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Steve Coleman a Imola e Crag Taborn a Ferrara
Steve Coleman & Five Elements
Teatro Ebe Stignani, Imola
9.10.2021
Craig Taborn Trio
Torrione Jazz Club, Ferrara
5.10.2021
È davvero interminabile e ubiqua la programmazione del festival Crossroads, giunto alla ventiduesima edizione, coinvolgendo tutto il territorio dell'Emilia-Romagna. Iniziata a Correggio il 17 maggio con Little Italy, il giovane gruppo di Giovanni Guidi, si concluderà a Piangipane (Ravenna) il 9 dicembre con il duo Enrico RavaRoberto Taufic. Fra ottobre e l'inizio di novembre fra l'altro si sono tenuti due concerti meritevoli della massima attenzione, proposti da due gruppi che esprimono al meglio l'attuale avanguardia statunitense più consolidata.
Al Torrione Jazz Club di Ferrara si è ascoltato il trio di Craig Taborn, completato da Ralph Alessi e Ches Smith. Il leader e il batterista, ai rispettivi strumenti integrati da un mirato uso dell'elettronica, sono stati gli artefici del disegno complessivo basato sull'alternanza di situazioni diverse: lunghe fasi aleatorie, ma arginate in una trattenuta gamma dinamica, a tratti quasi reticenti, hanno generato nuclei tematico-ritmici geometrici, protratti con insistenza verso crescendo fatalisti. Queste strutture labili, ma sempre scandite da un razionale controllo delle metriche, hanno suscitato una sensazione d'inquietante ineluttabilità, concretizzandosi di tanto in tanto in temi brevi e decisi. In questo contesto si è stagliato l'esaltante lavoro di Alessi, che ha costituito il costante perno acustico dell'insieme, con il suo fraseggio frammentato, spigoloso, sorvegliato, mobilissimo. Nel secondo tempo del concerto, indubbiamente più compatto, i tre improvvisatori hanno iniziato a tessere una trama puntillistica e ripetitiva, di sapore minimalista, poi sfociata in un tema-riff protratto su linee parallele consonanti dall'empatico interplay dei tre. Un assolo pianistico di Taborn, granitico e ritorto su se stesso, ha avviato un ulteriore sviluppo collettivo, insistito e ossessivo, in un crescendo di volume e di energia che ha portato ad una conclusione abbastanza repentina. Ancor più lineare e accattivante è stato il bis, basato sempre su un tema-riff, danzante e dalle coloriture antillesi, che ha ricordato anche alcuni brani di Don Cherry.
Quasi un mese prima si era tenuto a Imola il concerto di Steve Coleman & Five Elements, formazione che il sassofonista chicagoano, newyorchese d'adozione, ha fondato esattamente quarant'anni fa ed ha sempre tenuto in vita con progetti, organici e partner di volta in volta diversi. Nella cittadina romagnola il gruppo era completato da Jonathan Finlayson alla tromba, Anthony Tidd al basso elettrico, Sean Rickman alla batteria e dal rapper-vocalist Kokayi. Il fatto che la formazione fosse invariata rispetto a quella ascoltata nell'agosto 2018 in Piazza del Popolo a Berchidda, all'interno di Time in Jazz, mi sollecita ad un confronto fra le due esibizioni, per sottolineare ancora una volta come lo svolgimento concertistico e la percezione individuale cambino in ogni occasione per via di una serie di fattori contingenti. Premesso che in entrambi i casi le performance sono state di altissimo livello, motivate e concise (cosa non scontata per Coleman, che talvolta tende a dilungarsi in reiterazioni un po' accademiche), personalmente mi sono focalizzato su aspetti diversi della sua musica.
Nell'apparizione sarda, la mia collocazione il platea e l'amplificazione mi hanno portato a concentrarmi sul bassista e sul batterista, che avevo di fronte a pochi metri, apprezzando il loro contributo inesausto, infallibile pur nella varietà delle movenze. A Imola sono invece balzati in evidenza gli interventi di un Kokayi maturato, estremamente volitivo e risoluto, determinante con i suoi scuri inserimenti vocali dal timing perfetto. Se il vocalist ha riscosso un personale successo di pubblico, altrettanto insostituibile è stato l'apporto della tromba di Finlayson, collaboratore da decenni di Coleman, del quale rappresenta il contraltare lirico e poetico, pur nel vigile controllo dell'andamento strutturale. Consapevole delle capacità dei suoi fedeli partner, con cui si è instaurato un feeling ormai consolidato, il contraltista può essere certo che la sua visione musicale venga interpretata nel migliore dei modi. Ciò gli permette anche di esercitare la sua autorevolezza leaderistica con maggior distacco, dando forma alla sua pronuncia strumentVivaZappaale, dalle geometrie forse meno puntigliose ed esasperate di un tempo, dalle cadenze più distese e spesso boppistiche.
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