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Ravenna Jazz 2010

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L'edizione 2010 del Ravenna Jazz - la trentasettesima per gli almanacchi - si è svolta con la formula che ha caratterizzato gli appuntamenti degli anni precedenti: doppio concerto per tre sere consecutive, nel mese di ottobre. Un momento della stagione dove l'appassionato di jazz ha archiviato le emozioni dei festival estivi e mette mano all'agenda per scegliere gli eventi di maggiore interesse. Ravenna dunque - città ospitale e affascinante -, a prescindere, è tappa obbligata. Perché la kermesse presenta sempre un cartellone dove si possono trovare spunti di interesse, e perché i concerti si tengono al Teatro Alighieri, una location di bellezza suggestiva dove - e non è roba da poco - si può godere di un'acustica di buon livello.

Tre sere dicevamo. La prima dedicata alla figura di Django Reinhardt, nel centenario dalla sua nascita (23 gennaio 1910), e due che hanno visto protagonista Stefano Bollani e le sue diverse declinazioni artistiche. Ma cosa hanno in comune il geniale chitarrista e il pianista italiano? Probabilmente, il nomadismo. Il primo era nomade per natura, aveva l'anima ambulante, era un irregolare. Come il secondo del resto, che è nomade nell'intenzione: suona da solo, in duo, con l'orchestra; ora è carioca, poi jazz standard, o anche pop all'occorrenza. Ma andiamo con ordine:

8 ottobre: About Django

Ravenna, esterno notte. Sono solo le 20, ma si ha la sensazione che nulla potrà più accadere. Strade deserte, insegne spente, tra i vicoli è caccia all'ultima piadineria aperta, per una cena fugace. Invece, qualcosa accade. Sul palco del Teatro Alighieri salgono cinque figure dissimili. Sono i Manomanouche, band devota alle sonorità di Reinhardt composta da due chitarre, sax, contrabbasso e fisarmonica. Spetta a loro aprire il festival, e lo fanno senza lasciare un segno di grande incisività, anche se nel proprio set vanno rintracciati diversi motivi di interesse. A cominciare dalle doti tecniche dei due chitarristi, Nunzio Barbieri e Luca Enipeo, capaci di elevarsi in discorsi solitari intensi e di precisissima profondità espressiva, ma anche di accompagnare gli slanci del fisarmonicista Massimo Pitzianti e di Diego Borotti al sax, ai quali va riconosciuta una buona versatilità. Un'ora di concerto sviluppata su tempi medio-lenti, dove l'anima di Django è stata omaggiata con un pizzico di nostalgia e senza grandi impennate di esuberanza.

Di tutt'altra andatura il secondo concerto in programma. Sul palco si presenta il Trio Rosenberg: tre cugini olandesi autodidatti, frizzanti, simpatici a pelle. Si mettono in tasca i consensi del pubblico presente - fino a quel momento vagamente assopito - con una versione tiratissima di "What Kind of Friend," che vede Stochelo Rosenberg sciorinare una tecnica chitarristica incendiaria. Velocissimo, capace di un sound efficace e coinvolgente strappa applausi sinceri. Due gli ospiti invitati a prender parte alla serata: il fisarmonicista Marcel Azzola e lo strepitoso violinista rumeno Florin Niculescu. Il primo attenua gli slanci dei cugini indiavolati con una dose massiccia di classe ed esperienza; il secondo ruba letteralmente la scena al resto della band. Il suo modo di suonare il violino è di una bellezza clamorosa: traccia melodie angolari e di notevole attrattiva. Sul finire dell'esibizione si ritrovano tutti e in cinque sul palco, ed è difficile tenere gli occhi fermi su un unico particolare e cogliere tutte le sfumature. Ancora applausi.

Non c'è stato il tutto esaurito in questa prima serata, ma i presenti si sono portati a casa una buona dose di sensazioni positive e uno spaccato interessante sul mondo del gipsy jazz, inquadrato da angolazioni diverse che si sono completate a vicenda.

9 ottobre: Bollani Party 1

Il tutto esaurito era prevedibile per la serata di sabato che ha visto protagonista assoluto Stefano Bollani, prima in duo con Enrico Rava e poi con il Danish Trio, completato da Jesper Bodilsen al contrabbasso e Morten Lund alla batteria. A che punto è la love story tra Rava e Bollani? Sul palco del Teatro Alighieri si è visto un duo che sta attraversando un momento di quieta routine, nel quale si continua a seguire la medesima forma espressiva, fatta di una frammentazione e ricomposizione di standard con in mezzo una serie di intuizioni - soprattutto da parte del pianista - che dilatano e cambiano un discorso altrimenti, dai più, già conosciuto. Il tutto cadenzato da gag e situazioni esilaranti che prendono vita da accadimenti imprevisti: lo scoppio di una luce sul palco, un microfono che si ribalta. Bollani - abbigliamento pop, jeans strappati e maglietta sgualcita - indica la strada da percorrere con il suo consueto approccio multivisionario; contorcendosi sullo strumento come un animale in cerca del pieno godimento. Rava rimane in scia senza tentare mai il sorpasso. Nel complesso li abbiamo visti più ispirati in altre occasioni, anche se il loro set rimane di elevata caratura.

Con il Danish Trio si cambia registro. Bollani sembra più voglioso di creare musica e interloquire con i due danesi. Ne viene fuori un concerto tirato ed entusiasmante. I tre producono musica colorata, distante dalle atmosfere chiaroscurali e pensose dell'ultimo Stone in the Water targato ECM. Bodilsen e Lund tradiscono le loro radici nordiche producendo una spinta ritmica di matrice mediterranea e dall'entusiasmo sudamericano. D'altra parte lo stesso Bollani ha di recente dichiarato di trovarsi in un periodo «vistosamente brasiliano», e forse, inconsapevolmente, questo spinge anche chi gli suona affianco ad usare tinte forti, senza indugi. Un paio di soli di Lund d'accecante bellezza ricevono applausi a scena aperta e restano impressi nei ricordi un concerto senza smagliature.

Uscendo dal teatro stavolta troviamo una Ravenna in festa, è la "Notte d'oro": negozi aperti e musica ovunque, incluso il concerto di un Samuele Bersani sempre in buona vena.

10 ottobre: Bollani Party 2

La rassegna ravennate si risolve con la seconda serata di carta bianca a Stefano Bollani. È la volta dell'esibizione in solo. E come di consueto il pianista non si risparmia. Dedica l'intera performance a «un compositore italiano contemporaneo, che sarei io». Scorrono dunque in sequenza le varie "Elena e il suo violino," "Il barbone di Siviglia," fino alla conclusiva "Buzzillare" richiesta dal pubblico. Temi fatti a coriandoli e rincollati grazie a una capacità unica di andare a pescare in una libreria musicale ampissima, senza il minimo indugio, senza mai un appiattimento di stile, senza cercare il passaggio scontato o la soluzione troppo comoda. Bollani ama rendersi la strada contorta, alla ricerca di una conclusione imprevista e soddisfacente. Le immancabili gag e un'ellissi improvvisativa ispirata rendono il suo percorso solitario di estremo interesse.

Come interessante si è rivelato l'ultimo concerto in programma, unica produzione originale proposta dal festival denominata Bollani e Convidados, rivolto alla musica brasiliana. Una performance caratterizzata da quel sottile velo di saudade che avvolge e rende unica questa musica tra le musiche del Mondo. Per l'occasione Bollani chiama a raccolta una formazione inedita con i fidati Mirko Guerrini al sax e Nico Gori al clarinetto, il flautista Nicola Stilo e la cantante Barbara Casini, colei che gli ha trasmesso, molti anni fa, l'amore per la bossa e tutto ciò che profuma di Brasile.

Bollani indovina l'approccio scegliendo un profilo essenziale, capace di far risaltare le doti dei solisti. In maniera particolare si lascia apprezzare Nicola Stilo, con quel suo timbro strumentale asciutto, pregno di sofferenza e di profondità espressiva. Applausi sinceri e ringraziamenti di rito. Sembra una conclusione di serata come tante, salvo che poi - a luci accese - il pianista salta di nuovo sul palco, per travolgere il pubblico con un'imitazione di Fred Bongusto. Ancora applausi, misti a sorrisi irrefrenabili. Sipario, stavolta sul serio.

Foto di Giorgio Ricci.

Ulteriori immagini di questo festival sono disponibili nella galleria dedicata al concerto di Enrico Rava e Stefano Bollani


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