di adepti.

Una relativa diversità di proposte è scaturita dal recital pianistico di Emanuele Arciuli, che ha interpretato con varietà d'accenti, gestuali e mentali, il disinibito possibilismo delle composizioni, tutte in prima esecuzione italiana, degli autori americani della nuova generazione, nati fra il 1967 e il 1981.
Nel brano del nativo americano Raven Chacon un complesso sistema d'amplificazione ha concorso a creare sonorità evanescenti e stranianti, nascondendo totalmente le connotazioni della diteggiatura classica, mentre in "Three Etudes," scritto nel 2003 dall'appena ventiduenne Nico Muhly, si sono stagliati tutti gli effetti, le strutture, le progressioni, raggiungendo risonanze evocative. Fra questi estremi si sono collocati i lavori di Judd Greenstein, Missy Mazzoli e Derek Bermel, tutti caratterizzati da citazionismo e dall'incrocio di generi diversi, accostando Chopin e lo spirito della ballad, Schubert e l'elettronica con risultati quasi epici, spunti dodecafonici, leggiadrie settecentesche e motorie cadenze swing...
L'impressione complessiva è stata quella di una sorta di cangiante e consapevole trasformismo che cerca di ricomporre, senza troppe pretese ma con esiti accattivanti, un vasto patrimonio attinto da diverse epoche e tradizioni, accumulato nella nostra memoria e divenuto materiale indistinto, disponibile a rivisitazioni di qualsiasi orientamento.

Il concerto della compagine Les Percussions de Strasbourg ha garantito un grande impatto visivo e sonoro, aprendo e chiudendo l'esibizione con opere del compositore spagnolo Javier Elipe Gimeno (1980), entrambe scritte nel 2015 per sei percussionisti e live electronics, a commento di due film muti. Il primo, "The Life and Death of 9413: A Hollywood Extra," cortometraggio poco noto di Robert Florey, Slavko Vorkapich e Gregg Toland del 1927, si regge su ritmi, ricorrenze e tagli decisamente futuristi per il modo di costruire le immagini in incroci obliqui (grattacieli, faretti, binari...) e su forti chiaroscuri. Fra dadaismo e surrealismo si colloca invece il più noto "Entr'acte" girato da René Clair nel 1924. In questo caso una musica incalzante ha amplificato l'apprensiva congestione della famosa fuga a ruota libera del carro funebre.
Fra questi due filmati si sono incastonate altre tre composizioni fortemente caratterizzate: "Stèle," scritto da Gérard Grisey nel 1995 per due percussionisti, che fronteggiandosi agivano su due enormi grancasse orizzontali; "Third Construction" per quattro percussionisti (1941) di John Cage, in cui si è prodotta una grande varietà di metriche poliritmiche su un ampio campionario di metallofoni e membranofoni, prevalentemente di piccole dimensioni; "Silence Must Be!" di Thierry de Mey, sorta di surreale performance di un unico esecutore, che ha impersonato contemporaneamente i ruoli di percussionista e di direttore d'orchestra.

Tutta incentrata sulla musica di Gérard Grisey la apparizione di un concentrato Ensemble Orchestral Contemporain, diretto da Daniel Kawka, con il pianista Roland Meillier in grande evidenza nel lungo "Vortex Temporum I, II, III." Tre composizioni concepite fra il 1974 e il 1996 hanno presentato un ampio spettro di situazioni, connessioni, rimandi, riesumazioni, per lo più conseguentemente concatenati su toni timbrici pensosi e scuri, su un interplay motivato, includendo però anche improvvise esasperazioni e perfino spunti umoristici e grotteschi. Di grande rilevanza inoltre è risultata la proiezione delle soluzioni grafiche elaborate in diretta al computer da Andrew Quinn. C'è da domandarsi se e quanto Grisey avrebbe apprezzato questo commento visivo, impossibile in questi termini ai tempi in cui egli ha creato la musica.

Nella sezione 23 Off, destinata a "promuovere incontri, sconfinamenti e, perché no, meticciamenti tra generi e pratiche distinte seppur limitrofe," dal quartetto Kl4ng è venuta una musica improvvisata con passaggi obbligati. La voce di Françoise Kubler e Armand Angster, forse preferibile al clarinetto basso che al soprano, hanno costituito le componenti acustiche, ironiche e imprevedibili. Attorno a loro Pablo Valentino e Yérri-Gaspar Hummel hanno tramato un tessuto elettronico, ora cupo ora grottesco. Il contributo dell'ingegnere del suono Frédéric Apffel ha avuto un peso notevole nella distribuzione ambientale delle risonanze. I brani, molto differenziati fra loro nelle strutture e nei motivi ispiratori, colti o popolari, non hanno evitato momenti dispersivi, conferendo al concerto un'immagine complessivamente disomogenea.

Nella medesima sezione Raffaele Casarano Locomotive, su idea di Ivan Fedele, ha affrontato e rielaborato un repertorio anomalo: le "canzoni da battello," dette anche "canzonette veneziane," composizioni anonime che nella prima metà del Settecento godettero di una particolare fortuna e che a metà del secolo vennero in parte pubblicate a Londra da John Walsh in tre diverse antologie.
Gli arrangiamenti di Casarano hanno salvato le suadenti melodie originarie, lasciando però spazio agli abbellimenti, alle enfasi dell'improvvisazione di stampo jazzistico. I sax del leader hanno esposto inflessioni diverse, argute, carezzevoli o malinconiche, senza evitare impennate dinamiche. Al pianismo ponderato ed elegante di William Greco ha fatto riscontro il sound rotondo, imponente e nobile del contrabbasso di Marco Bardoscia. L'entrata in scena, dopo il terzo brano, dell'ospite Paolo Fresu da un lato ha comportato una dilatazione della durata e della gamma sonora delle interpretazioni, dall'altro ha aggiunto una più corposa sintesi jazzistica.
Il concerto, l'unico di jazz all'interno di Biennale Musica 2016, ha confermato pienamente come proposte di questa impostazione differiscano dalla ricerca della musica contemporanea per tradizione, espressività e metodologia, per tipo di comunicativa, di interplay e di approccio strumentale. Non solo, ma si è avuta anche l'ennesima dimostrazione di quanto la cosiddetta "linea italiana nel jazz," alla quale è ascrivibile questo progetto ascoltato alla Sala delle Colonne della centrale Ca' Giustinian, si distingua da altre esperienze della ricerca jazzistica italiana e internazionale per la morbidezza del senso melodico, per la colloquiale e domestica dimensione dell'eloquio, per le cadenze danzanti, per l'immediatezza della vena poetica...

Foto: Maria Gabriella Sartini

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