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BraffOesterRohrer
ByNegli ultimi tempi il Centro Culturale Svizzero ha ridotto il numero di concerti presentati a Milano. Fortunatamente però, la qualità delle proposte è rimasta elevata, e la saletta di via Vecchio Politecnico continua ad essere un buon punto di riferimento per chi, nel capoluogo lombardo, vuole ascoltare musicisti che escono dai percorsi consolidati.
Il 5 luglio è stata la volta del trio BraffOesterRohrer, del pianista brasiliano (ma residente a Vevey) Malcolm Braff, con Bänz Oester al contrabbasso e Samuel Rohrer alla batteria. Avevo sentito parlare molto bene di questo trio, e di Braff in particolare, ma questa è la prima volta che ho avuto modo di ascoltarli dal vivo. La cosa che colpisce del pianista è la pulizia di tocco e fraseggio, anche nelle fasi più concitate. Pulizia che si estende a tutto il trio, davvero impeccabile e coeso. Poi c'è una fervida creatività, che muove dal jazz ma lambisce anche l'Africa e il Brasile (ovviamente), fino a sconfinare nel pop. Con un vivo senso dello spettacolo (brusche pause, pedali, qualche ammiccamento, tantissime note), ma mantenendo sempre alto il livello della musica.
In questo concerto milanese il trio ha aperto con un brano lunghissimo e molto vivace, una via di mezzo tra un medley ed una suite, in cui l'avvicendarsi e susseguirsi di pedali sanciva le varie atmosfere emozionali. A seguire, un frenetico 7/8, incentrato su un ipnotico ostinato, cui è stata poi giustapposta una lentissima scansione ternaria (molto interessante l'intro di contrabbasso, suonato in tapping con entrambe le mani per porgere sia la linea di basso che quella melodica), brano vagamente intimista, senza dubbio il più riuscito di tutta la serata.
Sul finale la tensione è un po' calata, con un brano schiettamente di “passerella” per la conclusione del concerto, ed un bis incentrato su Norwegian Wood dei Beatles, molto pirotecnico ma privo di quello spessore che si era percepito nei primi brani.
Complessivamente, comunque, un concerto più che buono, ed un trio che dimostra di utilizzare il jazz non tanto come un libro dei ricordi, da sfogliare con nostalgia, quanto piuttosto come un linguaggio, da utilizzare per scrivere nuove pagine. Una band da consigliare a chi pensa che la formula del piano-trio non abbia più nulla di nuovo da dire.
Foto di Dario Villa [ulteriori immagini tratte da questo concerto sono disponibili nella galleria immagini]
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