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Testimoni del '68: Enrico Intra

Diciamo che il movimento del '68 è stato importante, non soltanto per la musica jazz, perché ha contribuito ad abbattere tutto ciò che si era radicato nel tessuto sociale/artistico, immobile, nel pigro conformismo. Un conformismo musicale che viveva di rendita proponendo il passato in modo soltanto "imitativo".

Il movimento del '68 ha dato coraggio a tutti (pur nella sua caotica e spesso violenta domanda). Il tempo però ha cancellato le esasperazioni lasciando a tutti noi una strada da percorrere senza ostacoli, senza tabù. Una strada nella quale si è potuto progettare, costruire liberando la fantasia, seguendo le esigenze propulsive e creative che ognuno di noi sentiva come bisogno, come urgenza vitale e culturale.

Il movimento del '68 ha ripreso la via che musicisti nel primo periodo del secolo scorso avevano tracciato. I monumentali Bartók, Ravel, Shostacovich, Cage, Maderna, Donatoni, Berio, Nono e così via in "bella compagnia". Musicisti compositori che hanno contribuito all'abbattimento del "muro musicale di Berlino" rappresentato in musica dalla impossibilità di convivenza tra consonanza e dissonanza, ciò facendo hanno liberato il "suono," la "fantasia" dalle gabbie conservatrici. Il movimento del '68 dunque a mio avviso ha dato il via ad una sprovincializzazione musicale, contribuendo anche al ripensamento sul centralismo europeo della musica classica e afroamericana per il jazz e non solo.

Il movimento del '68 ha dato soprattutto dignità a tutte le musiche provenienti da altre culture. Anche la lingua jazz si è liberata da alcuni ostacoli inglobando nuovi suoni rivitalizzati per nuove composizioni, nuove improvvisazioni, nuova linfa. Basterebbe ascoltare le ultime produzioni discografiche. Il problema di oggi è la globalizzazione.

Speriamo in... un futuro '68?

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