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Roberto Fonseca: Viaggio oltre gli schemi e le barriere
Sfidare gli stereotipi è un rischio che ho sempre accettato
A metà strada tra la poetica romantica di Chopin e l'audacia innovativa di jazzisti come Joe Zawinul ed Herbie Hancock, Roberto Fonseca inizia la sua carriera a soli 15 anni al Jazz Plaza Festival all'Havana entrando nel 2000 nel Buena Vista Social Club, andando a sostituire il veterano pianista cubano Rubén González e accompagnando in tour gli altri due componenti della storica formazione, Ibrahim Ferrer e Omara Portuondo. I successivi dischi da solista Zamazu, Yo, con la partecipazione della cantante maliana Fatoumata Diawara, e ABUC sigillano le sue doti sia come pianista che compositore. L'ultimo lavoro dal titolo Yesun si spinge ancora più avanti, coinvolgendo altri celebri musicisti: il sassofonista americano Joe Lovano, la rapper cubana Danay Suarez e il trombettista franco-libanese Ibrahim Maalouf. Un disco ipnotico, denso di voglia di scoprire nuove forme e linguaggi, non dimenticando la lezione dei vecchi riti africani racchiusi nella Rumba, nel Mambo, nel Cha Cha, perché come canta Roberto Fonseca "Ah de Cuba ho soy" [Io sono di Cuba].
All About Jazz: Che cosa rappresenta nella tua evoluzione artistica l'album da poco pubblicato dal titolo YESUN?
Roberto Fonseca: YESUN è un album dove si rispecchiano le mie influenze e il mio modo di pensare. All'interno dell'album ci sono storie diverse e reali che riflettono le mie composizioni. Ė il risultato di vari anni di lavoro formatosi a "fuego lento." Inoltre il progetto è ampliato, oltre che dalla parte musicale, anche dalla parte visiva, infatti nei miei concerti ogni brano avrà la propria storia che verrà proiettata in diversi immagini e video. Un'opportunità di raggiungere una galassia dove la spiritualità, l'amicizia, la pace, la passione, il rispetto e l'amore siano il mezzo per poter arrivare e che la gente senta gran parte della mia cultura e che la trasporti in ogni angolo di questo pianeta proprio come fa l'acqua. Per questa ragione il disco si chiama YESUN. Questa parola fonde l'unione di due divinità afro-cubane che rappresentano l'acqua: YEMAYA è la dea del mare e OSHUN la dea dei fiumi. Ritornando al disco ho combinato diversi generi adoperando diversi tipi di tastiere. Provo a raccontare attraverso il jazz quella Cuba divenuta oramai più moderna.
AAJ: In YESUN fai un'ulteriore passo avanti rispetto al precedente album ABUC nell'esplorazione di diversi generi e stili musicali: classica, prog, jazz, rap, funk: in questo caleidoscopio sonoro quale ruolo si ritagliano le tue radici legate alla musica tradizionale cubana?
RF: La musica tradizionale cubana è presente nel 70% delle mie composizioni. Cerco sempre di mostrare da dove vengo, è importante non dimenticarselo perché fa parte di noi stessi, ma mi è sempre piaciuta l'idea di mischiare il suono delle mie radici con altre tradizioni.
AAJ: Quali esperienze artistiche hanno contribuito alla costruzione del tuo personale linguaggio multiculturale?
RF: La mia famiglia rappresenta la mia prima influenza musicale. Grazie a loro, e al sostegno che continuano a darmi, ho potuto scoprire diversi stili di musica come la rumba, i canti folk passando per il rock, jazz e tanti altri generi. Per questo motivo, sono molto interessato a suonare la massima varietà di generi. Amo scoprire sonorità e codici musicali eterogenei.
AAJ: Nel disco sono presenti, oltre ai tuoi compagni di lunga data Yandy Martìnez- Rodrìguez al basso e Raul Herrera alla batteria, anche artisti con un background musicale apparentemente diverso, Joe Lovano, Ibrahim Maalouf, Danay Suarez e Mercedes Cortés: Qual è il filo che unisce la scelta di ognuno di loro per la registrazione dell'album?
RF: Mercedes Cortès è mia madre. Gli altri sono musicisti molto originali che credono in quello che fanno e lo difendono, cercando sempre di definire la propria voce. Queste sono le caratteristiche che più determinano un'artista e la mia ammirazione per loro.
AAJ: Nel disco sono evidenti i riferimenti alla musica classica ma anche all'uso di sintetizzatori tipici della fusion degli anni '70 da parte di artisti come Herbie Hancock o Joe Zawinul.
RF: Credo che tutto sia legato al modo in cui sono stato cresciuto fin da bambino. La mia casa è stata sempre un ambiente musicale dove si sentiva tanta musica. Hancock e Zawinul erano e sono sicuramente tra i miei preferiti proprio per essere musicisti completi. Hanno saputo infrangere gli schemi e oltrepassare le barriere dei generi.
AAJ: Nel 2000 sei entrato a far parte del gruppo Buena Vista Social Club sostituendo lo storico pianista Ruben Gonzalez una grande responsabilità ma anche una grande opportunità di crescita.
RF: Ė stato qualcosa che non mi sarei mai aspettato accadesse in vita mia. Un'esperienza con molta pressione però allo stesso momento magica. Devo ringraziare l'appoggio di Ibrahim Ferrer, Javier Zalba, Cachaito Lopez, Guajiro Mirabal, Omara Portuondo tra i tanti che hanno sempre rispettato le mie inquietudini musicali da giovane e che, allo stesso tempo, mi hanno insegnato la vera musica tradizionale cubana. Ricordo uno dei primi concerti che feci con Buena Vista, all'Hollywood Bowl. La prima parte spettava a Chucho Valdes, a seguire Ruben e poi io a concludere lo spettacolo. Dopo aver ascoltato quei grandi maestri la gente si chiedeva chi diavolo fosse quel giovane pianista, e se sarebbe stato allo stesso livello. Ricordo di aver pensato, letteralmente, di "divorare" il piano per poter riuscire a dimostrare che ero al livello della situazione. Tutto andò per il meglio e fui mi molto soddisfatto del fatto che a tutti piacesse il mio stile. Per me è stata un'enorme lezione di vita e generosità da parte di tutti questi grandi musicisti.
AAJ: Pensi che la tua musica possa trasmettere un'immagine diversa della tua terra, Cuba, a differenza di quella spesso stereotipata promossa dai mass-media?
RF: Combatto spesso contro gli stereotipi e clichés. La cultura cubana è così ricca e variegata che sarebbe una pena mostrare solo il lato più popolare di questa mia terra. Sfidare gli stereotipi è un rischio che ho sempre accettato. Mi piace l'idea che in ogni concerto le persone facciano un viaggio conoscitivo nella mia cultura, in modo tale da poter cambiare quei clichès.
AAJ: Nel brano "Cades" parli di liberarsi dalle catene mentali e del bisogno di spiritualità: come influisce questo concetto su un'artista che come te ha raggiunto il successo?
RF: Abbiamo troppe legature, soprattutto quelle di natura mentale. Uscire da una zona di confort, musicalmente parlando è complicato. Spesso siamo incatenati, e questo limite ci impedisce di vedere la lontananza che possiamo raggiungere.
Foto: Alejandro Azcuy
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