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Testimoni del '68: Giovanni Tommaso

Da molto tempo sostengo che la nascita del jazz e gli stili della sua evoluzione sono legati ai grandi eventi sociali, culturali e storici. Per questo dico che gli stili del jazz sono figli del loro tempo. Basti pensare al legame che ci fu tra la seconda guerra mondiale e la nascita del be-bop.

Venendo al '68, il movimento studentesco aveva il forte connotato della protesta, e il Free Jazz, e un certo tipo di canzone d'autore (come Bob Dylan), ne divennero l'emblematica espressione musicale. Infatti, anche se le origini del Free risalgono a qualche anno prima, grazie alla geniale intuizione creativa di Ornette Coleman e Cecil Taylor, è di quel periodo la grande diffusione del Free.

Questo stile, totalmente improvvisato nelle sue forme più esasperate, era apparentemente informale, ma a mio avviso era in realtà esattamente il contrario. Infatti questa peculiarità, la protesta, era la componente più forte, e come tale ne condizionava il linguaggio "provocatorio". Direi una sorta di formale informalità. Guai se la ritmica suonava un tempo definito o se si utilizzava una struttura armonica. Insomma, distruggere prima di costruire. Per questo ritengo che la rottura degli schemi, provocata dal free jazz, più che creare uno stile, ha creato un atteggiamento di cui il jazz aveva probabilmente bisogno.

All'inizio degli anni '60 Ornette Coleman fu per me una vera folgorazione, infatti nel '66 la mia prima esperienza da leader fu con un quartetto pianoless con alto e tromba. Nel '67 mi trasferii a Roma. Ebbi l'impressione di trovarmi al centro del mondo. Un mondo in fermento, grazie anche alla presenza di musicisti che come me erano venuti ad abitare nella capitale. C'erano Steve Lacy, Gato Barbieri, Franco D'Andrea e altri ancora con i quali ci si poteva confrontare scambiandoci pareri, idee e anche suonando.

Da lì a poco cominciai a sentire un gran bisogno di cambiamento, così iniziai a fare i primi esperimenti che poi avrebbero portato alla nascita del Perigeo.

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