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Ah-Um Milano Jazz Festival – X Edizione

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Milano, 14.05.2012—20.05.2012

Metà maggio. Le prime belle serate. Quelle in cui si può davvero vivere la città, stare all'aperto, gironzolare per le vie, per i locali.

All'Isola, metà maggio significa Ah-Um Jazz Festival. Una vera e propria invasione di concerti, mostre, proiezioni, presentazioni di libri, eventi. Tutto il quartiere viene coinvolto. Facendo leva anche - soprattutto - su luoghi che normalmente non prevedono una programmazione musicale: gallerie d'arte, librerie, ristoranti. Del resto, la filosofia che anima il festival è quella della famosa storiella di Maometto e della montagna. Che in questo caso potremmo parafrasare in: "se i milanesi frequentano poco i luoghi dove si fa jazz, portiamo il jazz nei luoghi frequentati dai milanesi". Con un approccio inclusivo, che evita accuratamente ogni forma di elitarismo stilistico, e punta piuttosto al coinvolgimento di tutte le forme espressive (verrebbe quasi da dire di tutte le parrocchie) che animano la scena jazz cittadina.

Tempo fa, la rivista Musica Jazz definì l'Ah-UM come "l'unico erede dei gloriosi festival che la città ha perduto". A proposito di cose gloriose che Milano ha perduto, la rassegna si è aperta con "Remembering Capolinea," serata dedicata ad un club che è stato punto di riferimento per generazioni di jazzisti ed appassionati jazzofili milanesi. La serata si è aperta con la proiezione di un documentario di M. Cattaneo dal titolo emblematico "Quando a Milano c'era ancora il Jazz". A seguire, il concerto del Larry Schneider Italian Quartet, e chiusura di serata con una jam session, formula di aggregazione jazzistica gloriosa e praticamente scomparsa - anche lei! - dal panorama musicale cittadino.

La serata di martedì 15 è stata invece dedicata al connubio tra musica ed arti visive. Concerti di Tito Mangialajo Rantzer, Paolo Botti e del Tre X Quattro Trio, hanno accompagnato, in tre diversi spazi espositivi, mostre di artisti vari, tra cui segnaliamo l'interessante mix di immagini d'archivio (ritratti di jazzisti, in bianco e nero, anni '60) e street-photo contemporanee (a colori, in digitale), di Roberto Polillo.

Mercoledì 16 il festival ha fatto base alla Fonderia Napoleonica Eugenia, senza dubbio uno degli edifici più suggestivi della città (è una ex fabbrica di campane). Sul palco uno dei musicisti storici del jazz milanese, Daniele Cavallanti, con The Brotherhood Creative Trance - Music Ensemble, orchestra che raccoglie alcuni dei più bei nomi— giovani e meno giovani - del jazz italiano: Gianluigi Trovesi, Carlo Actis Dato, Luca Calabrese, Lauro Rossi, Emanuele Parrini, Fabrizio Puglisi, Andrea Di Biase, Silvia Bolognesi, Tiziano Tononi. In programma composizioni originali di Cavallanti, e due brani a firma di Ellington. Orchestrazioni magmatiche e possenti, pedali su tempi dispari di grande energia, atmosfere sonore che spaziavano da Coltrane alle avanguardie europee.

Giovedì 17, presso la sede della Fondazione Catella, la serata si è aperta con la proiezione di "Milano Modern Sounds: Appunti Per Un Jazz Film—1995/1965," di Monica Laura Rossi e Antonio Ribatti. Frammenti di vita di una città che negli anni del boom era non solo la capitale economica d'Italia, ma anche un notevolissimo punto di riferimento culturale. Tra le altre cose, ci piace ricordare che quelli erano anni (bei tempi!) in cui Milano si poteva fregiare del titolo di città del jazz.

A seguire, l'incontro tra il pianista jazz Marco Detto e la pianista classica Maria Clementi. Incursioni su partiture di Mozart e Bartok, per un concerto all'insegna della lapidaria e definitiva risposta "Two Is One", che Monk diede a chi gli chiedeva se jazz e classica si sarebbero mai incontrati. Inutile dire che condividiamo il punto di vista di Monk. Ci sembra tuttavia che serate come questa, dal sapore vagamente didascalico, ottengano risultati opposti a quelli desiderati. Ovvero, al termine del concerto l'ascoltatore rimane con la sensazione che - nonostante il tentativo di convergenza - l'ambito della classica e del jazz siano assai distanti per linguaggio (uso di scale, accenti, ritmo), approccio strumentale (il suono, gli staccati, l'uso del pedale), mentale (valore della partitura, velocità di pensiero nell'improvvisazione).

La serata di venerdì 18 aveva per titolo Ah-Um Jazz Club - Vivi L'Isola Che Suona. Siamo da sempre convinti che un festival debba dare spazio anche a giovani musicisti emergenti. In questa edizione, l'Ah-Um ha fatto le cose in grande. Concerti in ben dieci spazi diversi, che per l'occasione si sono trasformati in jazz-club, con una proposta di linguaggi ed orizzonti espressivi notevole e variegata.

Le giornate di sabato 19 e domenica 20 erano dedicate ai bambini. Ampio spazio a improvvisazioni, lezioni-concerto, spettacoli teatrali, sparsi per tutto il quartiere.

Sempre domenica 20, giornata conclusiva di una settimana davvero ricca, in mattinata le canzoni di Marco Massa, poetiche dichiarazioni d'amore per Milano, eseguite in compagnia di Luca Calabrese e Francesco D'Auria. In serata, gran finale al Blue Note. Anche questo importante jazz-club ha deciso (finalmente!) di aderire all'iniziativa ed aprire per una serata le proprie porte al festival. Sul palco, il quintetto del pianista Francesco Grillo (Nico Gori al clarinetto, Andrea Dulbecco al vibrafono, Stefano Senni al contrabbasso, Tommaso Cappellato alla batteria), che ha presentato brani tratti dall'album Otto, recentemente uscito per la Emarcy. Atmosfere modern mainstream, sonorità piene, che rivelano l'estrazione classica di Grillo e la sua predilezione per armonizzazioni eleganti, dagli echi retró.

Foto di Angela Bartolo.


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