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Intervista a Sentieri Selvaggi. Conversazione con Filippo Del Corno

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Due parole introduttive. Sentieri selvaggi è formato da musicisti uniti nel progetto di avvicinare la musica contemporanea al grande pubblico. Fondato a metà anni Novanta ha instaurato alcune strette e importanti collaborazioni con compositori quali Michael Nyman, Philip Glass, David Lang, James MacMillan, Fabio Vacchi, Lorenzo Ferrero e Louis Andriessen. Da una decina d'anni organizza a Milano un festival, ogni volta incentrato su uno specifico tema, che è diventato una stagione di musica contemporanea con un cartellone di concerti, incontri, masterclass.

Ha realizzato alcuni importanti CD: La Formula del fiore, Bad blood, Child, Acts of beauty, Hotel occidental e il libro/CD Musica Cœlestis. Dal 2006 ha pubblicato per l'etichetta americana Cantaloupe Music, nel 2008 Il cantante al microfono con Eugenio Finardi e musiche di Vladimir Vysotsky, nel 2011 è uscito Zingiber. Di recente ha lavorato e prodotto spettacoli di teatro musicale, tra cui segnaliamo Io Hitler di Filippo Del Corno, L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Michael Nyman e The Sound of a Voice di Philip Glass.

L'intervista che segue è stata condotta con Filippo Del Corno, attuale presidente e co-direttore artistico di Sentieri Selvaggi.

All About Jazz: Hai/Avete voglia di raccontare ai lettori di All About Jazz come, quando e dove si è formato il vostro Ensemble?

S.s.: Sentieri selvaggi nasce nel 1997 a Milano per iniziativa di Carlo Boccadoro (compositore e direttore), Filippo Del Corno (compositore), Angelo Miotto (giornalista).

AAJ: Come e perché del nome che avete scelto.

S.s.: Sentieri selvaggi era il titolo di una trasmissione in onda su Radio Popolare dal 1995 al 1997, condotta da Miotto e Del Corno con la partecipazione di molti musicisti, tra i quali ovviamente Carlo Boccadoro, che eseguivano musica contemporanea in diretta. Sentieri selvaggi è la traduzione italiana del titolo del film di John Ford The searchers e per noi il nome rappresentava il percorrere strade inesplorate come quelle di certa musica contemporanea con l'entusiasmo dei pionieri alla scoperta di un nuovo mondo.

AAJ: I presupposti che vi hanno portato a unirvi sono gli stessi sui quali ancora oggi basate il vostro legame?

S.s.: In massima parte sì; i presupposti principali sono:

- dedicare alle partiture contemporanee la stessa cura e attenzione di interprete che si ha con la musica classica;

- far conoscere musica che altrimenti rimarrebbe sconosciuta, dando voce agli autori che noi riteniamo importanti indipendentemente dal loro orientamento estetico;

- avere un approccio sempre molto informale, senza la sacralità del concerto "classico"; i nostri concerti non prevedono ponderosi programmi di sala ma rapide introduzioni parlate, in stile radiofonico;

- favorire occasioni di intreccio e dialogo tra musica contemporanea e altre arti o discipline, per cui abbiamo lavorato spesso con musicisti jazz o pop/rock o abbiamo coinvolto scrittori, attori, architetti, pittori nei nostri progetti.

AAJ: Per quanto riguarda il repertorio, come lo scegliete e come lavorate per l'esecuzione... magari potete raccontarlo a partire da un progetto che avete realizzato che vi sta particolarmente a cuore.

S.s.: Carlo Boccadoro e Filippo Del Corno sono i direttori artistici e a loro sta l'ideazione di ogni progetto artistico, dalle linee generali fino alla definizione del repertorio. Poi c'è una lunga e approfondita fase di studio individuale seguita dalle sessioni di prova collettiva; la condizione migliore di lavoro si realizza quando si può dialogare con il compositore e provare direttamente insieme a lui.

Un progetto particolarmente curioso è stato Il cantante al microfono, omaggio a Vladimir Vysotsky, il famoso poeta/attore/cantante russo morto nel 1980. In questo caso, a partire dall'idea generale di questo omaggio a Vysotsky, Del Corno e Boccadoro hanno scelto di coinvolgere Eugenio Finardi come solista. Quindi insieme a Finardi sono state scelte alcune canzoni dal grande corpus del lavoro di Vysotsky, tradotte in lingua italiana da Sergio Secondiano Sacchi e strumentate da Filippo Del Corno per l'ensemble Sentieri selvaggi. È seguita poi una fase molto intensa di lavoro al pianoforte con Boccadoro e Finardi per lo studio delle canzoni in questa nuova versione fino al primo incontro con l'ensemble per una sessione di prove che ha portato al debutto al Teatro dell'Elfo nel maggio 2007. Dal debutto in poi sono seguite diverse repliche in teatri e festival di tutta Italia in cui il progetto si è progressivamente ampliato, per arrivare a un disco vincitore della Targa Tenco del 2008 e un DVD pubblicato da Velut Luna.

AAJ: Che cosa vi interessa maggiormente mettere in luce della musica del Novecento? Quali sono gli aspetti sui quali voi come Ensemble ritenete di dover maggiormente lavorare?

S.s.: Vogliamo far conoscere i compositori importanti del presente, del futuro e del recentissimo passato, indipendentemente dai linguaggi o dagli orientamenti estetici. Vogliamo restituire alle orecchie degli ascoltatori il paesaggio sonoro della contemporaneità, ricchissimo di idee e proposte. Lavoriamo moltissimo sull'eterogeneità dei linguaggi musicali dei nostri giorni cercando ogni volta di dare corpo alle idee del compositore su cui stiamo lavorando con la maggior precisione possibile, anche se magari si tratta di un autore lontano dai nostri abituali cammini di ricerca.

AAJ: Cosa significa per voi improvvisare? L'improvvisazione è una pratica del vostro fare musica insieme? Nel caso, come avviene e quanto peso ha nel vostro lavoro?

S.s.: In realtà è abbastanza raro che ci si trovi realmente ad improvvisare. Anche se alcuni autori che hanno scritto per noi, penso soprattutto a Giovanni Mancuso, hanno creato nelle loro partiture dei momenti aperti all'apporto dell'improvvisazione, con uno spot particolare sui musicisti dell'ensemble più portati all'improvvisazione, su tutti Andrea Dulbecco, nostro vibrafonista e grande protagonista della scena jazz italiana.

AAJ: Essendo All About Jazz una rivista dedicata al jazz, quanto pensate il vostro lavoro abbia a che fare con questo genere? Che cosa vi interessa in particolare di questa musica?

S.s.: Molti dei componenti di Sentieri selvaggi hanno un rapporto importantissimo con la musica jazz, il che diventa evidente nel nostro stesso modo di lavorare. Nel dettaglio, Carlo Boccadoro, che ha lavorato con jazzisti come Jim Hall, Emanuele Cisi, Chris Collins, Maria Pia De Vito, ha scritto per Einaudi un libro intitolato proprio Jazz!; Andrea Dulbecco è uno straordinario jazzista, protagonista di varie formazioni con musicisti del calibro di Mauro Negri, Furio Di Castri ecc.; Aya Shimura, violoncellista, ha lavorato nel progetto di Stefano Battaglia Re: Pasolini; Andrea Rebaudengo ha fatto diverse esperienze nel mondo del jazz come interprete e autore. Del mondo del jazz quello che davvero interessa Sentieri selvaggi è l'attitudine alla continua sperimentazione creativa e la capacità di intrecciare un dialogo sempre attivo con gli altri strumentisti del gruppo, il che dà vita a un vero e proprio "interplay" espresso in un repertorio contemporaneo.

AAJ: Portate avanti un lavoro teorico (letture, discussioni sulla metodologia, studi o ricerche, seminar) a livello di Ensemble oppure la formazione e la ricerca sono un percorso individuale da condividere solo in un secondo momento insieme?

S.s.: Da un anno i musicisti dell'ensemble sono impegnati in uno specifico progetto didattico realizzato all'interno dell'Accademia del suono di Milano, rivolto ad approfondire le tecniche e le modalità interpretative della musica di oggi.

AAJ: Nei vostri concerti eseguite autori contemporanei, ma anche pezzi vostri. Come costruite un concerto e attorno a quali aspetti puntate maggiormente?

S.s.: Cerchiamo sempre di creare programmi che abbiano un significato, magari extramusicale, che possa dare all'esperienza di un concerto di musica contemporanea un senso unitario che va oltre una dimensione puramente "antologica". Per questo spesso i nostri concerti hanno un titolo che esprime un filo rosso che passa attraverso tutti i pezzi in programma, e molto spesso entriamo in rapporto con altre discipline artistiche o addirittura scientifiche per creare terreni di dialogo e confronto che sono strumenti utilissimi per approfondire le tematiche legate alla creatività musicale di oggi. In definitiva, non pensiamo mai ai nostri concerti come ad esperienze rilassanti o consolatorie, ma come delle sfide che ingaggino le intelligenze dei nostri ascoltatori a stare sempre all'erta, con la voglia di capire, apprezzare o anche, eventualmente, disapprovare.

AAJ: Il pubblico è importante? E in che forma, dimensione, misura?

S.s.: Il pubblico è fondamentale; noi puntiamo sempre a quel pubblico che definiamo "spregiudicato," ossia privo di pregiudizi e che ha voglia di entrare in contatto con qualche cosa che non conosce e su cui non ha idee già formate. In realtà, è un pubblico molto vasto, che deve solo essere sollecitato. È un pubblico più interessato all'instabilità del presente che ai monumenti del passato, e soprattutto attivo nel dialogare attraverso le proprie reazioni con i tentativi, i processi ed i risultati degli autori contemporanei. È un pubblico che non accetta a-criticamente i nostri concerti, ma magari apprezza alcune nostre proposte ma da altre rimane disorientato, anche se affascinato. Cerchiamo sempre di tenere alta la guardia su qualità e senso di quello che facciamo, ed è il modo migliore per creare quel rispetto reciproco tra palcoscenico e platea senza farsi condizionare dall'ansia dei grandi numeri o del consenso a tutti i costi.

AAJ: Vi appoggiate ad una casa discografica? Ne avete fondata una vostra?

S.s.: Abbiamo lavorato con diverse case discografiche, ma in particolare abbiamo un rapporto privilegiato con Cantaloupe Music, etichetta newyorkese, emanazione del gruppo dei Bang On A Can che pubblica la maggior parte dei nostri titoli, tra i quali l'ultimissimo Zingiber.

AAJ: Dal punto di vista economico, come avete provveduto fino ad ora a finanziare i vostri progetti? Quali margini di autonomia avete rispetto a chi/coloro che vi sovvenziona/no?

S.s.: Dal punto di vista delle istituzioni siamo finanziati da Ministero dei Beni Culturali, Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Milano. Questi finanziamenti hanno conosciuto negli ultimi 3 anni tagli violentissimi e indiscriminati, in nessun modo legati ad una valutazione quantitativa o qualitativa della nostra produttività e progettualità. Fortunatamente alcuni nostri progetti sono stati finanziati con la partecipazione a bandi della Fondazione Cariplo; e inoltre è cresciuta la nostra capacità di autofinanziamento, grazie al "mercato," ossia royalties discografiche, sbigliettamento e tournée, e grazie a un gruppo di "Amici di Sentieri selvaggi" che con donazioni annuali libere (si va dai 30 ai 3.000 Euro) assicurano sopravvivenza e continuità al nostro lavoro.

Non abbiamo mai neanche dovuto negoziare la nostra autonomia rispetto ai finanziamenti, nel senso che rifiutiamo a priori qualsiasi finanziamento che comporti una forma di condizionamento rispetto alla nostra libertà di scelta.

AAJ: Pensi che ci sia una politica in Italia attenta agli Ensemble e/o su cosa dovrebbe sostenere realtà come la vostra la politica (locale, nazionale?)?

S.s.: No, la politica culturale del nostro paese non esercita alcun tipo di attenzione agli Ensemble di musica contemporanea. Di fatto non ne viene capita l'importanza sul piano della diplomazia culturale, come accade invece in tutti gli altri paesi d'Europa, dove gli ensemble di musica contemporanea sono la punta di diamante della identità artistica delle rispettive comunità musicali: pensiamo a come sono sostenuti, e giustamente, Ensemble Modern e MusikFabrik in Germania, Ensemble InterContemporain in Francia, Bit20 in Norvegia, Athelas in Danimarca ecc.

Gli ensemble rappresentano la forma più innovativa di diffusione della musica d'arte per le caratteristiche che li accomunano: agilità di struttura, vocazione alla multidisciplinarietà, capacità di sviluppare reti articolate di relazioni internazionali (con compositori, editori, festival), innovazione nelle forme di comunicazione e nella dimensione performativa. Gli ensemble di musica contemporanea sono i moderni ambasciatori di cultura perché portano in giro per il mondo il segno della creatività musicale del paese da cui vengono e lo mettono in relazione feconda con quello che avviene oltre i propri confini. Solo la timida incuria con cui in Italia si trattano le cose della cultura può generare questa squallida disattenzione in termini di strategie e risorse dedicata a tutti gli ensemble di musica contemporanea operanti sul territorio, nessuno escluso.

AAJ: Approfondiamo il lavoro Io Hitler, opera chiave sul rapporto tra storia, memoria storica e romanzo. Come avete lavorato sulla parola e quali difficoltà avete avuto, se ci sono state, a passare all'"azione di teatro musicale"? Siete stati guidati da Genna o avete lavorato in autonomia (anche rispetto all'opera)?

S.s.: Io Hitler è un progetto che è nato sostanzialmente da Filippo Del Corno, che ha scelto di lavorare sulla prima parte del romanzo Hitler di Genna (Mondadori 2008) per dare vita a un'azione di teatro musicale con protagonisti un attore e l'ensemble Sentieri selvaggi. Il testo dell'azione di teatro musicale è stato scritto direttamente da Genna riprendendo diversi spunti del libro ma reinventandone completamente la morfologia drammaturgica: questo passaggio è avvenuto in continua relazione con il compositore, Del Corno appunto, e il regista Francesco Frongia [leggi qui un'intervista al regista].

Molte sono state le riunioni di costruzione del testo e relativa limatura, mentre alcune parti musicali dell'azione venivano scritte in contemporanea da Del Corno dando vita a un reciproco influenzarsi di testo e musica. Determinante per il colore complessivo del lavoro è stato il confronto con Giovanni De Francesco, artista autore di scene e costumi, che ha fornito continue sollecitazioni visive in risposta al procedere di copione e partitura.

AAJ: Quanto è importante la dimensione di "azione di teatro musicale"... mi pare largamente presente in ogni vostra opera recente...

S.s.: Il teatro musicale è la forma più interessante e innovativa nell'attuale scenario compositivo, perché è lo strumento ideale per esplorare nuovi intrecci con altre espressioni artistiche contemporanee e per uscire dall'isolamento aprendo un nuovo dialogo con il pubblico di oggi. Il teatro musicale, a differenza della vera e propria opera lirica contemporanea, ha inoltre quelle caratteristiche di agilità e sostenibilità economica che lo rendono terreno privilegiato per chi oggi voglia cimentarsi con forme di rappresentazione teatrale del proprio pensiero musicale.

AAJ: Avete realizzato numerosi progetti su e con musicisti assasi diversi tra loro (penso a Michael Nyman, Eugenio Finardi, AC/DC, Cristina Zavalloni e Vladimir Vysotsky), ma allo stesso tempo avete intessuto un filo conduttore musicale "minimalista" (che vede insieme John Adams, Philip Glass, Michael Nyman, Gavin Bryars, Giya Kancheli, Steve Reich, David Lang) che vi caratterizza in modo solido e ben connotato. Casuale o ricercato?

S.s.: Non vi è nulla di casuale né di particolarmente ricercato. Lavoriamo con le persone che stimiamo e che pensiamo possano dare corpo a progetti musicalmente interessanti e innovativi, così come approfondiamo gli autori che riteniamo sia importante approfondire per il valore intrinseco del loro lavoro indipendentemente da tendenze estetiche o vicinanze politiche. Cerchiamo sempre di fare qualcosa che sia anche spiazzante rispetto a quanto si attende da noi, e cerchiamo sempre di spostarci dal fastidioso mirino che la critica e un certo tipo di pubblico vogliono tenerti puntato addosso per essere rassicurati nell'averci definitivamente inquadrati. Ecco in definitiva cerchiamo sempre di non rassicurare nessuno ma di sfidare continuamente gli altri e prima di tutti noi stessi.

AAJ: Su che progetti state lavorando?

S.s.: Un nuovo progetto per la Biennale di Venezia in cui indagheremo gli intrecci tra prassi compositiva contemporanea e linguaggi musicali "altri" lavorando su partiture in cui deliberatamente i compositori hanno aperto un confronto con esperienze musicali apparentemente "barbare," ossia, in senso etimologico, fondate su lingue estranee alla lingua franca di una comunità specifica, e quindi considerate "rozze," "inintelleggibili," "incivili". Inizieremo il concerto con Kick di Steve Martland e crediamo che, ancora una volta, saranno in molti a sentirsi spiazzati.

Foto di Marco Pieri (la prima), Michela Veicsteinas (la terza e la quarta), Lelli e Masotti (la penultima).


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