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Open World Jazz Festival
ByNel cinquantenario della morte di Adriano Olivetti, l'Open World Jazz Festival si è richiamato esplicitamente - nei luoghi e negli intenti programmatici - alla figura di questo imprenditore illuminato, cui la città di Ivrea deve molto.
"Più avanti vai, più devi guardare indietro, ricordare da dove vieni", dice il programma del festival, citando Leo Smith. Guardando indietro, neanche troppo lontano, troviamo una Ivrea particolarmente fiorente. C'è stato un tempo in cui questa zona era una sorta di Silicon Valley, per certi versi tecnologicamente più avanzata di quella californiana. Poi, il timone dell'Olivetti che passa di mano in mano. Qualcuno - cui certa intellighenzia tuttora riconosce patente di grande imprenditore solo per questioni di schieramento politico - pensa che l'azienda debba fare finanza, invece che prodotti e tecnologia. Gli esiti, li conosciamo. L'Olivetti pressoché smantellata. Un'intera città che subisce un periodo di declino. Ma questa è un'altra storia.
Obiettivo del festival, e della Settimana della Cultura d'Impresa, era piuttosto riflettere su come l'eredità di Adriano Olivetti abbia influenzato e permeato la cultura locale. La voglia di ricercare, di innovare, di confrontarsi.
Coerentemente con questi obiettivi, il cartellone del festival ha dunque dato ampio spazio a musicisti locali, ed alla loro interazione con elementi altri.
Apertura con Odwalla, gruppo locale che già nel nome ha un chiaro riferimento a un orizzonte non propriamente canavese (è il titolo di un brano degli Art Ensemble of Chicago), ospiti un balletto del Benin ed il batterista degli A.E.o.C., Famoudou Don Moye. Non abbiamo potuto assistere al concerto, ma colleghi affidabili ce ne hanno parlato in termini molto positivi. Del resto, lo sappiamo bene, ogni concerto di Odwalla è un'autentica festa per le orecchie e per gli occhi.
Meno immediato, ma non per questo cerebrale, il duo Markus Stockhausen - Ferenc Snétberger, che ha esplorato quei territori di mezzo tra jazz ed atmosfere eurocolte. Strutture abbastanza semplici, incentrate su pedali di due accordi, qualche veloce unisono, un'ottima amalgama tra le voci dei due strumenti. Sebbene non particolarmente intenso dal punto di vista della scrittura, il concerto ci ha comunque appassionato per la bellezza del suono di Stockhausen. Il tedesco ha un timbro strumentale limpidissimo. Di impostazione certo assai poco jazzistica. Ma chi lo ritiene freddo, forse non ha mai avuto il piacere di ascoltarlo dal vivo. Emozione pura.
Con la voce di Laura Conti, accompagnata dalla chitarra di Maurizio Verna, siamo invece entrati in un ambito più popolare. Al centro del concerto, la rilettura della tradizione locale (ma non solo), con particolare attenzione al tema dell'amore, declinato in tre forme: l'amore sacro, l'amore terreno, e l'amore per la libertà. Canzoni partigiane, rivisitazioni ironiche di temi sacri, serenate all'amata. Una proposta divertente nella forma, impeccabile nei contenuti. Ottima la voce della cantante, duttile e comunicativa. Delicato e pertinente l'accompagnamento del chitarrista, eccellente nel creare colorati e mutevoli paesaggi sonori.
Chiusura di festival con gli Enten Eller (Alberto Mandarini, Maurizio Brunod, Giovanni Maier, Massimo Barbiero), affiancati per l'occasione da Javier Girotto. In scaletta, brani tratti in prevalenza dal recente album Ecuba, tra i migliori CD usciti nel 2010. Il nome della band, Enten Eller, deriva da uno scritto di Søren Kierkegaard, e corrisponde al latino aut aut. In questa serata, come del resto in qualunque lavoro del gruppo, più che alla scelta drastica suggerita dall'Enten-Eller di kierkegaardiana memoria, abbiamo però assistito ad una meravigliosa armonia degli opposti, che ci conduce piuttosto ad Eraclito (o ai concetti di yin e yang, se preferite). Il free di certe torride improvvisazioni ("Pragma") e la delicatezza di dolcissime melodie ("Cristiana"). L'anima intrinsecamente, ontologicamente jazz, e le sonorità che a tratti sfiorano (oltrepassano?) l'heavy metal. Il divertimento dei musicisti sul palco e la tensione espressiva che traspare da ogni singolo brano. Lo scomporsi ed il ricomporsi del gruppo in sottoinsiemi strumentali diversi, quasi un gioco del Lego, capace di dare vita a costruzioni musicali sempre nuove. Gran concerto!
A margine della manifestazione, come è ormai consuetudine per ogni jazz-festival che si rispetti, una serie di eventi collaterali. Presentazioni di libri ("Speak Jazzman" e "Jazz Is a Woman" di Guido Michelone, "Enten Eller" di Flavio Massarutto e Luca D'Agostino), le mostre fotografiche di Paolo Dezzuti e di Luca d'Agostino, concerti- aperitivo con il trio di Filippo Cosentino e il duo Giorgio Fiorini-Gianni Denitto, dopo festival con il Phlebas Quartet e l'Ecaroh Jazz Quintet, stage di danza africana, stage di chitarra con Ferenc Snétberger.
Foto Phocus Agency.
Ulteriori immagini di questo concerto sono disponibili nella galleria immagini.
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