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Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI - Gustav Mahler

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Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI

Gustav Mahler: Sinfonia n. 2 in do minore "Resurrezione"

Auditorium RAI - Torino - 20.01.2006

Si è concluso dopo otto anni l'"esilio" concertistico dell'Orchestra Rai al Lingotto: tanto tempo (e tanti ritardi) ci sono voluti per il completamento dei lavori di ristrutturazione della "casa-madre" di Via Rossini.

Il direttore artistico Daniele Spini non avrebbe potuto scegliere, per la serata di inaugurazione dell'Auditorium rinnovato, una composizione più azzeccata della Sinfonia n. 2 di Gustav Mahler, nota come "Resurrezione".

Messe in un angolo leàà allusioni sarcastiche suggerite dal titolo, infatti, il grande dispiegamento di mezzi richiesto dalla partitura fornisce un efficace test sulle qualità della sala.

Occhi e orecchie hanno subito modo di notare la riduzione della distanza "acustica" e "psicologica" tra palcoscenico e sala, tale da conferire nuova anima e calore ad un luogo caro al pubblico, forse intimidito, in precedenza, dalla vastità un po' impersonale del Lingotto.

Non c'è più la cupola che sovrastava la sala; l'eliminazione della "conchiglia" del palco, dell'architrave e dei pilastri che separavano i due ambienti è stata decisiva per la predisposizione di uno spazio sonoro sufficientemente omogeneo.

A ottimizzare la resa complessiva contribuiscono poi i pannelli disposti verticalmente lungo le pareti e orizzontalmente sopra il palco.

Fanno eccezione ai miglioramenti percepibili in platea, le zone più laterali della galleria e della balconata, decisamente deficitarie sia dal punto di vista acustico che, soprattutto, sul piano della visibilità.

Arricchiscono, comunque, il clima festoso e fastoso che si conviene all'evento inaugurale gli ornamenti floreali del palco e la presenza scenica del Coro Filarmonico "Ruggero Maghini" di Torino, collocato in alto dietro l'orchestra.

Rituale celebrativo e nulla più, quindi?

Figurarsi!

A fugare un simile rischio sono proprio le caratteristiche espressive intrinseche alla sinfonia, dalle atmosfere mai ovvie, spesso ben poco "rassicuranti".

Lasciato da parte lo spartito, il direttore principale Rafael Frühbeck de Burgos plasma con mano sicura il suono orchestrale, che si rivela sin da subito adeguatamente compatto e nel contempo agile, specie nei passggi in cui occorre mettere in risalto i contrasti e le saturazioni timbriche.

Lo si nota già nelle battute iniziali del primo movimento, dove, dopo il grido soffocato degli archi gravi, si susseguono, in tutta la loro stridente contraddittorietà, la cupezza funerea e la cantabilità eterea che caratterizzano i due temi principali; altrettanta (se non maggiore) sintonia con lo spirito dell'opera vivificherà il finale, nel lungo e tormentato percorso verso l'apoteosi.

Ampio e potente, l'armamentario percussivo sottolinea con violenza gli sprofondamenti dell'anima nella nigredo, mentre legni e archi le offrono un lieve ristoro, di cui i corni e gli ottoni gravi evocano tuttavia la natura inesorabilmente transitoria.

Di converso, la rarefazione dell'Andante Moderato soffre di un'interpretazione un po' piatta, che finisce per soffocare le sottili ambiguità a un tempo tragiche e beffarde di questa pagina.

Eccitato da un impulso ritmico irresistibile, che sottende il trascolorare dei differenti climi espressivi dal marziale al triviale, dall'elegiaco al mellifluo, sembra più riuscito il terzo movimento: è una vera e propria summa della magistrale molteplicità dei registri mahleriani, alla quale, diversi anni dopo, un altro maestro della "complementarietà" come Luciano Berio avrebbe rivolto la sua attenzione inserendola tra i materiali citati in Sinfonia.

Le dimensioni contenute dell'Auditorium consentono di apprezzare appieno, in Urlicht - senza il penalizzante effetto di dispersione a volte indotto dall'ampiezza del Lingotto - il canto ispirato del contralto Sara Mingardo, accompagnato verso la luminosità del finale dagli ottoni solenni e dalle malinconie dell'oboe e del violino.

La pagina conclusiva porta all'estremo le tensioni interne, risolvendole nella sublimazione proprio quando paiono sul punto di esplodere: s'inizia con i corni fuori scena, invisibili, ad avvolgere la sala tra fasce sonore filtranti attraverso le porte laterali.

All'immersione in questa dimensione "straniata" consegue una fascinazione che non è fine a se stessa, evocando piuttosto l'inesprimibile anelito dell'anima alla trascendenza.

Ma il parossismo degli ottoni e delle percussioni, (tra citazioni iterate del Dies Irae e brutali scosse), gli stravolti motivi bandistici ripetuti da alcuni fiati e da un timpano fuori scena (sembra di ascoltare un'anticipazione degli esperimenti di spazializzazione e dei montaggi eterogenei di Charles Ives), conducono nuovamente l'ascolto alle soglie di un abisso di disgregazione, accentuando ancor più la sensazione di sfasamento percettivo.

Inaspettata, tuttavia, si profila nell'oscurità la via della redenzione: al richiamo di corni e trombe in lontananza risponde lo struggimento del flauto dell'eccellente (come di consueto) Giampaolo Pretto, liricamente intrecciato con l'ottavino, dando vita a uno dei passaggi più estatici dell'intera composizione.

A quindici minuti dall'inizio del movimento, l'Ineffabile si incarna nelle voci dei cento (e oltre) coristi del "Maghini", che si uniscono alla Mingardo e all'espressivo soprano Elisabeth Norberg-Schulz per il Canto della Resurrezione.

Adesso è la commozione suscitata in Mahler dalla poesia religiosa di Klopstock (ascoltata durante le esequie dell'amico direttore d'orchestra Hans Von Bülow), a risuonare magnificamente nell'intera sala, fortificata dalla certezza del trionfo della vita sulla morte, del Sommo Bene sul male e sul dolore, esaltata da campane finalmente giubilanti e dagli accordi dell'organo.

Non si dà a priori questa certezza - suggerisce la vibrante interpretazione, percorsa dapprima da sommessi fremiti, poi dallo slancio sempre più sciolto verso il Creatore - ma si conquista lottando, soffrendo, in una parola: vivendo.

In altre due occasioni la festa dell'inaugurazione ha avuto un seguito molto apprezzato: domenica 22 e 29 gennaio l'Auditorium ha aperto le porte gratuitamente alla città, ospitando in tutto tredici concerti di complessi cameristici formati da componenti dell'Orchestra, applauditi da un pubblico numerosissimo e decisamente partecipe; ai tradizionali omaggi a Bach, Mozart, Beethoven, Brahms e alle "Stagioni" di Vivaldi si sono alternati programmi meno consueti, all'insegna del raffinato divertissement, con musiche di Piazzolla (eseguito da un quintetto d'archi con fisarmonica, ma anche da un insolito ensemble barocco), Bernstein (con brani di "West Side Story" arrangiati per trio di percussioni), oltre a standard jazzistici (da Take Five a Mood Indigo) rielaborati dal quintetto di ottoni Brass Express.

Meritano dunque di essere segnalate le dimensioni inattese del successo conseguito dall'evento - oltre ventimila presenze - che sembra riduttivo spiegare soltanto con l'ingresso gratuito, e suggeriscono, anzi, l'ipotesi che non sia tanto sparuto il numero di quanti si lasciano ammaliare da Frau Musika, tuttora capace di divertirsi e divertire con intelligenza. Ancora una volta viene da chiedersi se sia da inguaribili utopisti esigere dagli amministratori pubblici, oggi, in Italia, la giusta attenzione verso la musica e la cultura, in questi tempi di "tagli" scellerati...


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