Nate Wooley - Paul Lytton: Creak Above 33

In un incrociarsi frenetico di frecce e collegamenti, i due musicisti - ciascuno con la propria personalità - tentano l'impresa di mappare idee, riferimenti, dubbi, domande, contesti, nei quali si muove la loro ricerca di improvvisatori.

Qualche malalingua potrebbe sottolineare la "confusione" in cui versano i due musicisti, ma io credo invece che questi due schemi siano invece estremamente esemplificativi della ricchezza di pensiero e di domande che la migliore improvvisazione si pone, di come anche le traiettorie sperimentali più ostiche nascano da una continua - e quasi sempre onesta - riflessione sulla natura stessa del fare musica.

Eccola dunque, la musica.

Quattro lunghe improvvisazioni [tutte comprese tra i 12 e i 15 minuti] che ripropongono con bruciante attualità alcuni grandi interrogativi dell'istanza creativa: come trovare un linguaggio comune nella spontaneità? Dove finiscono i limiti accettati di uno strumento e dove comincia il reame dell'esplorabile? Come relazionarsi a una tradizione [non solo quella più ampiamente intesa, ma anche quella della formula tromba-percussioni, a partire da Cherry/Blackwell]? Come interagire con l'elettronica?

Astratta, materica, intima, spesso impegnativa per l'ascoltatore [cui è richiesta non solo una ideale adesione emotiva, ma anche la capacità di porsi gli stessi dubbi degli artisti], l'avventura sonora in cui Wooley e Lytton - bravissimi - ci trascinano, è a tratti spaventevole [lunghe parti dell'iniziale "The Mbala Effect" potrebbero essere la colonna sonora di un incubo], a tratti metafisica e non sarà alla fine difficile capire perché, in quei caotici diagrammi tracciati dai due improvvisatori, possano convivere il ricordo della Globe Unity e Woody Shaw, l'idea di cosa sia corretto e cosa no e un bel terzetto di punti di domanda. Questo disco, pur interessante musicalmente, non vi cambierà la vita, ma potrebbe farvi riflettere più di mille parole.

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