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Beethoven/Kurtag/Brahms - Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI

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Ludwig van Beethoven - Leonore n.3, Ouverture in do maggiore op. 72b

György Kurtág - …concertante…op. 42

Johannes Brahms - Sinfonia n.1 in do minore op. 68

Auditorium Rai - Torino - 06.12.2006

Le difficoltà, le ombre e i dubbi che rendono accidentato e faticoso il percorso creativo (e, in senso più lato, quello dell’esistenza), e il loro superamento: questo è l’elemento che accomuna i brani che incorniciano la pagina kurtagiana, scritta, viceversa, senza troppe interruzioni, come raramente accade al compositore ungherese.

L’ouverture con cui si apre il concerto costituisce il terzo tentativo compiuto nel 1806 da Beethoven di fornire un’introduzione alla Leonore, che sarebbe stata sostituita nel 1814 da quella concepita per la versione definitiva dell’opera, intitolata Fidelio.

La compiutezza formale della composizione, che non soltanto ne ha giustificato l’ingresso nel repertorio strumentale come brano a sé stante, ma traduce in maniera limpida in pure forme musicali l’evoluzione drammatica dell’opera, viene evidenziata dall’Orchestra e dal direttore Kazushi Ono con dovizia di particolari e di colori.

L’opprimente clima iniziale (metafora della prigione in cui è rinchiuso Florestano), gli squilli degli ottoni che evocano la riconquistata libertà e la conseguente gioia che accompagna la ritrovata unione fra Leonora e il consorte, l’impeto festante del finale: non c’è passaggio in cui la dimensione utopica di Beethoven non venga restituita grazie a un’interpretazione ricca di calore e di espressività.

Il tormentato sentiero che conduce dall’oscurità alla luce, infatti, viene percorso dagli orchestrali con il respiro ampio e intenso proprio del poema sinfonico, di cui l’ouverture può considerarsi, del resto, un’anticipazione.

Tenebra e luminosità, Beethoven, ripensamenti: suggestioni che si attagliano al primo lavoro sinfonico concepito da Brahms, in un arco di tempo più che ventennale, a partire dal 1855.

La sobrietà timbrica e la densità della scrittura rinnovano l’ispirazione beethoveniana nella tensione che innerva l’evolversi degli elementi motivici, soggetti a una ininterrotta, sotterranea metamorfosi, quella che Schoenberg definiva come una continua “variazione in sviluppo”.

L’apice di tale procedimento è raggiunto nel movimento conclusivo, che dalla cupezza dell’adagio iniziale si innalza verso la luminosità dell’allegro non troppo, portando a compimento la sinfonia tra le reminescenze dall’Inno alla gioia.

Il momento culminante del concerto è costituito dall’interpretazione di …concertante…, in cui l’Orchestra è affiancata dai solisti per i quali György Kurtág ha concepito questa ampia e complessa partitura, che si articola con un’estensione inusuale rispetto alla tipica concisione aforistica del magiaro: la violinista Hiromi Kikuchi e il violista Ken Hakii.

La sintonia tra i due - compagni nel lavoro e nella vita - è stata di un’evidenza assoluta, non meno della precisione analitica, non disgiunta da un’espressività impareggiabile: un risultato che soltanto la lunga familiarità - artistica, ma anche umana - con il compositore magiaro ha consentito loro di ottenere.

Nella levità esile e febbrile del fraseggio echeggia lo spirito, più che la lettera, di Mozart: se pure è fuorviante il riferimento, contenuto nel titolo, alla Sinfonia concertante, la mobilità flessuosa dei duetti per violino e viola - che Kurtág richiedeva ai solisti di eseguire nella fase preparatoria del brano - ha rappresentato una fonte d’ispirazione certamente non immediata, ma comunque viva e pulsante.

L’intesa con l’orchestra, purtroppo non agevolata dall’esiguo tempo disponibile per le prove, viene cementata dal prezioso lavoro direttoriale di Kazushi Ono.

Sempre attento alle finezze timbriche della partitura (che richiede varie percussioni, tra cui metallofoni, xilofoni e il cimbalom della tradizione popolare ungherese), puntuale e autorevole nel dettare attacchi e tempi, rigoroso nel rispettare le indicazioni dinamiche (specie nella delicatissima coda, dove i solisti impugnano strumenti elettrici non amplificati, attorniati dagli spettrali armonici degli archi gravi dell’orchestra), il direttore conferma le qualità che si erano apprezzate in occasione della prima mondiale de il Il suono e il tacere di Salvatore Sciarrino, tenuto a battesimo proprio con l’OSN RAI nel 2004.

Più di una curiosità, dunque, attende, dopo il debutto scaligero della scorsa stagione e il concerto di Capodanno diretto alla Fenice, il suo imminente ritorno alla Scala, per la Lady Macbeth del distretto di Mtsensk di Šostakovic.

Non minori sono le aspettative che precedono il prosieguo della stagione dell’Orchestra RAI, prossima a cimentarsi - dopo la preziosa anticipazione costituita dalla prima nazionale del Concerto per pianoforte e orchestra di Krzysztof Penderecki, sotto la prestigiosa guida di Rudolf Barshai - nella quarta edizione di RAI Nuova Musica, un’imprescindibile occasione di conoscenza della creatività musicale contemporanea.

Harrison Birtwistle, Kaija Saariaho, Fausto Romitelli tra i compositori, Francesco Pomarico, Peter Rundel, Fazil Say tra gli interpreti consentiranno di verificare se e quanto il pubblico e gli orchestrali si siano affrancati dagli stereotipi della tradizione concertistica e abbiano maturato un autentico interesse per la ricerca artistica dei nostri giorni.


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