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Da/per Terre di mezzo

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Il testo di Libero Farnè qui riedito è stato originariamente concepito come presentazione del CD "Faro" del quartetto Terre di mezzo e come tale pubblicato, in forma leggermente ridotta, nel libretto allegato al CD stesso, pubblicato nel 2004 da Wide.

Perché riparlare oggi di Terre di mezzo? Innanzi tutto perché il gruppo da quando è nato (come trio alla fine degli anni Novanta) è sempre stato attivo, propugnando con coerenza una sua convinta e peculiare visione estetica, ma non ha mai ottenuto a livello nazionale la visibilità e i riconoscimenti che avrebbe meritato. Nel frattempo sono intervenute delle modifiche d'organico: da trio si è trasformato in quartetto con l'ingresso di Ettore Fioravanti ed alla fisarmonica Luciano Biondini è subentrato a Simone Zanchini.

In secondo luogo ne riparliamo oggi perché Terre di mezzo è stato invitato alla prossima edizione del festival Time in Jazz di Berchidda, dedicata al tema della "terra". La formazione si esibirà venerdì 12 agosto, ore 18, nella Chiesa di Santa Lucia di Mores. Fra l'altro Paolo Fresu, direttore artistico del festival, è stato uno dei primi estimatori del gruppo, avendo stilato le note di copertina del suo primo CD, l'omonimo "Terre di mezzo," inciso nel 1999 e pubblicato da Philology.

Piadine e discoteche, il Liscio boccaccesco dei Casadei e un'ospitalità buontempona a tutti i costi: stereotipi tanto abusati quanto riduttivi per designare il carattere della terra di Romagna. Nulla di più fuorviante se si vuole cercare di individuare le coordinate di una cultura estremamente complessa, che annovera nel suo DNA lontane radici bizantine, un'accentuata propensione individualista con eccessi anarchici, una tradizione marinara e montanara al tempo stesso...

In ambito estetico l'espressione recente di questa cultura è una creatività certo esuberante, ma anche autocritica, intrisa a volte di un'amara disillusione, di paranoiche ossessioni, di una fantasia stralunata e surreale e di tanto altro ancora. Senza tirare in ballo il solito Fellini, negli ultimi vent'anni gli esiti più eclatanti della creatività romagnola si sono riscontrati nel teatro di ricerca. Compagnie come la Socìetas Raffaello Sanzio, il Teatro della Valdoca, il Teatro delle Albe di Marco Martinelli e le più giovani Motus e Fanny & Alexander si sono ormai imposte a livello internazionale, allestendo produzioni multimediali dai contenuti crudi e problematici, tutt'altro che consolatori. Altamente significativa inoltre la poesia dialettale di Raffaello Baldini, rielaborata fra l'altro da Ivano Marescotti nel monologo Il silenzio anatomico, che prevede in scena il trio di Paolo Damiani.

Contemporaneamente anche in ambito jazzistico si è sviluppata una nouvelle vague tipicamente romagnola, validamente rappresentata da gruppi come l'interetnico Metissage, il quartetto di sassofoni Ti Sha Man Nah, la formazione Ella Guru pilotata dal chitarrista riminese Giorgio Casadei, oggi leader dell'Orchestra Spaziale. Queste ed altre esperienze sono accomunate da uno slancio creativo che da un lato affonda le radici nella propria tradizione popolare (mai data però per acquisita acriticamente, ma approfondita e reinterpretata continuamente), dall'altro è pienamente consapevole del fatto che nel mondo attuale si intrecciano inevitabilmente le influenze più diverse e contrastanti, tanto che bisogna ricercare non solo una convivenza onorevole e dignitosa per tutti, ma, se possibile, un'osmosi inedita e benefica.

Di questo fermento jazzistico romagnolo e di questo tipo di approccio, aperto e propositivo, il trio/quartetto Terre di Mezzo rappresenta oggi al punta di diamante, l'espressione più matura e consapevole dal punto di vista tecnico, come da quello artistico. Il trio ha mosso i suoi primi passi nel 1996, quando l'imolese Roberto Bartoli, contrabbassista di grande esperienza, e i più giovani Emiliano Rodriguez e Simone Zanchini (di Verucchio il primo, di Novafeltria in provincia di Pesaro-Urbino il secondo) hanno scoperto che fra loro esistevano sintonie e potenzialità che meritavano senz'altro di essere esplorate. Il fisarmonicista è quindi marchigiano, ma si considera a tutti gli effetti romagnolo (è accertato infatti che, per motivi storici e geografici, la cultura romagnola, innanzi tutto il dialetto, si estende un po' oltre i confini amministrativi delle province di Ravenna, Forlì e Rimini).

La denominazione «terre di mezzo» si riferisce a quei lembi residuali di terreno, compresi fra i campi coltivati e le strade, su cui capitano semi di tutti i tipi, dando origine a una sterpaglia tanto varia e selvatica, quanto robusta e variopinta. Fin dall'origine quindi il trio reclamava il diritto di attingere da ogni dove le proprie ispirazioni musicali e di accostarle, intrecciarle, ibridarle, stravolgerle.

L'omonimo Terre di Mezzo, il primo CD inciso nell'aprile 1999 per la Philology, è passato purtroppo quasi inosservato; peccato, perché è di grande coerenza e di insolita freschezza comunicativa. Esso presenta ben evidenti tutti quei caratteri che il gruppo avrebbe in seguito sviluppato: brani in cui due o tre temi diversi, dalla spiccata linea melodica, si intrecciano e riemergono a turno, il dinamismo ritmico accentuato da cambi di tempo e stop improvvisi, la buona vena compositiva di tutti i membri del trio, affiancata da innumerevoli citazioni di famosi brani, soprattutto del repertorio sudamericano, come pure il virtuosismo tecnico e le smaliziate doti interpretative di ognuno di loro. Ne consegue una propensione moderatamente cameristica (alla quale è del tutto estranea la dimensione elettronica) capace di coniugare concretezza e swing leggiadro, rigore e fantasia visionaria.

A cominciare dall'estate 2002 in diverse occasioni concertistiche al trio si è aggiunto Ettore Fioravanti (a volte anche Gianluigi Trovesi), che certo romagnolo non è, ma che, da batterista duttile, intelligente e di consolidata esperienza, è stato in grado di inserirsi con mani e piedi leggeri, senza la pretesa di stravolgere quell'impianto che era già perfettamente definito e calibrato. Tanto è vero che in «Faro» non compare nemmeno un brano di Fioravanti, che pure è compositore e arrangiatore di valore. Il trio si è quindi trasformato in quartetto, conservando la propria identità e senza precludersi per altro la possibilità di esibirsi nell'originaria dimensione del trio o, all'ocorrenza, di estendersi al quintetto.

Della peculiare estetica del gruppo e della sua evoluzione "Moreddu - Il figlio di nessuno," brano a firma di Zanchini contenuto anche nel CD d'esordio, costituisce un esempio probante, ma anche tutti gli altri brani di Faro danno corpo ad una concezione composita e ben caratterizzata: a cominciare dal brano che dà il titolo al CD (ispirato alla città del Portogallo meridionale) scritto da Bartoli, che si conferma l'autore più prolifico della formazione.

La musica si snoda quindi fra idee forti e digressioni, fra ricorrenze ed episodi, riuscendo miracolosamente a gettare un ponte fra il gusto per le variazioni, gli abbellimenti e gli adescamenti ritmici propri dello Swing, il libero intreccio delle voci, l'esasperazione timbrica e la coagulazione materica provenienti dal Free e, ovviamente, spunti melodico-ritmici delle più svariate derivazioni etniche. Fra questi tre caposaldi stilistici si inseriscono altri riferimenti, ma non determinanti: cadenze bebop compaiono per esempio nel fraseggio arabescato del soprano di Rodriguez.

Questa fitta trama di idee e stimoli viene tradotta da un interplay particolarmente serrato, al quale ognuno dà il suo fondamentale contributo: Bartoli costruisce l'intelaiatura con una pulsazione solida ed elastica, Rodriguez è responsabile di un disegno puntiglioso, elegantemente elaborato, Zanchini aggiunge un'originalissima verve luciferina, Fioravanti arricchisce il tutto, sottolineando o sfumando, legando o frammentando.

Foto di Roberto Cifarelli (Fioravanti) e Claudio Casanova (Bartoli).


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