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Südtirol Jazzfestival Alto Adige 2022

Südtirol Jazzfestival Alto Adige 2022

Courtesy Rosario Multari

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Bolzano e provincia
Varie sedi
24.6—3.7.2022

Quarant'anni di vita non sono pochi per un festival. Questo è il traguardo raggiunto dal Südtirol Jazzfestival Alto Adige, che vede anche concludersi la solerte direzione artistica di Klaus Widmann, iniziata diciotto anni fa affiancando, poi subentrando a Nicola Ciardi, il fondatore della manifestazione bolzanina.

Se nell'ultima decina di anni il festival altoatesino aveva privilegiato di volta in volta aree specifiche del jazz europeo (il Regno Unito, la Francia, l'Italia, i Paesi Bassi, la penisola iberica, i Paesi Baltici...), l'edizione 2022, intitolata semplicemente "Europa," ha voluto riepilogare la propria storia recente, invitando alcuni dei protagonisti che si sono messi in evidenza negli anni passati, senza rinunciare a mescolare le carte, proponendo cioè collaborazioni coraggiose e inedite. Come sempre, il festival ha inoltre confermato la sua vocazione, tesa alla valorizzazione dell'intero territorio provinciale, dove per dieci giorni e durante l'intero arco della giornata ha coinvolto comuni, istituzioni pubbliche e private, spazi canonici o più spesso anomali. Noi abbiamo potuto seguire soltanto le tre giornate finali; il resoconto che segue pertanto può portare solo uno sguardo parziale, senza riuscire a rendere giustizia al vasto palinsesto.

Non poteva mancare l'appuntamento mattutino al Parkhotel Holzner all'Alpe di Renon. Nel palco improvvisato all'ombra dell'enorme abete impiantato nel 1910 si è esibito il duo formato, circa otto anni fa, dallo svizzero Lucas Niggli e dall'austriaco Matthias Loibner. Nelle mani di quest'ultimo lo spettro sonoro della ghironda, pur leggermente coadiuvata da un computer, si estende dalle sonorità del violino, del violoncello e del contrabbasso ad un pizzicato che ricorda quello dell'oud, da linee continue ad armonici complessi, a glissando improbabili, a rumorismi abrasivi. Sfruttando queste potenzialità, il messaggio del percorso musicale è gradualmente cambiato, passando da atmosfere evocative e auliche, un po'misteriose, a cadenze di sapore etnico, a momenti di passaggio più sperimentali. Da parte sua, il percussionista Niggli, allievo di Pierre Favre, ha assecondato con sensibilità e autorevolezza l'andamento del partner, sottolineando e valorizzando ogni situazione. Il suo set batteristico è del tutto normale, anzi essenziale; quello che caratterizza il suo drumming sono però le bacchette, di fogge e materiali anomali, come l'insieme delle piccole percussioni aggiuntive. Per questo motivo ne è risultata una conduzione ritmica di notevole mobilità dinamica e timbrica. Un concerto delizioso il loro, fra poesia e sperimentazione; probabilmente il migliore di questo scorcio di festival.

Nei concerti serali al Parco dei Cappuccini, che ha dismesso l'allestimento circense che aveva caratterizzato la passata edizione, c'era attesa per il concerto dell'Euregio Collective irrobustito da ospiti. L'Euregio, fondato nel 2017, è una creatura del festival che aggrega giovani strumentisti italiani e austriaci con l'obiettivo di dare loro la possibilità di sperimentare, di trovare una propria linea e di affiatarsi. Ed in effetti la formazione grazie all'esperienza maturata ha dimostrato di essere notevolmente cresciuta rispetto a pochi anni fa. Sul palco si sono avvicendate diverse compagini che hanno affrontato le composizioni originali di vari autori. Ogni brano, caratterizzato da un preciso impianto tematico e soprattutto da una grande attenzione per gli arrangiamenti, ora puntigliosi ora più aperti lasciando spazio a un vivace intreccio improvvisativo, ha messo in evidenza di volta in volta audaci impasti armonici, contrastate dinamiche, crescendo e decantazioni, lasciando spazio ad assoli sintetici e per questo significativi. Fra tutti, oltre a quelli di alcuni ospiti (il chitarrista olandese Reinier Baas, il trombettista tedesco Matthias Schriefl, la cantante svedese Anni Elif, il sassofonista britannico Soweto Kinch...), è il caso di citare almeno gli interventi dei vibrafonisti Matthias Legner e Mirko Pedrotti, di Siegmar Brecher al clarinetto basso, dei sassofonisti Lorenzo Sighel e Damiano Dalla Torre. In definitiva, per la stessa costituzione dell'organico e del progetto, non è risultata una musica unitaria e compatta, ma una proposta variegata, espressione delle varie anime, ricca di spunti estremamente interessanti.

Un discorso solo in parte analogo si potrebbe fare per una formazione del tutto inedita, ascoltata in un ambiente insolito e caratteristico. L'esemplare museo etnografico di Teodone raccoglie le tipologie più significative dei masi del Sud Tirolo, che, prelevati in varie località, dopo essere stati smontati e trasportati, sono stati qui ricostruiti (il più antico è coevo alla scoperta dell'America). Qui è stata presentata un'aggregazione di alcuni protagonisti del festival non a caso denominata "Fields of Jazz": il tenorista finlandese Pauli Lyytinen, gli austriaci Klemens Lendl, voce e violino, e David Müller, chitarra e voce, lo svizzero Kristijan Krajnčan, voce e percussioni, e i già precedentemente incontrati Matthias Schriefl, Reinier Baas, Soweto Kinch, Lucas Niggli, Matthias Loibner e Anni Elif. Ognuno di loro, in base alla propria esperienza e propensione, ha portato il suo contributo all'interno di un canovaccio molto semplice, che prevedeva canti etnici scandinavi o mitteleuropei, impasti sonori un po' sfrangiati, duetti più collaudati (per esempio quello fra Elif e Lyytinen), brevi spunti solistici (apprezzabile quello di Loibner alla ghironda)... Il tutto si è rivelato a tratti divertente, ma nel complesso molto occasionale; alcuni esponenti (in primis Baas e Kinch) hanno trovato grande difficoltà ad inserirsi, tanto da sembrare pesci fuor d'acqua.

Pauli Lyytinen faceva parte anche dell'anomalo trio paritario Equally Stupid, assieme a Sigurdur Rögnvaldsson, alla chitarra baritono, e al batterista svizzero David Meier. La loro musica non ha nulla di stupido, vale a dire di banalmente provocatorio, buffo, ironico; si muove invece in un ambito acustico, inoltrandosi in parabole narrative molto seducenti, ora dalle cadenze estremamente toniche, di matrice rock, ora mimando temi etnici, ora dagli sviluppi evocativi, senza mai cadere in una rarefazione evanescente. Le pronunce strumentali dei singoli hanno esposto un'evidente consistenza fisica, articolando un fraseggio forbito e un interplay coeso. In particolare, in questa formazione Lyytinen ha potuto esprimersi appieno come sassofonista, dispiegando un linguaggio tornito e un sound personale. Il repertorio comprendeva brani suoi e altri, quelli più marcatamente scanditi, a firma di Rögnvaldsson.

Die Strottern, il duo formato da Klemens Lendl e David Müller, il primo al violino e il secondo alla chitarra, ma entrambi anche cantanti, da anni intende dare una propria versione della musica popolare viennese contemporanea; dal connubio fra il duo e la Jazz Werkstatt Wien è nato un agguerrito nonetto. Ammetto di non essere in grado di valutare questo genere popolare, tanto seguito in Austria, questa variante attuale di una canzone d'autore, interpretata in dialetto viennese. Tuttavia il contesto musicale che avvolgeva i due cantanti era indubbiamente di alta qualità, forse un po' nostalgico, affondando le radici in una corrosiva matrice teatral-espressionista, oltre che in una esasperata pronuncia jazz.

Nel pomeriggio del penultimo giorno, nel parco del Parkhotel Mondschein in pieno centro a Bolzano, Jelena Kuljic e Kalle Kalima hanno dato prova del loro affiatamento e dell'orientamento preciso della loro collaborazione. Il modo di suonare la chitarra da parte del finlandese, con sonorità concrete e lancinanti, un procedere aspro e anti-lezioso, ha fornito il sostegno più adeguato alle canzoni della cantante serba, dai toni dark nei contenuti e nell'espressività, declamate in varie lingue con voce diretta e una drammaticità ora interiorizzata ora esplicita. Come previsto, ad un certo punto il duo è stato integrato dall'immancabile Matthias Schriefl, che ha inserito interventi sperimentali, a tratti lirici, più intonati alla situazione rispetto ad altri contesti.

Nella serata conclusiva, la corte del ristorante Ca' de Bezzi ha ospitato la Kuljić e Kalima al centro della formazione completata dal puntuale basso elettrico di Frank Möbus e dal poderoso drumming di Christian Lillinger, entrambi tedeschi. I quattro formano da tempo il gruppo Kuu!, che ha al suo attivo il CD Artificial Sheep. Tutta la proposta ha preso un approccio più esasperato e teso, di evidente natura punk-rock, in cui la voce della cantante, più declamatoria e urlata, era affiancata da una componente strumentale decisamente densa e vibrante. Peccato che la rumorosità frastornante degli avventori del luogo non abbia permesso di cogliere le sfumature più meditative, i passaggi più delicati, sia pur rari, della loro consistente proposta.

Poco più tardi, la cantina sottostante il Ca' de Bezzi ha visto "The Return of The Enormous Wizard Zendor," vale a dire il ritorno in veste di DJ di Reinier Baas, che già in passato aveva dato il via alle danze, manovrando il suo computer come un mago dei suoni e dei ritmi. Si è così svolta una festa di chiusura in famiglia, che ha permesso fra l'altro a Widmann di dare il suo addio e di presentare la triade di giovani che dalla prossima edizione dirigerà il festival. A loro un grande "in bocca al lupo" per il notevole impegno che hanno ereditato, lasciandoci fin d'ora la curiosità di vedere cosa sapranno inventare di nuovo per la longeva manifestazione bolzanina.

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