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Elina Duni: L'Universalità Della Partenza

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Per me il jazz è come una casa dove ognuno è benvenuto
Il poeta greco Euripide scriveva che "non ce più dolore della perdita della propria terra natia" Elina Duni nell'ultimo disco Partir interiorizza con la sua voce struggente, in certi tratti sussurrata ma espressivamente ardente, tale sentimento profondo di allontanamento, spesso forzato, da ciò che più si ama. La partenza diventa l'inizio di un viaggio profondo per sondare stessi confrontandosi con la scoperta di un mondo sconosciuto. Lei stessa è costretta a confrontarsi con la partenza sin da piccola quando, a causa della caduta del regime comunista lascia la natia Albania a undici anni per trasferirsi in Svizzera, a Berna, dove poi perfezionerà il suo percorso musicale, iniziato quando aveva cinque anni come cantante, con lo studio del pianoforte classico e del jazz.

La Duni non dimentica le proprie radici culturali coniugando insieme al suo quartetto la musica tradizionale dell'Est europeo con testi cantati nella lingua albanese, con ritmi e fraseggi jazzistici. Un insieme di articolazioni folkloristiche che attira le attenzioni della ECM che nel 2012 produce il suo terzo lavoro in quartetto Matane Malita a cui segue Dallendyshe nel 2015.

Dopo diverse collaborazioni tra cui quella con il chitarrista e compositore londinese Rob Luft nel 2018 la Duni registra il disco Partir per l'etichetta ECM, un lavoro in solo dove oltre a cantare in nove lingue diverse suona chitarra, pianoforte e percussioni tra cui il Daf strumento appartenente alla musica mediorientale. Un lavoro intenso, coraggioso soprattutto nella volontà di cancellare attraverso la musica ogni tipo di confine, o di separazione geografica nonché culturale, come risulta evidente nella scelta dei 12 brani che compongono il disco i quali appartengono alla musica cantautorale e tradizionale di diversi paesi. Tra questi spicca una versione intimista, in cui la cifra stilistica della musicista albanese si rivela in tutta la sua intensità, di "Amara terra mia" di Domenico Modugno e un brano da lei composto "Let Us Dive In."

All About Jazz: In Partir è evidente il concetto di dolore causato dal distacco dalla terra natale. Non trovi che il distacco può essere anche un'opportunità per crescere come persone e artisti?

Elina Duni: Assolutamente. Partire è spesso il migliore modo per trovare se stessi. Ma anche dopo una partenza dopo essere stati lacerati dobbiamo trovare le nostre risorse per ricostruire di nuovo e questo ci rende sicuramente più forti e ci offre una veduta piu profonda di noi stessi. Ogni partenza è una possibilità di entrare in contatto con il nostro essere interiore.

AAJ: Nelle note di copertina del disco citi una frase dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun. Nel suo saggio "Il razzismo spiegato a mia figlia" pone l'accento sul fatto che la lotta contro il razzismo deve iniziare in famiglia e nelle scuole. In questo senso l'insegnamento musicale può essere una forma di educazione deputata a combattere ogni tipo di discriminazioni?

ED: Si sono pienamente d'accordo con questo. Io penso che dovremmo insegnare nelle scuole differenti tradizioni musicali e non solo la "Nostra." Conoscendo le nostre reciproche tradizioni potremmo capirci e tollerarci l'un l'altro molto di più perché riconosceremo che ciò che abbiamo in comune è più grande di ciò che ci divide. La musica è il mezzo per farlo perché la musica è evidente, immediata ed universale.

AAJ: In Partir canti in nove lingue diverse quasi a voler dar vita ad un linguaggio universale...

ED: Ho voluto cantare in tutte queste lingue per mandare un messaggio. Ognuno di noi era o sarà o può essere un rifugiato, un emigrante. Spesso nella recente storia abbiamo visto come gli immigrati del passato come per esempio gli italiani sono diventati quelli che hanno accolto altri immigranti. Questo succede da sempre. Molte persone quando pensano oggi alla Svizzera ignorano il fatto che anche gli svizzeri nel XIX secolo sono dovuti immigrare. Così attraverso la mia scelta di cantare tutte queste partenze in tante lingue diverse ho voluto mostrare l'universalità della partenza, intesa non solo come abbandono o perdita del proprio paese ma anche dell'amore, dell'infanzia e così via... In ogni passo della nostra vita tutti ci confrontiamo con la partenza.

AAJ: In questo lavoro in solo ti accompagni suonando diversi strumenti tra cui il Daf, uno strumento mediorientale.

ED: Lo strumento era in realtà un regalo di una persona cara. Quando ho iniziato a lavorare in solo ho preso a suonarlo e mi sono innamorata del suo suono profondo. Nella tradizione persiana sono per lo più le donne a suonare il Daf. Ha qualcosa di femminile nella sua rotondità, nel tocco morbido e nel suo suono sottile o acuto.

AAJ: Anche in Partir come nei lavori in quartetto è presente un forte richiamo alla musica tradizionale dell'Est europeo. Qual è il filo conduttore che unisce la cultura da cui proviene e il jazz?

ED: Il primo collegamento a cui posso pensare tra la musica jazz e quella dell'est europeo è la combinazione di diverse tradizioni. Semplificando si può dire che il jazz è nato dalla musica tradizionale africana e europea e nell'Est Europeo ognuno può ascoltare anche le tradizioni dell'Oriente e dell'occidente riunirsi insieme. Accanto a questo c'è una improvvisazione modale che può essere in definitiva accostata al jazz modale. Ma io penso che oggi il jazz sia diventato un modo di suonare qualcosa, un punto di vista, più che uno stile in se stesso. Per me il jazz è come una casa dove ognuno è benvenuto. Nel mondo musicale di oggi dove la musica deve essere inquadrata in un specifico genere il jazz può essere un' infinita fonte di domande discussioni, di gioco come farebbe un bambino.

AAJ: Tra i dodici brani ce n'è uno di Domenico Modugno "Amara terra mia" appartenente alla tradizione abruzzese in cui si parla di emigrazione al femminile, qual è secondo te il ruolo della donna in questo fenomeno globlale?

ED: È interessante perché io non mai pensato a "Amara terra mia" come a una canzone femminile perché le persone che la cantavano era tradizionalmente uomini che partivano. Tradizionalmente il ruolo delle donne è stato quello di restare ad aspettare. Puoi trovare molte canzoni che parlano del desiderio e dell'attesa delle donne. Oggi anche le donne partono, vanno via, a volte prendono i bambini con sé e iniziano una nuova vita da qualche parte possono incorraggiare se stesse senza aver bisogno di essere per forza in un ambiente familiare.

AAJ: E nella musica sta cambiando il ruolo delle donne?

ED: Molte donne stanno abbracciando altri strumenti oltre alla voce, sono incoraggiate anche da speciali fondazioni e programmi. Questo ci sta dando la speranza che presto sarà normale avere band in cui ci sia equità di sesso. E questo è positivo! Continuo a pensare che dobbiamo stare attenti a incoraggiare le donne senza scoraggiare gli uomini. Dovremmo cercare di lavorare più insieme che trovare solo cose esclusive, perché l'esclusività esclude sempre.

AAJ: Come nasce l'iniziativa che porti avanti con tua madre, la poetessa e scrittrice Bessa Myftiu?

ED: Questo progetto è partito undici anni fa. Un amico ci ha dato l'idea di esibirci insieme in giro per l'Albania con Bessa che legge i testi e io che canto. Abbiamo iniziato perlopiù suonando nelle librerie ma le attrezzature tecniche erano inesistenti così ho iniziato a cantare a cappella accompagnandomi con una darabouka, poi ho allargato l'accompagnamento con una chitarra e altre percussioni. Ho imparato a lavorare con il silenzio, ad abbracciarlo... Posso dire che il mio lavoro in solo sia partito e grazie a questo progetto .

AAJ: Hai registrato in quartetto e adesso un lavoro in solo, che cosa dobbiamo aspettarci per i tuoi prossimi progetti?

ED: Da due anni e mezzo a questa parte ho iniziato a lavorare ed a esibirmi spesso con il chitarrista londinese Rob Luft. In lui ho trovato un vero compagno musicale, pieno di ottimismo, di curiosità e maturità. Attualmente stiamo scrivendo musica insieme. Presto registreremo in trio con il polistrumentista londinese Fred Thomas che suona piano, batteria e banjo. Il titolo del lavoro è preso da una citazione di James Joyce "Shut your eyes and see" una splendida frase per terminare l'intervista... No?

Foto: Nicolas Masson.

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