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Ai Confini tra Sardegna e Jazz 2013

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Ai Confini tra Sardegna e Jazz 2013 [Capitolo primo]

Sant'Anna Arresi - 22-31.08.2013

"Saturno chiama, Sant'Anna Arresi risponde"

Dopo Don Cherry e Albert Ayler, la formula "monografica" del festival di Sant'Anna Arresi è stata impiegata per un altro monumento della tradizione afroamericana, Sun Ra—nel (presunto) centenario della sua nascita - con un programma come al solito strabiliante, per quanto variamente mutato in corso d'opera. Stavolta sembrava proprio che non si dovesse decollare (annullamento del festival in polemica con i ritardi dei finanziatori pubblici e sua definitiva conferma in extremis solo due settimane prima), ma le incertezze non hanno scoraggiato gli appassionati, specie quelli più esperti e abituati alle meccaniche ineffabili di questo festival unico.

L'idea tematica legata all'anniversario, alla "eredità," è semplice e schematica ma funziona eccome, se viene impiegata per sondare i filoni più significativi del jazz e della musica creativa contemporanea, per invitare gruppi che molti accreditati festival italiani si sognano (o in cui sono al massimo una lieta eccezione), e rappresenta anche per gli artisti un momento speciale di confronto: la splendida suite "Galactic Parables" della Exploding Star Orchestra di Rob Mazurek, forse l'apice di tutta la rassegna, è stata composta appositamente per il festival. In questo contesto le associazioni, le suggestioni si moltiplicano, e nei momenti più felici l'effetto è quasi illuminante.

Bisogna aggiungere che in un festival del genere, che ha registrato una buona ma non esaltante presenza di pubblico, è anche inevitabile interrogarsi sulla presa attuale e sul futuro di queste musiche. Uno sguardo al video di una parte dello storico concerto dell'Arkestra di Sun Ra a Sant'Anna del 1989 (per l'occasione prodotto in dvd dall'associazione Punta Giara), con un pubblico giovane e debordante, acuisce l'impressione generale di progressiva marginalità di queste musiche, della loro esperienza sociale: capita di guardarsi intorno e chiedersi, al di là del nucleo inossidabile di appassionati e habitué, "per chi??" La costruzione di questo "chi" è il problema principale di chi ama e propone queste musiche oggi (che di certo va ben oltre Sant'Anna e altre meritorie realtà organizzative), che richiede tanto rapporto e lavoro culturale sul territorio oltre che la felicità delle scelte artistiche, per tacere poi il ruolo decisivo che spetterebbe alle politiche culturali istituzionali e dei grandi enti promotori.

Ma nonostante tutto l'Arkestra è atterrata nuovamente a Sant'Anna nel gran finale della rassegna, ventiquattro anni dopo il concerto con Sun Ra: sotto la guida portentosa dell'ottantanovenne Marshall Allen, capace ancora di dirigere con energia l'ensemble e di prendere assoli potenti col suo suono tagliente, in una formazione sempre mutevole e imprevedibile (in questo caso molto diversa da quella annunciata), in cui non mancavano i nomi storici Knoel Scott, Michael Ray, Danny Thompson. La storia ormai consistente dell'Arkestra dopo Sun Ra continua con performance attraenti, che riprendono il tratto più narrativo dell'opera di Sun Ra degli ultimi anni ma sono ancora ricche di episodi inaspettati, di momenti di splendore.

L'apparizione colorata e luccicante dell'Arkestra, gli inni protesi verso "other worlds" bastano a ricordare quanto complesso fosse il messaggio di Sun Ra, frutto di un'incredibile elaborazione culturale che impiegava ogni forma d'espressione, testi e liriche compresi. Una delle circostanze più felici del festival è stata la presenza, oltre che di Amiri Baraka, di alcune figure notevoli di poeti-performer, capaci di far entrare la parola—canto, spoken words, manipolazioni della voce—al centro della musica. Uno di questi è stato Anthony Joseph, il poeta e musicista di Trinidad attivo a Londra dalla fine degli anni '80 e autore di diverse raccolte di liriche collegate ad altrettanti dischi della sua Spasm Band. Il suo immaginario spazia a tutto campo nella tradizione espressiva afroamericana, e si traduce in definitiva in un funk angoloso e ricco di suggestioni, ben sostenuto da chitarra e batteria, e reso convincente anche dall'intensa fisicità della presenza scenica di Joseph. Nella ricognizione della scena "black" londinese condotta nei primi due giorni del festival la tendenza a proporre un sincretismo ideale, a volte un po' troppo di superficie, si trova a piene mani negli inni gioiosi e incalzanti dei giovani United Vibrations, ed è alla base anche della più articolata concezione degli Heliocentrics; il gruppo (nell'occasione un settetto) di Malcolm Catto, una delle figure di riferimento di quella scena ultracontaminata, propone una miscela più ambiziosa di jazz-funk, elettronica, groove di ispirazione esotica. Fin dal primo pezzo si delineano le coordinate del set, in cui fitte aree rumoristiche dominate da elettronica analogica, campionamenti, percussioni sono il preludio di potenti progressioni dell'orchestra guidate dalla batteria di Catto; una musica che nasce chiaramente strumentale, e sembra tollerare poco l'aggiunta della voce femminile di Patkova. In due ore di musica rodata e fluente il gruppo dà fondo sonorità e suggestioni e dispiega il proprio potenziale in dinamiche di tutto rispetto, ma è anche vero che non ci sono mai grandi sorprese e i "mondi" evocati appaiono in fondo un po' troppo artificiali.

Bisogna passare dall'altra parte dell'Atlantico per ascoltare musiche capaci di restituire la tensione della grande musica creativa, e lo fa subito il trio Natural Information Society di Joshua Abrams, in compagnia di Chad Taylor e Lisa Alvarado. Sostenuti quasi con discrezione dai blocchi di suono dello harmonium di Alvarado, Abrams al guimbri (lo strumento tricorde del Nordafrica al centro del progetto della Society) e Taylor alla batteria e kalimba danno vita a uno dei momenti più emozionanti del festival. Il continuo fluttuare avanti e indietro, fatto di variazioni ritmiche e tematiche insieme, del pizzicato sul guimbri incontra l'intelligenza strabiliante di Taylor, il suo modo così rilassato e felice di reagire e introdurre scelte tematiche ad ampio raggio sulla sua strumentazione: quello che accade in piccolo nella densità di questo duo fa venire in mente in spirito l'Africa che affiora nell'Ornette Coleman di Prime Time o gli sviluppi organici degli ensembe di Threadgill.

Joshua Abrams torna al contrabbasso il giorno dopo, in un altro concerto molto atteso, quello del supergruppo Living by Lanterns guidato da Mike Reed. Il disco dello scorso anno (New Myth/Old Science) era il risultato del lavoro di Reed e Adasiewicz a partire da composizioni e improvvisazioni inedite di Sun Ra (datate 1961) rintracciate negli archivi El Saturn; la stessa formazione del CD, forte di doppia batteria (Reed e Fujihara) e un potente arsenale di musicisti di primo piano di Chicago e New York, si presenta a Sant'Anna per un concerto che forse manca di entusiasmare. Il livello è alto ma lo schema è un po' rigido (sezioni arrangiate d'insieme e assoli o giù di lì), e come nel disco l'ensemble trova il modo di decollare solo nel finale, quando finalmente le forze si liberano in una esplosione sonora in cui spiccano la chitarra liquida e sferzante di Halvorson, la batteria incisiva di Fujihara e il lavoro di Tomeka Reid al violoncello. Finalmente ci si trova proiettati in altri mondi, ma il concerto finisce presto e tutto resta un po' strozzato; sembra un progetto studiato più sulla carta che realizzato fino in fondo, e anche il modo arioso, quasi idillico di arrangiare alcuni pezzi (come "Shadow Boxer's Delight" o il bis su "Space Is the Place"), non mette direttamente in sintonia con le frequenze di Sun Ra.

Il concerto del duo Talibam!, affiancato dai fiati di Peter Evans e Alan Wilkinson, è una botta adrenalinica, con i suoni sghembi e aggressivi dei synth/tastiere di Mottel e la batteria di Shea costantemente sparati a raffica; è come una rock-psichedelia schizofrenica, completamente astratta, e bisogna dire alla lunga anche un po' monotona, che trova i suoi momenti migliori quando si arricchisce del talento strepitoso di Evans (tromba e tromba tascabile), capace di replicare e quasi di superare sul suo strumento la velocità delle volate sulla tastiera di Mottel, con una abilità e una ricchezza di effetti che lo confermano fra i più grandi improvvisatori oggi in circolazione.

Ma il cuore del festival quest'anno sono senz'altro le tre serate dedicate ad altrettanti progetti di Rob Mazurek, col quale Sant'anna ha intessuto da anni un rapporto stretto e continuo, analogo a quello col compianto Butch Morris. Mazurek distilla tre mondi sonori diversissimi e complementari, almeno in due casi semplicemente esaltanti; la sua crescita negli anni, ora che la consacrazione è un fatto, si misura nella capacità più recente di organizzare dei set dal vivo sempre più strutturati e insieme più densi, più ricchi di sviluppi inaspettati. Nulla è lasciato al caso e tutto è aperto alla scelta istantanea, all'intervento del momento, e anche il contributo dei singoli ne risulta esaltato. Tutto questo si coglie molto bene se si confrontano le prime uscite di São Paulo Underground con la formula in trio compatta ed esplosiva raggiunta da qualche tempo con i bravissimi Mauricio Takara e Guilherme Granado: drumming su tempi sospesi, che sembrano non risolvere mai (se non con l'improvvisa chiusura del pezzo), sonorità freschissime alle tastiere, al cavaquinho, all'elettronica, richiamano correnti profonde della musica brasiliana impiegandole a un livello costruttivo, creativo tale che il godimento della serata resta dentro per giorni. Anche le puntate più "sperimentali" hanno una morbidezza, una naturalità che incantano, dando l'impressione di trovarsi in presa diretta con qualcosa che è destinato a diventare semplicemente musica classica brasiliana.

Nella seconda serata del trittico è il turno del Pulsar Quartet: col set "Saturn Returns" Mazurek torna in realtà al suo registro più jazz, ma l'idea sembra essere quella di farlo insieme a due compagni di strada di attitudini differenti, come Matthew Lux (basso elettrico) e specialmente John Herndon, mettendoli accanto al pianoforte più classico di Angelica Sanchez. Gli accordi e le perfette aperture sul pianoforte di Sanchez, i temi alla tromba di Mazurek tengono incollata al contesto più "jazz" anche la potenza intricata del lavoro di Herndon e Lux, che non fanno praticamente mai da sezione ritmica, ma i ruoli spesso si scambiano in crescendi collettivi e Lux si mostra fantastico nel tenere insieme, vero e proprio pivot del gruppo, l'equilibrio tra materiale tematico e intensità improvvisativa. Angelica Sanchez sarà poi chiamata due sere dopo a sostituire in corsa il solo di Cecil Taylor (che per motivi di salute ha annullato in extremis le due date europee in programma, speriamo bene), in una esibizione elegante ma forse un po' tesa, frenata, che fatica a coinvolgere. Non era nemmeno facile sostituire Taylor, e fare un piano solo in mezzo a tanta musica d'ensemble così visionaria.

Il vero omaggio a Sun Ra non poteva che essere affidato alle visioni della Exploding Star Orchestra, che riuniva i protagonisti delle due serate precedenti aggiungendo Damon Locks, Matt Bauder, Chad Taylor, Jeff Parker, e proponeva due suite, entrambe con testi di Damon Locks: "63 Moons of Jupiter" (edita quest'anno nel disco Matter Anti-Matter, uscito per Rogue Art) e "Galactic Parables," composta da Mazurek per il festival. Di certo tanto del bagaglio immaginario dell'Arkestra giunge per vie più o meno dirette all'Exploding Star, Orchestra; la creatura di Rob Mazurek vive di un afflato mitico fatto di proiezioni futuristiche e di pulsioni anche verso il visivo, verso un'esperienza più completa, totale (Mazurek è anche pittore, e l'ultimo disco è in vendita con annessi occhialini 3D per guardare un suo dipinto riprodotto all'interno). Ma l'Exploding Star è innanzitutto la summa dell'universo musicale di Mazurek, in cui confluisce materia sparsa dagli altri suoi mondi e in cui, cosa non semplice, il cornettista è capace di rifare a livello di grande ensemble quello che gli riesce con le piccole formazioni. Come per São Paulo Underground, la forte strutturazione è solo il punto di partenza di una libertà di movimento a più alto livello per i musicisti, e qui più che altrove riesce quasi difficile seguire tutto ciò che accade in tempo reale, si stratifica nella musica d'insieme e rapidamente muta verso qualcosa di diverso; quel che conta è che si tratta di pura materia emozionale, al punto che ogni cambio di "scena," ogni nuova sezione della magnifica "Galactic Parables" è un sussulto per l'ascoltatore rapito. Merita una citazione fra tutti proprio Damon Locks, figura poliedrica del sottobosco chicagoano, artista visivo e voce di gruppi rock-funk al limite della classificazione di genere come solo la scena di Chicago riesce a partorire (sentire gli Eternals); con le sue potenti liriche e la sua presenza sul palco riesce a dare una profondità nuova all'orchestra di Mazurek, ed è soprattutto convincente nel suo modo di usare la voce con uno spettro ampio di modalità (spoken words, canto, effetti vari). La miglior recensione del tutto è l'entusiasmo di Amiri Baraka tra il pubblico, che a fine serata dichiara la sua piena approvazione ai microfoni di Radio3.

Amiri Baraka si esibisce la sera dopo, insieme a Dinamitri Jazz Folklore, in un bel concerto che parte un po' rigido ma si trasforma presto in una festa. L'energia di Baraka sul palco è pura gioia, ed è pura gioia ascoltare le sue spoken words, concentrato così limpido della storia e della coscienza neroamericana. Alternandosi o sostenendo il reading di Baraka l'ensemble livornese incede felicemente fra densi ritmi africani e cadenze rhythm'n'blues, fra i temi sicuri dei bravi sassofonisti (Espinoza e Scardino) e i bei riff fendenti di Baldacci, sfociando in liberatorie sezioni d'insieme. Perfettamente a suo agio con i suoi compagni italiani, Baraka recita diverse sezioni da "Wise, Why's, Y's. The Griot's Song Djeli Ya" (poema del 1995 sulla storia afroamericana) e "The Word of Sun Ra," testi pieni di rivendicazione e di provocazione, dallo stile certo molto diverso dalla calma serafica, ormai "oltre," dei discorsi di Sun Ra; ma i due fecero molta strada insieme a New York e a Harlem.

Foto di Luciano Rossetti.

Altre foto di questa rassegna sono disponibili nel foto-racconto ad essa dedicato.


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