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Open World Jazz Festival - X Edizione

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Ivrea - 20-22.10.2011

L'Open World Jazz Festival di Ivrea compie dieci anni. Di questi tempi, che a buon diritto gli organizzatori della rassegna definiscono difficili, non è cosa da poco.

Filo conduttore di questa edizione 2011 erano le contaminazioni. Tema in qualche modo implicito in un festival denominato Open World, e il cui direttore artistico, Massimo Barbiero, è un musicista che da oltre vent'anni mescola, contamina con naturalezza, novecento euro-colto ed echi africani, temi rock alla Genesis e jazz d'avanguardia.

Ed è stato proprio Massimo Barbiero il protagonista del concerto di apertura del festival, con il suo gruppo di sole percussioni Odwalla. Da sempre sosteniamo che ogni concerto di Odwalla è una festa per le orecchie e per gli occhi. La sola presenza sul palco di otto percussionisti (e relativi strumenti), tre cantanti e cinque danzatori è, di per sé, motivo di interesse. Il concerto diventa spettacolo teatrale, con i danzatori che si fanno carico di rendere manifesto il non-detto, il portato emozionale di una musica che, al di là della sua complessità ed articolazione ritmica, riesce comunque ad essere immediatamente fruibile ed a stabilire un livello di comunicazione diretto con l'ascoltatore.

Naturalmente si potrebbe anche affrontare il tutto in modo analitico e parlare a lungo di strutture compositive, di frammenti minimalisti alla Steve Reich, di alternanza tra scansioni pari e dispari. Ma sarebbe solo danzare di architettura, come diceva Stravinski. Un'inutile riduzione al razionale di una realtà musicale più semplice e al tempo stesso più complessa di una sua qualsiasi descrizione verbale. Un concerto di Odwalla va ascoltato e va visto. Punto.

Non a caso, l'ultimo lavoro discografico del gruppo (Isis, recentemente uscito per la Splasc(h)) include anche un DVD, l'unico supporto in grado di restituire in modo fedele, o quanto meno non troppo infedele, le performance della band.

La seconda serata del festival ha visto sul palco un altro musicista di casa a Ivrea, il chitarrista Maurizio Brunod, in compagnia di Giovanni Palombo. Qui l'incontro, la contaminazione, era tra due linguaggi chitarristici e musicali. Quello jazzistico e della sperimentazione (Brunod) e quello più vicino al classico e al folk (Palombo). Brani di scrittura marcatamente chitarristica, belle e rotonde melodie, con qualche eccesso estetizzante. Da segnalare la meravigliosa voce strumentale delle chitarre di Brunod (sia l'elettrica che la classica), frutto di un lavoro specifico sul suono che il chitarrista sta portando avanti da lungo tempo e con ottimi risultati.

Con il quartetto di Carlo Actis Dato (Beppe Di Filippo a sax alto e soprano, Matteo Ravizza al contrabbasso, Daniele Bertone alle percussioni) le contaminazioni hanno invece preso la via dell'Africa e dell'Oriente. Un concerto in forma di viaggio - ogni brano una destinazione diversa - nel quale composizioni rigorose e melodie articolate si sono scontrate e stemperate nelle consuete gag comiche del gruppo, ai limiti della bonaria follia. Un concerto interessante e divertente, dai ritmi serrati e suonato a tutta manetta. Il che è senza dubbio, da sempre, il pregio e il limite della proposta di questo quartetto. L'atteggiamento scanzonato dei musicisti aiuta a spezzare la tensione, ma sostenere un'ora di concerto a tutta velocità e a tutto volume, è francamente faticoso. Qualche momento musicale più tranquillo e riflessivo può solo giovare.

Chiusura di festival con il duo Paolo Fresu - Uri Caine, che ha proposto un repertorio prevalentemente incentrato sui classici del jazz, con qualche incursione nella canzone d'autore e nel Seicento italiano. Ho ascoltato per la prima volta questo duo una decina di anni fa. L'impressione che ne avevo tratto allora era che, al netto dell'immensa classe di entrambi, Fresu e Caine sono due musicisti stilisticamente troppo distanti per funzionare come coppia. Uno più efficace sulle ballads, sui tempi lenti nei quali disegna meravigliose melodie. L'altro più nervoso, guizzante, impregnato di blues, si esprime al meglio quando può lasciare le mani libere di correre sulla tastiera.

Oggi, dopo averli ascoltati ad Ivrea, rimango dello stesso parere. Nonostante il passare degli anni, la distanza stilistica - che certamente rappresenta una sfida musicale piacevole per entrambi - è rimasta immutata, e fatica a trovare un terreno di incontro comune in cui le reciproche differenze si possano complementare. Paradossalmente, i momenti più riusciti del concerto sono stati dunque quelli in cui il duo si è allontanato dal jazz, per proporre frammenti di musiche del Seicento: una composizione di Claudio Monteverdi ed una di Barbara Strozzi. Brani dalla struttura forte, interpretati lasciando ben poco spazio, e sempre molto ben controllato, all'improvvisazione.

Foto di Luca d'Agostino (le prime due) e Paolo Dezzutti (l'ultima).

Ulteriori immagini di questa rassegna sono presenti nel foto racconto ad essa dedicato.


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