Home » Articoli » Live Review » Ai Confini tra Sardegna e Jazz

Ai Confini tra Sardegna e Jazz

By

Sign in to view read count
Sant'Anna Arresi (CI) - 26.08-06.09.2009

Chicago, le avanguardie storiche, le nuove tendenze. Anche quest'anno il festival di Sant'Anna Arresi ha puntato i riflettori sulla scena musicale della windy city. Con un occhio di particolare riguardo per l'AACM (Association for the Advancement of Creative Musicians), le sue figure storiche, e coloro che ne hanno raccolto il testimone. Senza dimenticare l'altra capitale del jazz americano, New York, e qualche nome italiano emergente. Numerosi i concerti, che hanno proposto molteplici e talora divergenti

interpretazioni dei termini jazz, avanguardia, e free. Altrettanto numerose le possibili chiavi di lettura, gli spunti critici che sono emersi. Ancora una volta, il festival di Sant'Anna Arresi si conferma dunque come appuntamento imprescindibile per gli appassionati del jazz più libero ed aperto alle sperimentazioni.

Le figure storiche

Con il concerto di The Trio (Muhal Richard Abrams, George Lewis, Roscoe Mitchell) abbiamo visto sul palco tre musicisti che hanno percorso tutta la storia dell'AACM. Muhal Richard Abrams ne è stato il fondatore, Roscoe Mitchell vi ha aderito da subito, George Lewis dal 1971 ed ha recentemente pubblicato un libro che ne illustra le tappe fondamentali ("A Power Stronger Than Itself: The AACM and American Experimental Music," presentato in un incontro pubblico condotto da Pino Saulo ed Antonia Tessitore). Un concerto che ha molto emozionato per le implicazioni storiche, meno per la musica proposta, troppo chiusa in se stessa ed in una ricerca ormai storicizzata. Applausi più "alla carriera" che alla musica ascoltata nel corso del concerto.

Discorso analogo può essere fatto, mutatis mutandi, per "Cards for Orchestra—Made In Chicago" di Roscoe Mitchell. Una suite in tre movimenti, i primi due molto vicini a certa sperimentazione eurocolta (ed a certe sue noiose derive), il terzo incentrato su un pedale in sette che ha visto protagonista Nicole Mitchell. Pedale travolgente e che in qualche modo ha salvato il concerto, ma di cui ci è sfuggito il legame (e la coerenza) con i primi due movimenti.

Più convincente il concerto del quartetto di Wadada Leo Smith (Vijay Iyer al piano, John Lindberg al contrabbasso, Pheeroan Aklaff alla batteria). Musica post-davisiana, una sorta di "Bitches Brew" con meno elettricità (eccezion fatta per il wah-wah sul contrabbasso di Lindberg ed uno sporadico uso del Rhodes da parte di Iyer) e molto più free.

L'eredità dell'avanguardia storica: Ode to the Death of Jazz?

Durante questi concerti abbiamo pensato molto a Miles Davis. Non solo in quanto esplicitamente evocato da Leo Smith, ma in quanto perenne innovatore. Persino il Davis dell'ultimo periodo o quello più commerciale non smetteva mai di ricercare, di sperimentare, di aprire nuove strade. Nei concerti dei "grandi vecchi" dell'AACM, invece, abbiamo ascoltato una musica molto ben collocata e collocabile temporalmente. Forse è ingeneroso chiedere costante innovazione a figure che, comunque, hanno inciso profondamente sulla storia del jazz. Tuttavia è inevitabile riflettere sul fatto che questa avanguardia ha esaurito la sua forza propulsiva e che le sue propaggini attuali (ad esempio la Nicole Mitchell ascoltata qui) viaggiano su un binario morto. Binario peraltro già percorso dalla musica europea con qualche decennio di anticipo e con ben altro rigore formale.

In altre parole, e prendendo spunto dal titolo di un'opera di Edward Vesala, non sentiamo il bisogno di una Ode to the Death of Jazz. Di una musica che ha nella matematica, invece che nella poetica, i propri canoni di riferimento. Di un'avanguardia che va difesa a priori, da abbracciare quasi ideologicamente. O peggio, che ripete se stessa ed i propri pattern, e che quindi si tradisce diventando a sua volta un mainstream. Sentiamo il bisogno, piuttosto, di un jazz che affermi sempre più la propria attualità e vitalità.

I migliori (secondo noi)

Fatte queste premesse, inevitabile indicare tra i nostri favoriti quei musicisti che, sia pur consapevoli della storia del jazz in generale e di Chicago in particolare, tengono la propria musica saldamente ancorata al presente e puntano lo sguardo verso il futuro. L'Evolution Ensemble di Dee Alexander, ad esempio. Non solo per le straordinarie qualità vocali della cantante, ma anche per l'interessante impatto sonoro e timbrico di un'atipica band (Tomeka Reid al violoncello, Ernie Adams alla batteria, James Sanders al violino), cui si è aggiunto in un paio di brani il tagliente sax di Ernest Dawkins.

Oppure il quartetto People Place & Things del batterista Mike Reed (Greg Ward al sax alto, Jason Roebke al contrabbasso, Tim Haldeman al sax tenore), caratterizzato da un sound d'insieme davvero efficace. Ci è piaciuto molto anche il trio Harmonic Disorder del pianista Matthew Shipp (Michael Bisio al contrabbasso, Whit Dickey alla batteria), sebbene non ancora del tutto convincente. Shipp infatti, magmatico ed irruente, spesso pare suonare in solo, accontentandosi di un non-tempo che scaturisce in modo quasi autonomo dalla sezione ritmica. La pienezza ed il lirismo del contrabbasso di Bisio meriterebbero invece un contesto più organico e organizzato. Nel complesso, comunque, un ottimo concerto.

Gli italiani

I nostri colori erano rappresentati dai Tribraco (Lorenzo Tarducci, Dario Cesarini, Tommaso Moretti, Valerio Lucenti) e dall'Interferenze Trio (Andrea Massaria, Arrigo Cappelletti, Enzo Carpentieri). Ci sarebbe piaciuto poter dire che hanno suonato alla pari, retto benissimo il confronto con la scena chicagoana. Ma, forse a causa di una proposta musicale non propriamente in linea con l'impronta del festival, non è andata così. Da riascoltare, in un contesto più adatto.

I punti di domanda

Hanno suscitato non poche perplessità le performance del pianista Nobu Stowe (con Achille Succi) e del trio del chitarrista Jean Paul Bourelly (Marlon Browden e Jonas B. Hammond). Stowe, musicista eclettico capace di spaziare dall'avanguardia più spinta al mainstream più retrivo, ha qui privilegiato una musica a metà strada tra Keith Jarrett e Giovanni Allevi, su cui preferiamo sorvolare. Il povero Succi, costretto al ruolo di Garbarek post-litteram, ha fatto il possibile per tenere la musica ad un livello accettabile. Bourelly, che ha in curriculum collaborazioni con molti grandissimi del jazz, si è invece esibito in una performance blues di chiara matrice hendrixiana. Piacevole e godibilissima, ma da un chitarrista di tale spessore è lecito attendersi qualcosa in più.

I solisti

Chicago è da sempre fucina di grandi talenti, ed anche questo festival ci ha permesso di ascoltare alcuni strumentisti straordinari. Sorvolando sulle figure note come Nicole Mitchell, Myra Melford, Robert Griffin o Ernest Dawkins, segnaliamo due musicisti giovanissimi ma dalla personalità musicale già molto ben caratterizzata: il sassofonista Greg Ward e la violoncellista Tomeka Reid. Ne sentiremo parlare a lungo.

Tra i concerti che non abbiamo avuto modo di seguire, segnaliamo infine il New Music Observatory di Butch Morris, che per il secondo anno consecutivo ha portato sul palco gli allievi del workshop organizzato dal festival, ed i Digital Primitives (Assif Tsahar, Cooper Moore, Chad Taylor), concerto trasmesso in diretta da RadioTre Rai.

Foto di Luciano Rossetti

Ulteriori immagini di questo festival sono disponibili nel foto racconto di Luciano Rossetti (parte I, II e III], e nella galleria immagini dedicata ai concerti di Wadada Leo Smith e Stanley Jordan, di Danilo Codazzi.


Comments

Tags


For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.