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Rimbaud Bridge, da Ferré a Zorn

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Al di là della singolare assonanza con il titolo di questo articolo, Hendrix e il suo Rainbow Bridge non c'entrano: è Rimbaud il protagonista di questa "esplorazione," il poeta-fanciullo che fra i sedici anni (scarsi) e i ventuno ha ribaltato le regole della poesia. Partendo da Baudelaire, certo, e abbinandosi a Verlaine, accanto al quale lo ritrae, in basso a sinistra, il celebre dipinto Le coin de table di Henri Fantin Latour del 1872 (di anni, Rimbaud, all'epoca ne ha diciotto; Verlaine dieci di più). È lui il ponte che collega un plotoncino di musicisti della più varia estrazione che nel corso degli anni si sono abbeverati alla sua opera, e alla sua figura, quanto mai singolare, per scrivere partiture sinfoniche, rigenerare testi in forma di canzone, creare entità ex-novo e altro ancora.

Il primo della lista è Benjamin Britten, che, ventiseienne, nel 1939 (anno in cui fra l'altro si trasferisce negli Stati Uniti, per rimanerci fino al '42) compone Les Illuminations Op. 18 per tenore o soprano e orchestra d'archi, dieci quadri della durata totale di venticinque minuti circa. Di impianto sostanzialmente classico, post-ottocentesco, l'opera tende a snodarsi attorno a grammature piuttosto "eroiche" (qua e là persino un po' auliche), ripiegando solo episodicamente su un registro più colloquiale, discorsivo-narrativo.

Con un intervallo di venticinque anni, si approda al 1964, anno in cui un Léo Ferré che viaggia ormai verso i cinquanta pubblica il doppio Verlaine et Rimbaud (Barclay), ventiquattro canzoni tratte appunto da poesie dei due amici (come si sa Ferré ha musicato anche svariati altri poeti, da Baudelaire ad Aragon, da Villon ad Apollinaire, solo per citare i più illustri). Di Rimbaud compaiono dieci testi, con una chiara prevalenza della produzione più precoce: tre poesie - "Le buffet," "Rêvé pour l'hiver" e "Ma bohème" - provengono infatti da "Cahier de Douai," opera di un Rimbaud sedicenne (ne fanno parte anche "Les dormeurs du Val," "La maline" e "Sensation," di cui diremo più avanti), cinque - "Les assis," "Les poètes de sept ans," "Mes petites amoureuses," "L'étoile a pleuré rose" e "Les chercheuses de poux" - datano 1871, e due - "Chanson de la plus haute tour," testo-cardine nato come canzone (di cui in effetti possiede ritmo e tono) e "Les corbeaux," da non confondersi con l'omonimo testo, teatrale, scritto da Henri Becque nel 1882, né con "Le corbeau," al singolare, traduzione di Baudelaire del poema in prosa del 1845 di Edgar Allan Poe "The Raven" - sono del 1872. Rimangono quindi fuori, in blocco, le due raccolte-chiave Une saison en enfer (aprile/agosto 1873) e Les illuminations (1873/75).

Un album triplo del 1982, Ludwig, l'imaginaire, le bateau ivre (RCA), ideale sintesi tra musica e poesia in cui Ferré dà libero sfogo alla sua vena di compositore/direttore "colto" ponendosi alla testa dell'Orchestra Sinfonica e Percussioni di Milano (dove il lavoro è inciso nel dicembre '81), contiene per parte sua i tredici minuti del celeberrimo "Bateau ivre" (estate 1871), sorta di mini-atto unico teatralmusicale (che in successive versioni live si allungherà anche di diversi minuti) fra il decadente e il luciferino. Sono invece rispettivamente del 1986 e del 1990 gli album (entrambi su etichetta EPM) On n'est pas sérieux quand on a dix-sept ans, il cui titolo richiama l'omonimo brano che lo apre (e che Rimbaud scrisse addirittura quando di anni ne aveva sedici, nel 1870), e Les vieux copains, con la coeva - e già citata - "La maline".

Per completare il capitolo-Ferré, è necessario fare un salto in avanti di dodici anni, fino all'autunno 2002, allorché i romani Têtes de Bois pubblicano Ferré, l'amore e la rivolta (Il Manifesto), che, in mezzo ai molti pezzi dell'artista monegasco, include anche le traduzioni delle appena citate "On n'est pas sérieux quand on a dix-sept ans" e "Le bateau ivre". Il primo brano, tradotto da Daniele Silvestri (che vi compare anche in voce e chitarra), diventa "Non si può essere seri a diciassette anni," mentre il secondo ("Il battello ubriaco," ovviamente) è in realtà una versione ridotta di due minuti e mezzo del poema (che consta di cento versi su venticinque quartine) musicata ex-novo e tradotta da Andrea Satta, cantante delle "teste di legno" (nome desunto, come molti sapranno, dal titolo di una canzone di Bécaud). Un anno dopo la sua uscita, il CD sarà Targa Tenco quale miglior album d'interprete, in un'edizione del Premio Tenco tutta centrata proprio sulla traduzione. Va ricordato, nello specifico, un pubblico dibattito pomeridiano in cui Enrico Medail, storico traduttore dei cantautori francesi (Ferré ma anche Brel, in realtà belga, com'è noto), attacca proprio la traduzione di "On n'est pas sérieux quand on a dix-sept ans," specificatamente il verso in cui Silvestri attualizza i "profumi di vigna e di birra" evocati da Rimbaud in "vino mischiato alla benzina". Benzina che, nel 1870, non si sapeva neanche cosa fosse, osserva - un po' capziosamente - Medail.

Negli anni Duemila, altri, dopo Ferré, si misurano con la poesia di Rimbaud per farne canzone. Dobbiamo però prima spendere qualche riga sui due brani che nel 1992 chiudono l'album Michael Nyman Songbook (Argo/Decca), con al centro la voce di Ute Lemper (e fra gli strumentisti Alexander Balanescu). Si tratta infatti di una doppia rilettura, scorporata, di una poesia scritta da Rimbaud nel maggio 1871 sulle suggestioni suggeritegli dall'esperienza della Comune di Parigi, "L'orgie parisienne, ou Paris se repeuple," che per l'occasione si scinde appunto in "Allez! on préviendra les reflux d'incendie" e "Quand tes pieds ont dansé," riprendendo parti diverse di un testo complessivamente di diciannove quartine (settantasei versi). Il clima è pieno, affermativo (specie nel primo dei due brani), con la voce - a tratti quasi urlata, certo scopertamente teatralizzata - che non si distacca, come entità, dal corpo orchestrale, in qualche modo attorcigliandosi invece con e su di esso. In formazione diversa, ma sempre con Ute Lemper primattrice, il Songbook nymaniano diventa anche un film di Volker Schlöndorff, mentre - riguardo specificatamente a "L'orgie parisienne" - va detto che nel 1998 la musica anche quel singolare artista che è Joe Fallisi, definito da Riccardo Venturi "la persona che più in Italia assomiglia a Boris Vian (...) un anarchico milanese (...) un tenore lirico e un compositore per piano (...) uno scrittore e interprete di canzoni, che va a suonare e cantare (spesso assieme ad Alessio Lega) dove lo chiamano. (...) Poi è un attore di teatro e cinematografico. Poi è laureato in filosofia. E poi è anche un notissimo astrologo" (www.antiwarsongs.org).

Progredendo cronologicamente - e rientrando in Francia - eccoci nel 2005 all'album di Jean-Louis Aubert (già membro, a cavallo fra anni Settanta e Ottanta, del gruppo rock Téléphone) Idéal Standard (Virgin), la cui ghost track è una versione musicata dallo stesso Aubert di "Sensation", poesia scritta nel marzo 1870 da un Rimbaud non ancora sedicenne. Del brano esiste anche un'interpretazione del musicista elettronico e dj Roudoudou. Il 2008, per parte sua, è l'anno in cui David W. Solomons, cantante, chitarrista e compositore giramondo originario di Oxford e poi spostatosi a vivere in ogni parte dell'Inghilterra, oltre che in Francia e a Hong Kong, musica uno dei testi- chiave del "repertorio" rimbaldiano, "Voyelles", sonetto di cui esiste anche una versione più recente (2011) del gruppo umbro-campano-pugliese Surd Ensemble, la cui cantante (nonché chitarrista e percussionista) è quella Sabrina Gambacurta che, dopo essersi misurata fra gli altri con Verlaine, Byron, Blake e Bukowsky, ha musicato, in chiave country-folk, appunto "Voyelles", conservandone il testo in francese, però modificato per esigenze metriche e per inserirvi un refrain.

L'opera più sostanziosa svolta in questo senso in Italia risale comunque al 2003 e si deve all'Ark Ensemble, vale a dire Sergio Altamura, voce e chitarra, Alberto Fiori, pianoforte, Giorgio Vendola, contrabbassista ben noto anche in campo jazzistico, e Pino Basile, percussioni. I quattro pugliesi pubblicano in quell'anno Rimbaud (Tre Lune), un album che, a parte "Chevaux de bois" di Verlaine, comprende tutte poesie (otto) del "veggente" nato nelle Ardenne (a Charleville) nel 1854 e morto trentasette anni dopo in quel di Marsiglia. L'attenzione spetta soprattutto a pagine delle Illuminations (1873/75, come già detto), testi, quindi - a parte "Chanson de la plus haute tour" e il nodale "Bateau ivre," come abbiamo visto già oggetto delle attenzioni di Léo Ferré e altri - mai toccati da operazioni analoghe. Si tratta, nell'ordine, di "Matinée d'ivresse," "Faim," "Après le déluge," "Le dormeur du Val" (unico antecedente alle citate Illuminations, risalendo all'ottobre 1870), "Phrases" e "Enfance V". Il trattamento, più che la forma-canzone, privilegia una sorta di recitativo, in un clima parsimonioso e concentrato, rigorosamente acustico, non esente da profumi jazzistici. Fa venire in mente certe operazioni compiute da un Mariano Deidda attorno a Pessoa, Pavese, ecc.

Già diverso, due anni dopo, il caso dell'Acustronic Ensemble in un altro CD interamente in tema, Free For(m) Rimbaud (AFK). In questo caso, infatti, i testi poetici sembrano costituire più che altro un pretesto, quasi una provocazione. Le stesse note di copertina del CD parlano del resto di una musica che "non c'entra con Rimbaud, ma entra in lui e ne disgrega l'immagine stantia". Stabilire se l'immagine di Rimbaud sia stantia o meno non rientra nei compiti di queste righe (e del resto richiederebbe uno spazio enorme); sta di fatto che i cinque dell'Acustronic annettono al testo poetico - trattato a volte con fare che verrebbe da definire straniante, demistificatorio - lo stesso potere (o non- potere) di nastri, rumorismi e diavolerie varie (fra cui anche strumenti canonici, peraltro) che popolano il lavoro.

Pur con tutti i distinguo del caso, con Free For(m) Rimbaud entriamo nel campo degli omaggi (da cui di fatto eravamo partiti con Britten), ambito entro cui, fra canzoni e composizioni della più varia natura, procediamo ora in ordine rigorosamente cronologico. Il primo esempio da fare è in questo senso anche il più noto (almeno da noi), visto che riguarda la canzone che nel 1976 Roberto Vecchioni dedica a Rimbaud in quello che è con tutta probabilità il suo album più ispirato, Elisir (Philips). Il pezzo in oggetto è ovviamente "A.R.," dove il cantautore milanese ripercorre, anche con immagini molto felici (certamente incisive), alcune "stazioni" della personale via crucis attraversata in vita dal poeta. Non senza citarne, a un certo punto, alcuni versi, tratti da "Mes petites amoureuses," già da noi incontrata parlando di Ferré ("Un hydrolat lacrymal lave / les yeux vert-chou, les yeux vert-chou / sous l'arbre tendronnier / qui bave vous cautchous").

Al 1979 risale invece la stesura di Une saison en enfer, sei movimenti (tre quarti d'ora in tutto) per soprano, pianoforte, percussioni (Jean-Pierre Drouet) e banda magnetica, da parte di Gilbert Amy, compositore parigino influenzato da Messiaen e Milhaud, quindi allievo e collaboratore di Pierre Boulez, che nel 1958 gli commissiona Mouvements, partitura eseguita fra l'altro a Darmstadt, dove, fino al '61, Amy segue le lezioni di Karlheinz Stockhausen, per diventare l'anno seguente, voluto da Jean-Louis Barrault, direttore del Teatro dell'Odéon di Parigi, il che gli dischiude una brillante carriera di direttore d'orchestra, fra Europa e Argentina, senza dimenticare il ruolo da lui ricoperto negli anni Settanta, con spirito fortemente innovativo, presso l'ORTF.

Passando al 1986, e su tutt'altra sponda, eccoci a Meteo Für Nada (Masq) del cantautore rock Hubert-Felix Thiefaine, alias HFT (Jura, 1948), sodale fra gli altri di Johnny Hallyday, album che c'interessa perché contiene il brano "Affaire Rimbaud" , con una chitarra molto metallica (però acustica) a sostenere una vocalità rotonda quanto affermativa. Tornando in Italia, ci sono altre due canzoni da menzionare. La prima è "Morte di un poeta", inserita nel 1994 nel disco d'esordio dei Modena City Ramblers Riportando tutto a casa (Helter Skelter). La dedica, in questo caso, riunisce Rimbaud con tutta una serie di altri poeti - in senso lato - dal destino tragico, quali Helno, cantante dei Negresses Vertes morto per overdose nel 1993, Shane McGowan, leader dei Pogues, che più o meno nello stesso periodo lascia il gruppo per rifugiarsi a New York col proposito di uscire dall'alcoolismo, e lo scrittore dublinese Brendan Behan, morto a sua volta per coma epatico nel 1964. Il secondo brano, di tratto vagamente gucciniano, appartiene invece a Questo ed Altro, album del 1999 del cantautore cremonese Fabrizio Gatti. S'intitola - inequivocabilmente - "1891 Arthur Rimbaud" ed è costruito attorno alle suggestioni generate da un viaggio compiuto da Gatti nei luoghi natali di Rimbaud.

Al di là, infine, delle analogie da più parti individuate fra l'autore delle Illuminations e Jim Morrison (specificatamente in Rimbaud and Jim Morrison: The Rebel As Poet di Wallace Fowlie, tradotto anche in Italia dal Saggiatore, a cui rimandiamo per gli approfondimenti del caso), non prima di aver quanto meno citato il brano "Wild Child" (in The Soft Parade, quarto album dei Doors), che si ha motivo di ritenere dedicato a Rimbaud (nonché al road manager del gruppo Danny Sugerman), eccoci al 28 agosto 2012, data d'uscita di Rimbaud (Tzadik) di John Zorn, album che di fatto ha ispirato questo sopralluogo (esente da ogni pretesa di completezza, si capisce) sui rapporti fra il poeta e la musica che su di lui e attorno a lui ha preso forma nel corso degli anni.

Il CD, certo ai vertici dell'ultima produzione zorniana, consta di quattro brani di durata analoga (da undici a poco più di dodici minuti), ciascuno con una sua specificità, di referente letterario e di tragitto musicale. Così, l'iniziale "Bateau Ivre," solo strumentale (come d'altronde il resto, tranne l'episodio finale), utilizza un organico e un linguaggio squisitamente cameristico- contemporaneo, con clarinetto (Rane Moore), flauto (Tara O'Connor), vibrafono (Al Lipowsky) e archi vari in bella mostra. "A Season in Hell" (ovviamente "Une saison en enfer") sposa la causa elettronica (con qualcosa che rimanda a Stockhausen). "Illuminations" è un piano trio di notevole libertà e apertura, mentre il conclusivo "Conneries" (cioè "fesserie") fa ricorso alla parola, detta (da Mathieu Amalric), largamente teatralizzata, di tono non di rado apocalittico, e del resto appoggiata su fondali sonori aggricciati, inclini al delirante (a iniziare dall'alto di Zorn). I testi, posti a mo' di relitti bradi in questo mare in burrasca (tranne il sottofinale, disteso sopra un riff pianistico decisamente più rassicurante), provengono dai cosiddetti Poèmes zutiques, contributi offerti da Rimbaud a un'opera collettiva realizzata dal Cercle Zutique (di cui faceva parte anche Verlaine) a cavallo tra 1871 e '72, testi parodistico-scurrili, non di rado "graficizzati," gestualizati (nonché abbinati a disegni), tali da preludere in qualche misura ai calligrammi apollinairiani. Come si sarà inteso, l'ambientazione offerta nel disco a questo florilegio poetico non è da meno, rispetto al tono dei versi selezionati (fra i quali compare, tanto per fare un esempio, "L'idole," sottotitolo "sonetto del buco del culo"; ma ci sono, per contro, anche delle "Proses évangéliques"...).

Nella realizzazione dell'opera, Zorn coinvolge in totale quattordici elementi (compreso lui), tra i quali, oltre ai già citati, i fedelissimi Ikue Mori. Kenny Wollesen e Trevor Dunn. E qui possiamo mettere finalmente un punto. Naturalmente del tutto provvisorio.

Foto di Edward Morgan (Britten), Corbis (Ferré), Etienne Carjat (Rimbaud), Benoît Derrier (Thiefaine), Bruno Bollaert (Zorn).


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