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Acusmatiq 4.0: Chris Cutler, Robin Guthrie, Fennesz

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Mole Vanvitelliana - Ancona - 8.8.2009

Si è concluso con la serata di sabato 8 agosto il festival Acusmatiq 4.0, una nutrita due-giorni dedicata all'elettronica, all'elettroacustica e alle performance multimediali, con interessanti appuntamenti collaterali come un museo del synth marchigiano (le Marche sono la patria della produzione di strumenti musicali in Italia) e alla sonorizzazione di alcuni luoghi e scorci del paesaggio urbano.

Seguendo quella che è stata una scelta di gran parte della programmazione del festival, la serata di sabato ha visto protagoniste tre esibizioni solitarie: un solo di "batteria elettrica" di Chris Cutler, una performance audiovisiva di Robin Guthrie e infine il set di Christian Fennesz.

Il minimo comun denominatore della serata è stato ovviamente l'uso dell'elettronica nella produzione o nell'elaborazione del suono e, a un livello meno ovvio, l'accento posto nelle performance sulla dimensione della sonorità, della costruzione del tessuto sonoro o sulla sua dissipazione, sulla qualità della grana della materia acustica, trattata appunto come una sostanza da plasmare, modellare, assemblare o sfibrare. Nelle differenze individuali (talora anche profonde) in questo tipo di approccio (o nella maggiore o minore vicinanza ad esso) si sono potute anche misurare le differenze tra le tre performance.

Il solo di Chris Cutler aveva l'impostazione di un lavoro meticoloso, quasi "scientifico," sia nel senso di rigoroso ed "esatto," sia in quello di "sperimentale," da laboratorio. La "batteria elettrica" da lui impiegata è una normale batteria acustica in cui ogni pezzo del set viene amplificato da un microfono; il segnale passa poi attraverso numerosi effetti ed un mixer attraverso il quale, oltre a una serie di pedali, Cutler controlla il risultato sonoro. Così trattata, la batteria diventa una potente macchina di produzione di sonorità e ambientazioni acustiche.

La performance si è snodata attraverso atmosfere e soundscape diversi: da scenari turbolenti e minacciosi con boati deflagranti come tuoni di una tempesta estiva, a passaggi che ricordavano l'elettronica accademica e altri con reminiscenze di musique concrète.

La sonorità naturale delle pelli e del metallo si è sentita raramente; il suono era quasi sempre abbondantemente processato e manipolato. I paesaggi sonori erano spesso piuttosto austeri, a volte alieni, non-terrestri. Le immagini evocate erano quelle di giungle mutanti, paesaggi lunari, montagne imponenti e canyon profondi (molto suggestivo in questo senso l'uso di ampi riverberi), maestosamente scabri e vuoti, che di tanto in tanto però brulicavano di mille strani insetti e di un sottobosco di esseri mutanti.

Il tocco di Cutler sulle pelli è preciso ed elegante; certi passaggi potenti e meno elaborati acusticamente avevano la sonorità piena e roboante di percussioni sinfoniche. In ogni caso tutto il lavoro percussivo della performance non era finalizzato al fraseggio, ma alla produzione sonora, a fornire la materia prima da processare elettronicamente.

Agli antipodi dell'approccio di Cutler è stato quello della performance audiovisiva di Robin Guthrie, ex chitarrista e mente musicale dei Cocteau Twins, importante gruppo della new wave più estetizzante e decadente degli anni ottanta.

E' vero che anche in questo set si poteva ritrovare il focus sulla sonorità di cui si è detto all'inizio, ma in questo caso il suono, così come le atmosfere evocate, era estremamente liquido, fermo e uniforme: la stasi di contro alla dinamica; il cullare di contro allo scuotere; l'atmosfera rassicurante di contro a quella minacciosa.

La musica di Guthrie (abbinata ad immagini paesaggistiche) era estremamente semplice e molto melodica, basata su pochi accordi e poche note. Le sonorità, per quanto curate e levigate, erano molto note e familiari, per niente aliene. Il suono della chitarra è ancora quello storico dei Cocteau Twins, anche se più riverberato; le timbriche del fondale ritmico-armonico elettronico erano piuttosto standard.

Per sintetizzare in una formula questo percorso di Guthrie si potrebbe dire: "dalla new wave alla new age". In effetti c'era più che qualche traccia delle atmosfere di quel tipo di musica, compresi gli annessi rischi di annacquamento, una seraficità innoqua, una pacificità che scivola nel pacioso.

Nonostante tutto ciò, gli ultimi due pezzi del concerto sono stati indubbiamente belli e riusciti, dimostrando che anche questa musica non è impossibilitata ad emozionare e a produrre bellezza. Proprio in questo approccio, dove non c'è nessun tipo di elaborazione formale e intellettuale a livello compositivo, nessuna complessità, nessuna varietà e nessun lavoro di tipo virtuosistico né di ricerca semantica sul linguaggio musicale, resta comunque disponibile la risorsa più fondamentale della musica: l'ispirazione emozionale.

Il concerto di Fennesz da un punto di vista sonoro si è posizionato in qualche modo a metà strada fra i due precedenti, anche se per quanto riguarda l'approccio e la sensibilità è stato sicuramente molto più vicino a Guthrie che a Cutler.

Anche Fennesz si è mosso con un approccio molto intuitivo e naif, per niente studiato o scientifico come quello di Cutler. Anche qui molta semplicità: arpeggi di chitarra elementari, facili, melodici; ma il suono è urticante, lacerato da distorsioni e saturazioni digitali che lo deformano e lo deturpano fino alla soglia del rumore e anche un po' oltre. La calda sonorità della chitarra elettrica viene sepolta e annegata sotto una colata alcalina di pesanti scorie elettroniche, mentre gli atmosferici tappeti ambientali di morbide sonorità elettroniche vengono smembrati e sfilacciati da glitch.

Sicuramente questo approccio e questo stile potranno risultare naif e scontati, ma l'accostamento di melodia e rumore, di calore e freddezza, di suoni avvolgenti e della loro corrosione deturpante, un effetto e una presa diretta ed emotiva su chi ascolta ce l'hanno.

Foto di Gordon Bowbrick (Cutler) e ClaudiO Casanova (Fennesz).


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