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Gegé Telesforo e il "suo" jazz
ByIl jazz è la musica più bella, perché è la più difficile da suonare ma anche la più divertente quando la conosci. Come un bel gioco, quello che non ti stanca mai
All About Jazz: Ricordi la prima volta che hai ascoltato musica jazz?
Gegé Telesforo: Sono nato e cresciuto in una casa con un papà appassionato e profondo conoscitore di jazz. Pare che ancora in culla mi proponesse i suoi vinili preferiti, i classici standards, ma anche i musicisti contemporanei dei primi anni Sessanta, per sedare la mia insonnia da infante. Col senno di poi i fatti hanno confermato che queste informazioni musicali subliminali hanno avuto successo. Oppure no, dipende dai punti di vista.
AAJ: Ricordi il primo disco jazz che hai acquistato?
G.T: Credo di aver acquistato intorno agli 11 anni un vinile di Art Blakey and Jazz Messengers, un live intitolato Kyoto.
AAJ: Chi è il tuo artista preferito?
G.T: Se devo fare un solo nome, direi Ella Fitzgerald.
AAJ: Se tu fossi stato un jazzman americano, di quale corrente avresti fatto parte?
G.T: Sicuramente quella Hard-bop di metà anni Cinquanta legata alla Blue Note con Lee Morgan, Jazz Messengers, Horace Silver, Hank Mobley, Grant Green, fino ad Herbie Hancock e Shorter giovanissimi.
AAJ: In che misura pensi che il jazz abbia influenzato la tua musica?
G.T: La mia musica è jazz nella mentalità, nelle strutture, anche se ritmicamente molto spesso gira sui groove.
AAJ: Come mai hai sentito l'esigenza di coinvolgere jazzisti nei tuoi dischi? Cosa cercavi che non potevi trovare in un musicista "non jazz"?
G.T: Swing, blues, improvvisazione, suono, e una buona dose di humor old school fanno parte integrante della mia musica e della mia natura. Cose che trovo esclusivamente in musicisti che suonano o provengono dal jazz.
AAJ: Quale musicista jazz (vivente oppure no) ti piacerebbe che suonasse in uno dei tuoi dischi?
G.T: Un giro con Hancock lo farei volentieri.
AAJ: Un bambino di 6 anni ti chiede: «Cos'è il jazz?». Tu cosa rispondi?
G.T: Quello che dico a mia figlia: «Il jazz è la musica più bella, perché è la più difficile da suonare ma anche la più divertente quando la conosci. Come un bel gioco, quello che non ti stanca mai».
AAJ: Dalle bettole di New Orleans a raffinati jazz club. Il jazz oggi è ancora pop music, nel senso di popular?
G.T: Il jazz è musica, da ascoltare, ballare, suonare, canticchiare sotto la doccia... se solo ce la facessero sentire anche in radio e in televisione, molta gente non sarebbe così prevenuta.
AAJ: Fra le tante influenze del jazz sulla popular music, quale pensi sia la più significativa?
G.T: Faccio solo due nomi: Quincy Jones con Michael Jackson e Herbie Hancock, ancora lui, con "Rock it" o "Cantalupe Island" versione US3!
AAJ: Credi che il jazz storicamente sia stato più reattivo (nel senso che ha seguito e incorporato trend lanciati da altri generi musicali) o attivo (nel senso che ha lanciato trend poi seguiti da altri generi musicali)?
G.T: Storicamente il jazz è stato prima attivo e in seguito reattivo. Il jazz ha manipolato il blues a suo piacimento. Si è speziato di suoni e ritmi latini, afro... come dire... ha viaggiato parecchio. Il suo futuro è già scritto nella sua storia. Tutto il resto è rock'n'roll.
AAJ: Frank Zappa pensava che il jazz non fosse morto, ma che avesse semplicemente «un odore un po' curioso». Tu che odore senti?
G.T: Se lo diceva Zappa! Il jazz emana ancora oggi un afrore inconfondibile, penetrante e sensuale al tempo stesso.
AAJ: Il jazz salverà il mondo?
G.T: Credo proprio di no, troppe responsabilità. Ma quando lo si ascolta, il mondo gira, anzi, swinga molto meglio.
Foto di Pedrazzini (la prima) e Giugliarielli (la seconda).
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