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Hal Russell, chi era costui?

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Questo profilo di un musicista fin troppo poco - e comunque troppo tardi - conosciuto è apparso su "Musica Jazz" nell'agosto 1996, a settant'anni dalla sua nascita. Quella che segue ne è la versione integrale, riproposta per gentile concessione dell'autore.

Già: chi era quest'autentico Carneade dei tempi moderni? La domanda è legittima, parlando di tanto singolare personaggio, vissuto in fondo troppo poco, per un destino beffardo almeno quanto la sua arte che ce l'ha portato via proprio sul più bello. Era il settembre 1992 quando, di ritorno dall'Europa dove in luglio aveva inciso il suo terzo album per la ECM, Hal Russell moriva a Chicago in seguito a un'operazione al cuore. Di lui, i più attenti si erano accorti da non più di un paio d'anni, ma più fresca ancora era la sua fama—chiamiamola così—discografica, visto che il primo dei tre ECM di cui sopra era uscito solo in pieno 1991.

Vediamo di mettere un po' d'ordine, entro una biografia piuttosto nebulosa, partendo dall'inizio. Hal Russell—al secolo Harold Luttenbacher—nasce a Detroit il 28 agosto 1926 e per quasi mezzo secolo si dedica unicamente alla batteria (o al limite al vibrafono), avvicinata all'età di quattro anni. Da adolescente, ormai trasferitosi stabilmente a Chicago, dirige un quartetto dal singolare organico (trombone a pistoni, sax tenore, piano e, appunto, batteria) alla Riverside-Brookfield High School, per proseguire all'università con una più sostanziosa big band di ascendenza hamptoniana. Contemporaneamente, gli tocca un destino comune a molti jazzmen più o meno suoi coetanei che, essendo troppo giovani per andare in guerra, si trovano nella condizione di vedersi spesso reclutati da questo o quel bandleader per rimpiazzare i colleghi partiti per il fronte.

E' così che Russell ha occasione di suonare con i vari Woody Herman, Claude Thornhill, Boyd Raeburn, finché non finisce contagiato dal germe del bebop, di cui lo sconvolge in particolare il ruolo del tutto nuovo assegnato al suo strumento, finalmente nella condizione di dialogare alla pari—o quasi—con tutti gli altri. Gli anni Cinquanta lo vedono così calato mani e piedi nella parte del bopper, sia sul piano squisitamente musicale, che per il destino, purtroppo così diffuso, legato alla tossicodipendenza. L'uso di eroina lo accompagna per tutto il decennio, nel corso del quale ha peraltro occasione di suonare al fianco di fuoriclasse del calibro di Miles Davis, Erroll Garner, Getz, Rollins, Coltrane, persino Duke Ellington.

Un anno-chiave è il 1959, allorché Russell entra in un quartetto, completato da Joe Daley al sax tenore, Gene Esposito al piano e Russell Thorne al contrabbasso, che ottiene un lungo ingaggio alla Rumpus Room. E' qui che Hal si apre alle "nuove forme" codificate qualche migliaio di chilometri più a ovest, in California, da Ornette Coleman (la cui musica Russell dichiarerà tuttavia di iniziare a conoscere solo in seguito). Lui, Daley e Thorpe avvertono l'esigenza di svincolarsi dalle usuali "gabbie" ritmiche e soprattutto armoniche, per cui chiedono al pianista di farsi da parte, per un esperimento. L'esperimento va al di là delle attese, e Gene Esposito viene messo cortesemente alla porta. Nasce così il Joe Daley Trio, che, forte di un repertorio di tutti originals, rimane in vita per circa quattro anni, sciogliendosi proprio all'indomani dell'incisione del suo unico album, Newport '63 (in realtà realizzato quasi tutto in studio), edito dalla RCA in mezzo al disinteresse generale. Hal Russell si trasferisce quindi in Florida, dove mette in piedi una nuova band, ma dopo un anno deve far ritorno a Chicago in quanto affetto da una misteriosa allergia a particolari spore vegetali presenti sulla East Coast.

Gli anni Settanta trascorrono senza troppi sussulti. L'attività è decisamente saltuaria, e continui sono gli avvicendamenti di personale in seno ai gruppi che Russell allestisce, alla costante ricerca di quell'organico che poco a poco inizia a prender corpo, confluendo nella formazione da lui diretta per il resto della sua vita: un Ensemble denominato NRG per l'evidente omofonia fra le tre iniziali (En. Er. Gy.) e la parola Energy. L'energia è in effetti una delle componenti-chiave del gruppo, il cui nucleo-base comprende in pratica quattro multistrumentisti: Chuck Burdelik e successivamente Mars Williams, entrambi specialisti delle ance, Brian Sandstrom, Kent Kessler, che svolge per lo più il ruolo di bassista, e Steve Hunt. A quest'ultimo è di regola affidata la sezione-percussioni, per il semplice fatto che Hal Russell, nel frattempo, si è messo a suonare anche sassofono (tenore e soprano), riprendendo contemporaneamente in mano la tromba, in pratica abbandonata dopo il diploma conseguito in gioventù. "Quando passo dal tenore alla tromba—dichiarerà anni dopo a John Corbett—smetto di pensare come un tenorsassofonista e inizio a essere un trombettista! Le mie idee non sono le stesse. Il vantaggio del cambio di strumento è il diverso flusso di idee che prendono piede in me".

Nel corso degli anni Ottanta, NRG incide quattro album: l'omonimo Hal Russell NRG Ensemble, nell'81 per la Nessa (stessa etichetta e stesso anno per un disco in duo tra Russell e Mars Williams, Eftsoons), Generations, nell'82 per la Chief, ospite Charles Tyler, Conserving NRG, nell'84 per la Principally Jazz, e Hal on Earth, nell'89 per la Abduction. Tali lavori, che pure tratteggiano già eloquentemente i contorni della proposta estetica dell'ensemble, cadono praticamente nella più totale indifferenza (almeno al di fuori di una ristretta cerchia di appassionati e addetti ai lavori americani) ed escono ben presto dal mercato.

E' come un autentico ciclone, quindi, che l'NRG si abbatte nel 1990 sul Festival di Moers, e di conseguenza sui jazzfans del Vecchio Continente. Appunto uno di loro, il critico e produttore Steve Lake, avvicina quindi Russell, procurandogli un prestigioso contratto con la ECM, per la quale Hal farà in tempo a incidere tre album, il primo dei quali fin da quello stesso 1990, a documentazione del successivo tour europeo autunnale che tocca, fra le altre, Finlandia (Tampere) e Svizzera (Zurigo), da cui il titolo di The Finnish/Swiss Tour.

Trattandosi del primo verosimile impatto con la musica di Russell da parte della stragrande maggioranza degli appassionati, vediamo di fare un po' più da vicino la conoscenza di questa singolare opera, certo di non comune spessore. La prima parentela che viene spontaneo stabilire è con Sam Rivers, un po' per la curiosa analogia con la presentazione di Streams (Montreux '73), presagio di una grossa rivelazione (grossa anche perché in entrambi i casi tardiva), un po' per il timbro aperto e abrasivo del soprano di Russell, che inaugura la sequenza dei soli nell'iniziale "Monica's Having a Baby," un po'—ancora—per l'orgiastico senso ritualistico-liberatorio che innerva questa musica che si sdipana a briglia sciolta, su temperature spesso torride, incandescenti. Di Rivers, semmai, manca il tangibile lirismo, così come la generosa solarità di certe aperture "defaticanti," laddove qui tutto appare ribaldo, sulfureo, luciferino.

Col procedere dei brani, ci si accorge poi di come Russell utilizzi il polistrumentismo suo e dei suoi per enfatizzare, anziché decongestionare e variare, la tavolozza timbrica, doppiando spesso un proprio intervento—alla tromba, al vibrafono, al tenore, ecc.—con quello, strumentalmente opposto, di uno dei suoi uomini. E viene allora in mente un secondo nome, quello di Roland Kirk: identica la carica, inesauribile, identico il gusto per l'imprevedibilità a getto continuo e per il grottesco, il caricaturale, il circense. In parte c'è anche Zorn, dietro l'angolo, non fosse altro che per una spiccata tendenza a visualizzare, a "gestualizzare," ogni suono. Un ultimo nome da fare è poi quello di Hermeto Pascoal: stessa impostazione di gruppo, stessa elefantiasi polistrumentale, stessa tendenza a mettere molta carne al fuoco, e a cuocerla a fiamma decisamente viva. Questo in linea di massima, perché nei fatti non mancano gli episodi più morbidi, con i toni dell'implorazione di impronta ayleriana, o addirittura contemplativi, come accade in uno dei vertici dell'album, "For MC," con Russell alla tromba, Sandstrom alla chitarra e tutti gli altri al didgeridoo.

Simultaneamente all'NRG, Hal Russell coltiva anche altri progetti. Per esempio i Flying Luttenbachers (palese il richiamo al suo cognome all'anagrafe), gruppo di umore per così dire jazz-punk (ammesso che ciò non valga per lo stesso NRG...) completato da Chad Organ al sax tenore e Weasel Walter alla batteria. Nato nel dicembre 1991, il trio prosegue senza Russell nel momento in cui questi ne esce, nel giugno '92, rimpiazzato da Ken Vandermark. C'è poi un altro trio, l'NRG3, di suggestioni rockeggianti, con Noël Kupersmith al basso e Ed Ludwig alla batteria, e c'è un duo col pianista Joel Futterman. C'è, infine, la pratica della solo performance, a cui Russell dà voce nel suo secondo album ECM, Hal's Bells, inciso al Rainbow Studio di Oslo nel maggio 1992.

Se il titolo del lavoro può richiamare Ayler, e l'uso pressoché a senso unico dell'overdubbing numerose esperienze consimili, ciò che colpisce è la mimesi che Russell stabilisce con gli abituali percorsi dell'NRG, surrogandoli quasi alla lettera, a suggerire l'idea di un gruppo creato in tutto e per tutto a sua immagine e somiglianza. Le temperature sono per forza di cose un po' più tiepide, e ciò in fondo giova alla colloquialità della musica, ma al tempo stesso l'abitudine—del resto, come abbiamo visto, ampiamente teorizzata da Russell—a diversificare massicciamente l'approccio a seconda dello strumento usato determina la strana sensazione di non trovarsi se non episodicamente di fronte a un album solitario, cioè concepito da un'unica mente.

Si torna, sia quel che sia, alla norma in ciò che Hal Russell registra di lì a due mesi ancora in studio (a Winterthur), recuperando l'NRG Ensemble per un'opera dall'ampio respiro della suite autobiografica (il titolo, non a caso, è The Hal Russell Story), a sua volta ripartita in sei minisuites, per un totale di ventidue quadri complessivi. L'iniziale "Family Jam," in quattro episodi, è torrenziale e paratesca, con continui inserti (anche strettamente verbali-narrativi) che richiamano ancora i Kirk (soprattutto), gli Zorn, i Pascoal, a tratti lo stesso Frank Zappa. Una musica in costante fermento, ad ogni buon conto, sovraccarica di umori e situazioni della più variopinta estrazione.

Ancora di struttura quadripartita, la successiva "Scholar and Fan" si apre con un sibillino omaggio a Gene Krupa, per poi riaccendere le polveri, in un clima spesso furibondo che abbraccia sostanzialmente anche il terzo blocco, "Hit the Road, Hal," in tre episodi. Il successivo "For M.," che apre la quarta parte dell'opera, "Fast Company," ne costituisce al tempo stesso uno dei vertici, per la varietà delle situazioni proposte e per un Russell particolarmente ispirato alla tromba. Rigoglioso ma sospeso, ancora con i tratti della preghiera di impronta ayleriana, il susseguente "Gloomy Sunday" è dominato dai tenori di Williams e del leader, mentre la minisuite (in sei quadri) si chiude con un trittico di episodi dal sapore del bozzetto.

Le due sezioni conclusive, entrambe, bipartite, sono infine caratterizzate da turbinosi avvicendamenti strumentali, nonché dai consueti parlati russelliani. Tali elementi, uniti a un impianto spiccatamente sassofonistico (che si allarga ai due brevi "Encores" finali, fuori suite), fanno sì che prevalgano, fra le tante, le linee ispirative che abbiamo identificato come kirkiana e ayleriana, nel composito universo di quel vorace demiurgo che risponde al nome di Hal Russell. Il quale, come si diceva all'inizio, fa appena in tempo a rientrare in patria e deve subito sottoporsi a un delicato intervento cardiochirurgico, che purtroppo non sortisce gli esiti sperati. Russell si spegne così a Chicago il 5 settembre 1992. La successiva notte di Halloween, tradizionale festa della burla a lui particolarmente cara, tutti quanti lo hanno amato si riuniscono per ricordarlo al Southend Musicworks. I suoi musicisti, presenti e passati, suonano in suo onore. L'NRG Ensemble, per parte sua, s'impegna a proseguire anche senza il suo condottiero (sostituito anche qui da Ken Vandermark), incidendo Calling All Mothers su Quinnah nel 1993, This Is My House su Delmark nel '95 e Bejazzo Gets A Facelift su Atavistic nel '97. Del vecchio Hal, sia quel che sia, a dispetto della tardiva rivelazione il mondo del jazz mostra di dimenticarsi fin troppo in fretta. Non è il primo caso e non sarà certo l'ultimo.

Le foto di Hal Russell a corredo del presente articolo sono di Caroline Lake e W. Patrick Hinely.


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