Home » Articoli » Live Review » Vicenza Jazz 2023

2

Vicenza Jazz 2023

Vicenza Jazz 2023

Courtesy Roberto De Biasio

By

Sign in to view read count
Vicenza Jazz 2023—New Conversations
Varie sedi
10—20.5.2023

Almeno due sono state le idee portanti che hanno caratterizzato la ventisettesima edizione di Vicenza Jazz—New Conversations. Innanzi tutto, come ha spesso ripetuto il direttore artistico Riccardo Brazzale nel presentare i concerti, più che in passato si è voluto puntare lo sguardo su proposte rappresentative della ricerca jazzistica più attuale, cogliendo la vitalità di un linguaggio in continua evoluzione, basato su una fertile ibridazione di culture, tendenze, generi musicali. Nel contempo, molto opportunamente è stato dato largo spazio alla presenza femminile, anche in questo caso cogliendo un fenomeno importante, in atto non solo in ambito jazzistico. Ad approfondire questo aspetto intervengono molti dei saggi specialistici contenuti nella preziosa pubblicazione "I quaderni del jazz 23," edita ogni anno a partire dal 2001, che vanno ad arricchire la mera illustrazione del programma dell'edizione in corso. Di quanto sopra anticipato in sintesi, si è avuta conferma nelle tre giornate a cui ho potuto assistere, concentrate nella parte conclusiva del festival vicentino.

Nella cornice unica del Teatro Olimpico si sono susseguite due proposte quasi antitetiche. Danilo Rea e Michel Godard, che condividono la passione per la musica di Puccini, hanno reinterpretato arie del maestro toscano con lodevole creatività e buona intesa nello scambiarsi continuamente i ruoli di accompagnatore o solista. Brani famosi come "Nessun dorma," "Vecchia zimarra," "E lucean le stelle," protratto con accorate variazioni, ed altre ancora per finire con "O mio babbino caro" sono stati intervallati da appropriati original ora dell'uno ora dell'altro comprimario. Nella loro resa interpretativa tuttavia è trapelata a tratti una certa divergenza, dovuta alle differenti esperienze maturate nel corso degli anni e soprattutto alle peculiarità degli stessi strumenti da loro suonati. Sotto le mani del pianista romano ha preso vita una rivisitazione in chiave jazzistica ora baldanzosa ora intimista, ma sempre ricca sotto il profilo armonico e intrisa di un amore quasi reverenziale per questo repertorio. Il tubista francese ha espresso una grande mobilità dinamica, una sonorità timbricamente variatissima, anche se non sempre intonata alla perfezione. Se la sua interpretazione pucciniana al bassotuba può essere risultata eccentrica, divagante, scanzonata, forse più convincente, in questo repertorio, si è rivelata la pronuncia trattenuta e levigata quando ha imboccato il serpentone, un antenato della tuba ancora utilizzato all'epoca di Puccini.

Il Tiger Trio, sodalizio tutto al femminile fondato nel 2015 da Nicole Mitchell, Joëlle Léandre e Myra Melford, ha proposto nel secondo set un'improvvisazione fresca e leggiadra, venata d'ironia e di lieta condivisione, senza pesantezze retoriche, insistenze ossessive o esibizionismi inutili. Nei brevi brani affrontati hanno intrecciato un interplay estremamente efficace e inventivo, articolato in collettivi, duetti e assoli, dando prova di un modo assai originale di elaborare le varie fasi del percorso narrativo e di concludere sinteticamente ogni episodio in poche battute. Questo è stato reso possibile grazie alla bravura delle singole strumentiste, alla lunga esperienza maturata da ognuna nell'ambito della libera improvvisazione e anche alla comunione d'intenti e di poetiche che le lega.

In questo contesto, più che in altri, la flautista ha potuto mostrare la propria maturità tecnico-espressiva, elaborando un fraseggio agile, spiritato, pieno di sorprese melodico-timbriche, con inserimenti vocali emessi con una vocina quasi infantile. Il procedere apparentemente austero, in verità sussultorio, divertito e imprevedibile, del contrabbasso quasi sempre suonato con l'archetto dalla francese Léandre, la più anziana del gruppo, ha garantito un'irresistibile approccio gestual-teatrale. Il pianismo della Melford infine ha ricoperto un ruolo più autenticamente jazzistico, ovviamente free, predisponendo nella diteggiatura percussiva e nelle complessità armoniche un contesto frastagliato, talvolta frenetico.

Di tenore più "jazzistico," nel senso canonico del termine, è stata la serata successiva al Ridotto del Teatro Comunale, in cui si sono succeduti due quartetti, il primo americano il secondo italiano, entrambi estremamente compatti e agguerriti.

Rispetto a precedenti apparizioni, connotate dall'esperienza al fianco di David Bowie nel suo ultimo album, Donny McCaslin è sembrato perfino più aggressivo e metropolitano. Per ottenere questo era contornato da una formazione in parte variata: il batterista Zach Danziger ha esposto un drumming pervasivo, molto tecnico, stentoreo e altrettanto si può dire dell'approccio del bassista elettrico Jonathan Maron, caratterizzato da un incedere imperterrito. Il pilastro della formazione, Jason Lindner alle tastiere, era impegnato a tramare fondali liquidi ed evocativi, le cui insistenze hanno assunto risvolti ora quasi ludici ora di sapore caraibico, ma più spesso erano tese a immaginare spazi dilatati e allucinati. Se il lavoro dei partner, soprattutto di basso e batteria, si è rivelato senza dubbio funzionale anche se un po' di maniera, l'eloquio del tenore del leader, il cui sound era a tratti raddoppiato e riverberato dall'elettronica, si è dispiegato particolarmente propositivo, determinato, energico, in parte rinnovato. I temi ampi, dall'impianto semplice ma tutt'altro che banale, hanno permesso lo sviluppo di un fraseggio concatenato, circolare, intercalato da crescendo avvincenti e da lunghe note vibranti.

Non molto diversa l'energia e la determinazione dimostrate da The Connection, il quartetto italiano salito sul palco subito dopo e pilotato da alcuni anni da Fabrizio Bosso e Rosario Giuliani. In questo caso le strutture erano governate da una più classica alternanza fra collettivi e interventi solistici, il linguaggio era orientato verso una solida tradizione jazzistica, anche se rivisitata con una pronuncia e una convinzione del tutto personali, con un sound dalla piena e vibrante qualità acustica. Il groove gonfio e bluesy assicurato da Alberto Gurrisi all'organo Hammond e la pulita, incalzante scansione ritmica del drumming di Marco Valeri hanno lanciato gli spazi solistici dei due co-leader, congeniali comprimari, quasi fratelli gemelli non solo per la fraterna amicizia che li lega, ma per l'intesa istantanea, il virtuosismo tecnico, la trascinante verve espressiva. Quello che fra loro si è sviluppato non è stata una competizione muscolare, che si sarebbe limitata a dare risultati esteriori e d'effetto, bensì un'intima assonanza di idee, valori ed esiti artistici. D'altra parte il sodalizio affiatato e generoso fra Giuliani e Bosso ha radici lontane, essendo iniziato nel 1999 in occasione dell'incisione del primo disco del trombettista. Dal CD Connection invece, edito nel 2021 dalla Warner Music con la medesima formazione, sono stati tratti gli original riproposti con piglio infuocato nel concerto vicentino.

Tre date con differenti formazioni, una sorta di residenza o di carta bianca, sono state concesse all'emergente strumentista Zoe Pia. In un concerto pomeridiano la clarinettista sarda è stata uno dei poli del duetto con Mats Gustafsson: abbinamento sulla carta azzardato, ma non inedito e rivelatosi del tutto riuscito. I due hanno praticato un'improvvisazione estrema, basata su un'attenzione istantanea e sinergica, capace di innescare azioni e reazioni a catena, esasperazioni sonore lancinanti e momentanee distensioni poetiche e intimiste, sorprese e cambi di rotta continui... Il loro percorso musicale ha preso le forme, i colori, le dinamiche e le stesse idee ispiratrici dalla gamma di strumenti di volta in volta utilizzati: oltre al clarinetto, le launeddas, un crotalo in bambù, campanacci e l'elettronica usata anche con effetti luminosi da parte di Zoe Pia, mentre Gustafsson si è alternato soprattutto al sax baritono e al flauto traverso, imboccando all'occasione anche una sorta di ciaramella.

Il loro interplay esemplare ha generato un dialogo dalle tinte forti, compendiando istinti primordiali e tragedie post-atomiche, culture ancestrali che permango nel nostro DNA e proiezioni in un futuro cosmico, senza per questo escludere ripensamenti, più serene decelerazioni, esternazioni melodiche appassionate. Il loro recente sodalizio, reduce da una tappa romana durante la quale è stato registrato il materiale per un'edizione discografica del Parco della Musica, è stato ospitato negli Spazi ipogei di Palazzo Thiene, una lunga galleria con volta a botte in mattoni, poco capiente ma ideale per il messaggio veicolato, oltre che per la resa acustica.

Zoe Pia e i Tenores di Orosei, che nel concerto pomeridiano con il sassofonista svedese si erano inaspettatamente inseriti nell'ultimo brano, sono stati i protagonisti del concerto di mezzanotte al Cimitero Maggiore, appuntamento che si replica da una decina d'anni. Questa ambientazione anomala e coraggiosa in realtà è in grado di far scaturire atmosfere magiche, che tuttavia quest'anno hanno fatto fatica a concretizzarsi. Gli interventi della polistrumentista si sono sovrapposti o intercalati ai ben calibrati canti tradizionali del quartetto vocale, realizzando controcanti ora consonanti ora più audaci e sperimentali, a tratti decisamente contrapposti. Non sono mancati momenti suggestivi, ma nel complesso la performance non è riuscita a coinvolgere pienamente il pubblico, risultando frammentaria, senza approdare a un necessario e intenso dialogo fra tradizione etnica e attualizzazione culturale, senza raggiungere esiti formali ed espressivi esaltanti. La formazione ha da poco concluso la registrazione di brani che confluiranno in un CD, la cui pubblicazione da parte di un'etichetta norvegese è prevista per l'autunno.

Nella terz'ultima serata di Vicenza Jazz 2023 si è assistito a un evento in esclusiva europea: il concerto per solo piano di Abdullah Ibrahim, che al Teatro Olimpico aveva già suonato nel lontano 2007. L'occasione ha fatto registrare il tutto esaurito, costringendo gli organizzatori ad accogliere alcuni spettatori anche nelle due estremità del palcoscenico palladiano. Avvolto da un silenzio assoluto, l'ottantanovenne pianista ha iniziato la sua concentrata composizione-improvvisazione inanellando temi struggenti, delicatissimi, sempre su tempi lenti, dilatati da un timing sospeso; temi protratti con variazioni graduali, creando un'incantatoria ciclicità narrativa. Solo dopo una quindicina di minuti, in un flusso esecutivo continuo senza interruzioni, ha preso a tracciare con la mano sinistra uno dei suoi tipici riff insistiti, dalla cadenza danzante, che ha abbandonato però ben presto per affrontare una ricerca melodica, ritmica e dinamica più aperta e imprevedibile, lasciando spazio solo raramente ad istantanee accensioni di volume e ad una diteggiatura relativamente più accidentata.

In una performance di oltre un'ora, il pianista ha concentrato l'essenza della sua sensibilità attuale, ha stratificato un mondo personale di ricordi, convinzioni e sogni, proiettando se stesso e gli ascoltatori rapiti in una dimensione immaginaria e utopica, poetica e decantata, in cui tutti i conflitti, individuali o sociali, del passato ed anche odierni, sembravano appianarsi in una visione della realtà pacificata da una speranza serena ma incrollabile, tutt'altro che remissiva. Nel bis, in piedi, con voce screziata e incerta ha cantato una sorta di spiritual dolente. Poco importa se fosse un suo original, come appare probabile, o un tema della tradizione popolare; di sicuro si è trattato di un'esternazione non dilazionabile, anti-leziosa e dalla coriacea concretezza scaturita dalla sua anima. L'entusiastica accoglienza del pubblico rimane rappresentata ai miei occhi dall'infervorato Jason Lindner, che in piedi davanti a me non la smetteva di applaudire e gridare.

< Previous
Live in Baden

Comments

Tags

Concerts

Sep 21 Sat

For the Love of Jazz
Get the Jazz Near You newsletter All About Jazz has been a pillar of jazz since 1995, championing it as an art form and, more importantly, supporting the musicians who create it. Our enduring commitment has made "AAJ" one of the most culturally important websites of its kind, read by hundreds of thousands of fans, musicians and industry figures every month.

You Can Help
To expand our coverage even further and develop new means to foster jazz discovery and connectivity we need your help. You can become a sustaining member for a modest $20 and in return, we'll immediately hide those pesky ads plus provide access to future articles for a full year. This winning combination will vastly improve your AAJ experience and allow us to vigorously build on the pioneering work we first started in 1995. So enjoy an ad-free AAJ experience and help us remain a positive beacon for jazz by making a donation today.

Near

More

Popular

Get more of a good thing!

Our weekly newsletter highlights our top stories, our special offers, and upcoming jazz events near you.