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Nobu Stowe: Oltre il Free Jazz

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Articolo di Glenn Astarita

La musica di Nobu Stowe è sinonimo di spontaneità e romanticismo melodico—una vera rarità parlando di musica improvvisata. Stowe non solo padroneggia con maestria l'arte dell'improvvisazione totale ma attinge continuamente dal vasto panorama delle sue influenze musicali, che spaziano dal Barocco al rock progressivo, dalle colonne sonore agli elementi etnici, e molto altro, organizzati in strutture libere ma esaustive. L'improvvisazione di Stowe è essenzialmente una "composizione spontanea,"—che distingue la sua musica dalla cosiddetta "improvvisazione free".

Come prova il crescente riconoscimento a livello internazionale, la musica di Stowe è sia rassicurante, così da essere apprezzata dalle masse, sia sperimentale, così da soddisfare anche gli intenditori più esigenti e navigati. I risultati sono testimoniati dagli originalissimi lavori pubblicati dalla tedesca Konnex e dalla Soul Note—Brooklyn Moments (2006), New York Moments (2007), Hommage an Klaus Kinski (2007), An die Musik (2008) ed il recente Confusion Bleue (May 2010).

Nobuyoshi Suto (questo il suo nome completo) è nato in Giappone, ma vive da molti anni negli Stati Uniti (Berkeley, Chicago e, attualmente, Baltimora). Si è laureato in psicologia all'Università di Berkeley, e ha svolto il dottorato presso l'Università di Chicago, e attualmente è ricercatore all'Università del Maryland, dove studia le basi biologiche della motivazione. Come giornalista ha scritto articoli, recensioni ed interviste molto sagaci (avendo intervistato, tra gli altri, Keith Jarrett, Michel Legrand, Gary Peacock, Paul Bley, Martial Solal, Bill Frisell, Marilyn Crispell e Chico Hamilton) per il magazine giapponese Jazz Tokyo e per lo spagnolo Toma Jazz. Stowe è stato anche tra gli artefici del primo catalogo completo pubblicato in Giappone della ECM Records (Luglio 2010).

All About Jazz: La tua musica viene descritta come "improvvisazione totale". Come la definiresti tu?

Nobu Stowe: L'espressione "improvvisazione totale" è stata coniata da Keith Jarrett. L'improvvisazione totale è come "l'improvvisazione free," che è un genere musicale completamente improvvisato. Ma a differenza dell'improvvisazione free, che è spesso limitata all'esplorazione di suoni atonali e aritmici, l'improvvisazione totale mette insieme melodia, armonia tonale e propulsione ritmica. In pratica si tratta di una "composizione spontanea." C'è una definizione simile, "composizione istantanea," della quale sono abili interpreti Misha Mengelberg e la sua Instant Composer's Pool (ICP) Orchestra. Paragonate alla pura improvvisazione free, sia l'improvvisazione totale sia la composizione istantanea sono dotate di strutture e figure ritmiche più definite. Non credo che ci sia un confine netto tra l'improvvisazione totale e la composizione istantanea, ma penso che l'improvvisazione totale sia più orientata alla melodia e all'armonia tonale.

AAJ: Il tuo approccio alla musica completamente improvvisata e' sfaccettato e contiene elementi musicali caleidoscopici. Come ti descriveresti, musicalmente parlando?

N.S.: Mi vengono in mentre tre parole. La prima è "narratore." Mi piace raccontare una storia attraverso la musica. Ecco perché la mia musica contiene differenti elementi, diversi umori, eccetera. La seconda è "spontaneità." Credo che la spontaneità sia la chiave della libertà musicale, sia per le composizioni sia per le improvvisazioni, per evitare i cliché e per garantire freschezza alla musica. La terza è "romanticismo," che si riflette nelle melodie armoniose e nelle progressioni armoniche orientate alla tonalità che sono caratteristiche nella mia musica. In una recente email, il produttore Leo Feigin mi ha scritto "NS, sei un inguaribile romantico!" Qualche anno fa, Leo ha molto apprezzato il mio album da co-leader New York Moments (Konnex, 2007). Ma in quella email, stava praticamente dicendo che la mia musica non è adatta alla sua etichetta, Leo Records, perché troppo "romantica." Ma mi sono sentito lusingato.

AAJ: Come ti distingui rispetto a chi fa musica free? Come fai ad andare oltre il free Jazz?

Da sinistra: Nobu Stowe, Achille Succi

N.S.: Uno dei miei problemi con l'avanguardia e il free Jazz, in particolare con l'improvvisazione free, è la natura monofonica di molte performance. Mi chiedo, come mai l'improvvisazione free è prevedibilmente atonale, aritmica e impegnativa per l'ascoltatore, se davvero è libera da ogni forma e dai cliché?

Naturalmente ci sono lavori inarrivabili eseguiti da mostri sacri come Derek Bailey, AMM, Evan Parker e altri, che trascendono i problemi che ho appena citato. E ci sono numerosi esempi di buone improvvisazioni free. Ma secondo me essere liberi dagli elementi tradizionali non è la condizione necessaria e sufficiente per fare musica free. Questo perché non appena la musica si libera degli elementi tradizionali viene intrappolata, e quindi non è libera dagli elementi non-tradizionali, diciamo da quelli "tradizionalmente free". Quindi credo che l'unica vera musica free passi dalla comprensione, senza negazione, degli elementi tradizionali.

Credo che la spontaneità sia la chiave per raggiungere la vera libertà musicale, perciò la risposta sta nella melodia. Per "melodia" intendo le frasi melodiche armoniose, musicali e "canticchiabili" che trascendono le barriere culturali. E penso che una tale melodia possa venire soltanto dalla spontaneità. Quindi il processo di creazione della melodia è appannaggio dell'intuizione—il processo creativo che è in larga parte slegato da un processo di apprendimento. Ciò garantisce la creazione di una melodia spontanea e libera da cliché.

AAJ: Sebbene la tua musica sia saldamente basata sull'improvvisazione, senza dubbio l'elemento più critico del "jazz," allo stesso tempo raccoglie molte influenze, in modo subliminale. È qualcosa di studiato, o è spontaneo?

N.S.: Tutte e due le cose. Sono un compositore, un improvvisatore, un pianista e un tastierista, ma non mi considero un musicista Jazz di per se. Innanzi tutto, devo confessare che mi ci son voluti più di 20 anni per arrivare ad apprezzare il Jazz. Ci sono molti musicisti Jazz di talento, con il Jazz nel sangue e cresciuti nella tradizione Jazz, con i quali non oso competere, per quanto riguarda gli aspetti più ortodossi del Jazz. Ma d'altra parte io ho l'improvvisazione nel sangue, ho sempre improvvisato da che mi ricordi. E quando finalmente, ai tempi del college, ho scoperto il Jazz, avevo già un ragguardevole bagaglio di esperienze musicali, quali il progressive rock, pop, la musica classica e vari esempi di musica etnica—almeno superficialmente. Quindi volevo trovare un mio linguaggio nel Jazz che riflettesse la mia storia musicale e le relative influenze. Per questo ho evitato di proposito un approccio formale, scolastico, alla musica Jazz.

AAJ: Quindi che tipo di musica ti ha influenzato maggiormente, prima di scoprire il Jazz?

N.S.: Sono nato e cresciuto in Giappone e mi sono trasferito negli Stati Uniti a 18 anni, e sono stato influenzato da svariati generi musicali di differenti culture. E i miei gusti musicali sono cambiati radicalmente con il passare del tempo.

I miei genitori non ascoltavano la musica Jazz, ma avevano una discreta raccolta di dischi: musica classica, colonne sonore e anche musica etnica: Francese, Italiana, Andina, Indiana, musica tradizionale Cinese e così via. I miei compositori classici preferiti erano Bach, Beethoven e Chopin. E mi piacevano molto i compositori di colonne sonore, come Nino Rota, Michel Legrand, Henry Mancini e Ennio Morricone. Come colonne sonore, e non come album Jazz quali in effetti sono, ascoltavo Ascenseur pour l'échafaud (Universal,1958), di Miles Davis, e Orfeu Negro (Emarcy, 1959) di Luiz Bonfá e Antônio Carlos Jobim. Intorno ai 12 anni, mi sono innamorato dei Beatles. Questa infatuazione è durata circa tre anni, e li ascoltavo ogni giorno (sia come gruppo, sia come solisti), così come i loro contemporanei, Bob Dylan e i Rolling Stones. Poi mi sono appassionato al progressive rock, non solo i pionieri Britannici, come gli Yes e i King Crimson, ma anche gruppi Europei e Sudamericani. Ascoltavo anche il Jazz-rock, ma il mio preferito era il rock sinfonico. In particolare mi affascinavano i gruppi Italiani, la PFM, il Banco, i New Trolls, Area, Le Orme eccetera. Le melodie cantate e armoniose che spesso caratterizzano la musica Italiana, attiravano la mia attenzione. In quel periodo, ascoltavo anche alcuni dei classici del Jazz, come Kind of Blue di Miles Davis (Columbia, 1959) e A Love Supreme di John Coltrane (Impulse!, 1964).

Ma mi annoiavano! Anche se ricordo che mi piaceva Ballads di Coltrane (Impulse!, 1962), probabilmente per quel suo modo melodico e molto profondo di suonare.

Ho studiato all'Università di Berkeley e mi sono laureato sia in psicologia che in musica (composizione). In quel periodo ho ascoltato il capolavoro di Chick Corea Return to Forever (ECM, 1972). La melodia naturalistica, e i suoni pervasi di musica Brasiliana mi colpirono molto. Così cominciai ad ascoltare gruppi fusion, come i Weather Report e la Mahavishnu Orchestra. Poi mi trasferii da Berkeley a Chicago per continuare gli studi, e fu allora che uno dei miei amici mi consigliò caldamente di ascoltare Keith Jarrett. Comprai per prima cosa il suo famoso album, Koln Concert (ECM, 1975). Mi piacque, ma non posso dire che mi entusiasmò. Ma mi accese qualcosa, e comprai un altro album—My Song (ECM, 1978). Ricordo ancora perfettamente la prima volta che l'ho ascoltato. Era una fredda giornata di fine autunno, a Chicago, e sin dalla prima nota, la musica catturò il mio cuore. Adoro ogni brano del disco, ma "Country" è il mio preferito. Dopo questa esperienza, cominciai a procurarmi ogni album di Keith, quindi ogni cosa della ECM, e finii per ascoltare praticamente qualunque stile di Jazz. A parte Keith, Michel Petrucciani, Django Reinhardt, Charlie Parker, Chet Baker, Duke Jordan, Joachim Kuhn, Steve Kuhn, Aldo Romano e Masahiko Togashi sono i jazzisti che mi hanno influenzato di più. Ma me ne piacciono anche molti altri.

AAJ: A che età hai cominciato a suonare il pianoforte?

N.S.: Ho cominciato a prendere lezioni di pianoforte classico a tre anni. Francamente, allora non mi piaceva suonare, o meglio fare gli esercizi, ma riuscii a continuare le lezioni con un insegnante privato ai tempi delle scuole superiori.

AAJ: Ci descrivi l'evoluzione della tua sensibilità musicale diciamo dall'adolescenza fino al 2006, anno del tuo disco d'esordio?

N.S.: Prendendo spunto dai gruppi ispirati ai Beatles, a 15 anni ho fondato una band di rock progressivo chiamata "Pale Ghosts". Era un trio composto, da Takashi Kanai (chitarre e basso), Honyo Ohte (batteria) e da me (tastiere, voce e chitarra). Eseguivamo mie composizioni originali che erano simili, nello stile, al rock sinfonico italiano con una forte influenza classica (specialmente barocca), e l'enfasi era sul gruppo nel suo insieme piuttosto che sugli assoli dei singoli. Ci siamo anche esibiti dal vivo, ma era per lo più un progetto in studio. Ho continuato a suonare con questo trio per tutti gli anni del college anche dopo essermi trasferito negli Stati Uniti. Abbiamo fatto un buon numero di dischi demo che ci hanno procurato molte offerte di contratto. Ma ero abbastanza sciocco da non accettarle, perché sognavo, o meglio fantasticavo, di essere messo sotto contratto dalla Sony. A proposito, Ohte è un bravissimo disegnatore ed è l'artefice di tutte le copertine dei miei album usciti per la Soul Note e per la Kennex.

Dopo di che ho cominciato la mia transizione dal rock al Jazz. Non ho mai ricevuto un'educazione formale al Jazz, ma ne ho imparato i fondamenti ascoltando moltissimi dischi—sono un accanito collezionista di LP e di CD—e esercitandomi a lungo. Ho cominciato con la fusion, suonando e componendo fusion per alcuni anni. A quel punto ho conosciuto Vytis Nivinskas—un raffinatissimo contrabbassista che era venuto a Chicago dalla Lituania per studiare Jazz alla DePaul University. Vytis ora è tornato in patria, e insegna al conservatorio di Vilnius. Con Vytis ho formato il mio primo gruppo Jazz, gli Outside In. Suonavamo pezzi composti da Vytis e da me, oltre ad alcuni classici. Non abbiamo mai inciso, ma siamo rimasti in contatto, e nel prossimo futuro pensiamo di suonare insieme di nuovo, e anche di fare un album.

A Chicago, ho anche cominciato ad esibirmi in pubblico in improvvisazioni totali. Ho fatto un paio di concerti di musica completamente improvvisata, di solito insieme ad un batterista. Il successo di questi concerti ha confermato la validità delle mie scelte riguardo all'improvvisazione totale. A proposito, un duo formato da piano e batteria è la combinazione che preferisco per l'improvvisazione totale. Spero di poter fare molti album di improvvisazione totale in duo con diversi percussionisti nell'evolvere della mia carriera musicale.

Dopo aver conseguito il dottorato in psicologia all'Università di Chicago, mi sono trasferito a Baltimora, dove abito tuttora. A Baltimora ho dato vita al Trio Ricochet con Tyler Goodwin al contrabbasso e Alan Munshower alla batteria, ed eseguivamo soprattutto mie composizioni originali, oltre a qualche classico. Abbiamo suonato al Blue Note di New York, alla Knitting Factory e allo Smithsonian Institute. Ci hanno offerto svariati contratti, ma non abbiamo mai fatto un album ufficiale, e in larga misura è stato per colpa mia. Sebbene i trio basati sul piano come il Trio Ricochet e gli Outside In siano di fatto i miei principali progetti, è un po' di tempo che non mi ci dedico; ma ho in programma la costituzione di un trio del genere a breve, e spero di poterne ricavare materiale per un album ufficiale da pubblicare nel 2011.

AAJ: La tua famiglia ha incoraggiato la tua carriera musicale?

N.S.: I miei genitori sono stati, e sono tuttora, i miei principali sostenitori. Ma penso che avrebbero reagito diversamente se gli avessi detto "voglio diventare una rockstar"—sebbene per un certo periodo io abbia accarezzato anche questa idea.

AAJ: Ci racconti i retroscena dei tuoi primi album da leader e co-leader, Brooklyn Moments (2006) e New York Moments (2007) che hai pubblicato con la Konnex?

N.S.: Dopo essermi trasferito a Baltimora, ho cominciato a collaborare con molti improvvisatori. Sono un musicista decisamente mainstream cui piace cimentarsi in esecuzioni melodiche e tonali, ma ho anche cercato di allargare i miei orizzonti musicali includendo il Jazz di avanguardia e quello free. Uno dei miei primi tentativi di fondere insieme elementi presi dal mainstream e dal free è documentato in questi due album. Ho incontrato per la prima volta Blaise Siwula nel 2005 quando ho suonato in duo con Vytis Nivinskas ad un evento che Blaise organizzava (e organizza tuttora) settimanalmente in un locale di New York, il C.O.M.A. Blaise mi suggerì di aggiungere il contributo di Ray Sage alla batteria. E così abbiamo fatto, e un mese dopo ci siamo esibiti in trio in una sessione completamente improvvisazione che piacque così tanto a tutti e tre da convincerci a replicarla in studio.

Abbiamo registrato la prima sessione come trio, e la seconda come quartetto, accompagnati dall'impeto e dal virtuosismo di Dom Minasi alla chitarra. E queste registrazioni sono state pubblicate come Brooklyn Moments (il trio) e New York Moments (il quartetto). C'era qualcosa da limare qua e là, ma il risultato finale è stato più che soddisfacente. Sia con il trio sia con il quartetto abbiamo affrontato molti generi musicali differenti: lamenti atonali, energici voli free, esecuzioni modali spirituali, così come tenere ballad, dal finale lasciato libero ma supportato da una tensione strutturata. Il successo di queste sessioni ha mostrato come si potessero fondere insieme l'energia di avanguardia con la mia naturale tendenza a suonare in modo melodico e tonale.

Ho già detto che a Leo Feigin è piaciuto molto New York Moments. Ha paragonato l'album ai lavori del leggendario trio Sovietico "Ganelin". Leo mi ha anche mandato uno dei loro dischi, Catalogue: Live in East Germany (Leo, 1979). Naturalmente mi sono sentito onorato, ma devo ammettere che ero l'unico membro che conoscesse il trio Ganelin. Conoscevo la loro musica perché Vytis era il pupillo di uno di loro, Vladimir Chekasin (strumenti ad ancia).

AAJ: Dopo due album con la Konnex, hai firmato per la Soul Note. Il tuo primo lavoro con questa etichetta è stato Hommage an Klaus Kinski (2007), eseguito dal "NS Stowe—Lee Pembleton Project." Ci racconti la storia di questo progetto e di quest'album?

Da sinistra: Nobu Stowe, Perry Robinson, Andrea Centazzo, Badal Roy

N.S.: Ho conosciuto Lee Pembleton a Chicago. Lee è uno scultore del suono, un artista che arriva dalla tradizione della noise music e della musique concrète. Lee ha partecipato ai miei progetti fusion prima di trasferirsi in California. Ma siamo rimasti in contatto, e abbiamo sempre voluto far qualcosa insieme. Dopo l'esperienza dei Brooklyn Moments e dei New York Moments, volevo esplorare un approccio più introverso alla musica completamente improvvisata, ispirato dai lavori "chamber-free" di Jimmy Giuffre, Lee Konitz e Paul Bley. Pensavo sarebbe stato bello trasferire l'improvvisazione totale nei modi "chamber-free" sulle trame sonore fornite da Lee.

Perciò con questa idea in mente, Lee ed io abbiamo deciso di andare in studio. Volevo assolutamente Perry Robinson nel progetto, perché lui viene direttamente dalla tradizione "chamber-free" di Giuffre e degli altri. Fortunatamente per me, Perry ha accettato di partecipare. Altri membri che hanno preso parte al progetto sono stati Blaise Siwula, John McLellan e Ross Bonadonna. Blaise è noto per le sue performance esplosive, ma è anche capace di suonare in modo molto soft. John, che ha spesso collaborato con Blaise, Mat Maneri e altri, è un bravissimo percussionista capace di dominare lo spazio e il silenzio. Quanto a Ross, penso che sia uno dei segreti meglio custoditi del prolifico panorama dell'avanguardia Newyorchese. Ho incontrato Ross quando ho registrato nel suo studio a Brooklyn, il Wombat Studio. Ross non è soltanto un bravo ingegnere del suono, ma è ugualmente dotato con la chitarra e con diversi strumenti ad ancia, in particolare il clarinetto basso e il sassofono contralto. Ha solide basi teoriche ed è avvezzo a svariati generi musicali, e riesce ad essere innovativo, libero e spontaneo allo stesso tempo.

AAJ: Perché hai dedicato il disco all'attore Tedesco Klaus Kinski?

N.S.: Il titolo deriva dal brano "Hommage an Klaus Kinski," completamente improvvisato da me, Lee e Ross. Ma abbiamo scelto questo titolo solo alla fine della sessione di registrazione, perché questa improvvisazione ci ricordava una scena del film Fitzcarraldo, il capolavoro del 1982 diretto da Werner Herzog e interpretato da Kinski, la cui colonna sonora era stata interpretata da Florian Fricke e dal suo gruppo Popol Vuh. Quindi non siamo partiti con l'intenzione di dedicare un brano o l'intero album a Kinski. Però sono un grande fan dei film di Herzog e Kinski, così come della musica pulita e meditativa dei Popol Vuh sin dai tempi delle superiori.

AAJ: Tu e Perry Robinson avete suonato nell'album di Andrea Centazzo The Soul in the Mist, pubblicato dalla ICTUS nel 2007. Come è nata questa partecipazione?

N.S.: Ho conosciuto la musica di Andrea Centazzo grazie al suo album eseguito in duo con il maestro Svizzero Pierre Favre, probabilmente il percussionista più melodico mai esistito. Successivamente ho ascoltato l'album di Andrea Clangs (RDC, 2000), dove suonava in duo con Steve Lacy. Quando mi sono imbattuto nella pagina web della rediviva Ictus Records—etichetta fondata e diretta da Andrea stesso, ho deciso di scrivergli una email. Fu dopo aver registrato Hommage an Klaus Kinski. Ad Andrea era piaciuto quel che avevo fatto con Perry, e suggerì di costituire un trio con lui. Abbiamo fatto una breve tournée sulla East Coast che è stato registrata, prodotta e pubblicata da Andrea stesso. Il mio modo di suonare il piano in questo album è abbastanza introverso, ma credo che sia l'album ideale per apprezzare il talento criminalmente sottovalutato di Perry, nonché l'abilità compositiva di Andrea, che è noto soprattutto per la sua musica completamente improvvisata in compagnia di Derek Bailey, John Zorn, Evan Parker eccetera.

AAJ: Hai pubblicato An die Musik (Soul Note, 2008), che contiene improvvisazioni in duo e trio con Alan Munshower (percussioni) e Badal Roy (tabla). La metodologia stilistica è molto diversa dagli altri tuoi lavori. La musica completamente improvvisata contiene melodie armoniose con un forte senso di tonalità. Forse è la tua risposta più diretta agli assoli di piano improvvisati di Keith Jarrett, oltre a suggerire influenze di world music e una certa somiglianza con la musica del gruppo Oregon e di Pat Metheny. Quali eventi ti hanno portato a realizzare questo disco?

N.S.: Tra tutti i miei lavori che sono stati pubblicati, credo che questo album rappresenti l'essenza del mio approccio alla musica completamente improvvisata, che è improntato sulla melodia. Qualche anno fa, era il 2006, ho ricevuto con piacere una email dal grande Giovanni Bonandrini. In precedenza gli avevo inviato alcune mie registrazioni, compresa una sessione totalmente improvvisata che avevo registrato in duo con Alan a Washington DC nel Gennaio del 2005. Giovanni mi rispose che era rimasto molto colpito da quella performance e che avrebbe voluto pubblicarla per la Soul Note. Ma purtroppo la qualità del suono non era sufficiente per una release ufficiale. Quindi Giovanni mi chiese di ri-registrare il materiale. Trattandosi di musica completamente improvvisata non fu ovviamente possibile replicare esattamente la stessa performance, ma organizzai comunque due sessioni di registrazione dal vivo al club An die Musik di Baltimora. In una delle due sessioni, il maestro di tabla Badal Roy ha suonato con Alan e me. Conoscevo Badal e la sua musica grazie alle sue collaborazioni con Miles Davis, John McLaughlin e Perry Robinson. Ero convinto che il groove che Badal sa ricavare dalla sua tabla si sarebbe sposato alla perfezione con il tocco molto sensibile di Alan alle percussioni. Ero davvero elettrizzato dal fatto che Badal avesse accettato di suonare con noi. Era la prima volta che Alan ed io suonavamo con Badal, ma trovammo velocemente l'intesa necessaria.

AAJ: È appena uscito il tuo nuovo album, Confusion Bleue (Soul Note, 2010). Hai esplorato una nuova dimensione in questo disco. L'improvvisazione rivela i tuoi caratteri distintivi, come la melodia armoniosa, la coesione strutturale e le caleidoscopiche variazioni, ma evidenzia una maggiore presenza di elementi free che danno una grande energia. Da dove derivano?

N.S.: Dopo l'esperienza di musica "chamber-free" e introversa di Hommage an Klaus Kinski e il melodico An die Musik, ho voluto fare un disco più energico, più apertamente di avanguardia. E ciò ha influito sulla scelta dei membri per questo nuovo progetto. In Hommage an Klaus Kinski Lee Pembleton palesava nel suo suonare l'influenza della musique concrète, mentre in questo disco volevo evidenziare il suo aspetto legato alla noise music. Mi sono avvalso nuovamente della versatilità di Ross Bonadonna, specialmente per quanto riguarda il suo estro alla chitarra, che è presente in tutto l'album. Quanto a Ray Sage, la sua propulsione ritmica è quasi inavvicinabile quando si tratta di suonare free e per il suo impeto può essere paragonato, secondo me, ai più grandi maestri, quali Elvin Jones, Rashied Ali e Andrew Cyrille. E nonostante io preferisca escludere il basso quando mi dedico a musica completamente improvvisata—in modo da lasciare aperta ogni via armonica, ho comunque chiesto a Tyler Goodwin di essere dei nostri al contrabbasso, perché ha un orecchio straordinario ed è capace di reazioni armoniche repentine.

E sebbene abbia voluto basare il disco sull'energia, ho voluto anche infondervi il maggior numero possibile di elementi e di stili musicali, in particolar modo l'aspetto melodico, le invenzioni tonali, la coesione strutturale nel contesto della musica free. Volevo infondere colore nella musica. E per questo motivo ho improvvisato non solo con il piano acustico, ma anche con un piano elettrico Wurlitzer e con un glockenspiel. Sono proprio soddisfatto del risultato, e davvero contento che molti critici dicano bene di questo disco.

AAJ: Anche se utilizzi un bel numero di costruzioni musicali free, la tua musica completamente improvvisata sembra quasi basarsi su qualcosa di pre-composto, per via dei forti motivi melodici, delle progressioni armoniche tonali e dei cambi ritmici ben definiti. C'è qualcosa di preparato?

N.S.: Voglio prima di tutto precisare che la mia musica completamente improvvisata non si basa su alcuna pre-composizione, inclusi i motivi melodici. Se mi si può ascrivere uno speciale talento musicale, si tratta sicuramente della capacità di creare melodie armoniose. I motivi melodici che improvviso o che compongo spontaneamente sono molto armoniosi—qualcuno mi suggerisce anche di riutilizzare queste melodie come materiale per composizioni. E in effetti molte delle mie creazioni sono nate da composizioni spontanee. Ma se dico che la performance è completamente improvvisata, allora vuol dire che non c'è nulla di pre-composto, che non ho usato neanche uno "schizzo." E mi aspetto che lo stesso valga anche per gli altri membri del gruppo.

Quando mi cimento in improvvisazioni in gruppo, c'è un minimo di preparazione per delineare a grandi linee una direzione dell'improvvisazione ed evitare così il caos disorganizzato—che è il contrario del caos organizzato—cioè il caos musicale, garantendo un obiettivo, l'energia e la tensione. La scelta degli improvvisatori più appropriati per una data ambientazione musicale—in altre parole, il piano di lavoro—è un aspetto di questa preparazione. In un lavoro di gruppo, soprattutto se implica un'improvvisazione collettiva, l'armonia tra i diversi musicisti è un fattore estremamente critico. Se c'è poca armonia, l'improvvisazione cessa di avere una direzione definita, e la musica che ne risulta non avrà un obiettivo chiaro, mancheranno energia e tensione. Quindi è importante avere un piano di lavoro che indichi la direzione, e scegliere gli esecutori di conseguenza.

Se l'improvvisazione coinvolge un gruppo ristretto di musicisti, sarà sufficiente che ognuno sappia ascoltare gli altri ed essere versatile—una dote fondamentale per chiunque si cimenti con l'improvvisazione, per far sì che la performance prenda una direzione chiara spontaneamente. Ma in caso di formazioni più numerose, sono solito fornire qualche indicazione, anche se molto semplice, prima di ogni improvvisazione collettiva. Ad esempio, dico qualcosa tipo "facciamo la prossima improvvisazione in modalità chamber-free" o "cominciamo con un duo di chitarra e batteria," eccetera. Ciò perché un'improvvisazione collettiva eseguita da un gruppo numeroso, specie se si è in quattro o più, rischia di diventare ben presto caos disorganizzato. Ma non do mai istruzioni più specifiche del tipo "cominciamo in chiave di mi con un ritmo funk".

AAJ: Come detto, le tue improvvisazioni spaziano in molti generi musicali differenti, il che è inusuale quando si tratta di musica completamente improvvisata. Allo stesso tempo, riesci a infondere la tua peculiare identità musicale in ognuna delle tue performance, a prescindere da chi ti accompagna, dall'ambientazione, eccetera. Come fai?

N.S.: Per aumentare le chances di ottenere un risultato chiaro e un'organizzazione coesa—il che include il caos organizzato nelle improvvisazioni di gruppo, mi pongo spesso come leader e direttore d'orchestra. In quest'ottica, il mio approccio all'improvvisazione collettiva non si può certo definire democratico né liberale. Riesco a farlo poiché il piano è per sua natura uno strumento dominante—praticamente è uno strumento che riesce da solo a gestire le tre caratteristiche fondamentali (tradizionali) della musica, cioè melodia, armonia e ritmo.

Ma ripeto, il segreto è la spontaneità che garantisce libertà musicale in ogni contesto. Perciò entro i limiti di una data direzione e del contesto, ogni improvvisatore è libero di esplorare. Inoltre cerco di essere elastico nella mia conduzione; di essere aperto alle idee degli altri membri. Quindi è vero, le mie improvvisazioni di gruppo non sono improvvisazioni collettive democratiche, ma sono comunque il prodotto di uno sforzo collettivo.

AAJ: Dove poni il confine tra struttura e improvvisazione?

Da sinistra: Nobu Stowe, Alan Munshower, Badal Roy

munshoN.S.: La ricerca di un approccio inclusivo è una scelta tutto sommato conscia, ma il processo di separazione tra ciò che è tradizionale (struttura, melodia, armonia tonale) e ciò che è non convenzionale (esplorazione di sonorità, ritmi free e atonalità) è per lo più inconscio. E questo processo di separazione è strettamente legato al fatto di suonare insieme ed è influenzato dal carattere musicale di ognuno dei musicisti in quella particolare situazione. E, sebbene io cerchi apposta la tensione che deriva dal miscelare i motivi tematici strutturali e le esplorazioni di sonorità free, lascio che la spontaneità decida il peso da dare a ciascuna delle due componenti.

AAJ: Alcuni ravvisano nel tuo modo di suonare forti richiami alle improvvisazioni di Keith Jarrett. Tu cosa ne pensi?

N.S.: Devo riconoscere che Keith Jarrett è stata la mia più grande fonte di ispirazione, specialmente nei miei lavori orientati al Jazz e all'improvvisazione. Le parole che ho usato all'inizio dell'intervista per descrivere la mia musica caratterizzano perfettamente anche la musica di Keith. Però devo dire che mi cimentavo in improvvisazioni totali anche prima di scoprire la musica di Keith al college. Ho dei vecchi nastri che testimoniano le mie improvvisazioni totali già ai tempi delle elementari. Naturalmente allora non conoscevo il concetto di improvvisazione, e non improvvisavo coscientemente, direi che componevo spontaneamente. E infatti, come ho già detto, la spontaneità è alla base di buona parte delle mie composizioni originali. Voglio dire che gli elementi che costituiscono una composizione, come la melodia, le strutture armoniche fondamentali e i motivi ritmici, mi vengono così, spontaneamente—come se fossero già state composte.

Le melodie armoniose sono in effetti gli elementi meglio riconoscibili nella musica di Keith e nella mia. Ma credo che il mio senso della melodia e dell'armonia sia abbastanza diverso dal suo. Non sono un virtuoso del piano come Keith, ma al contempo non ne sembro una brutta copia, avendo qualcosa di originale, di mio, da esprimere. Ciò detto, non conosco altri musicisti che applichino questo tipo di approccio altamente melodico alla musica completamente improvvisata a parte Keith e me. Mi vengono in mente altri due pianisti, Stefano Battaglia and Richie Beirach. Mi riferisco ai loro album in duo, rispettivamente Omen (Splasc(H), 2007) con Pierre Favre, e Tidal Wave (3D, 2004), con Masahiko Togashi. A proposito, secondo me Togashi è il più grande improvvisatore Giapponese.

AAJ: In ognuno dei tuoi album completamente improvvisati, c'è comunque sempre un 'classico.' Ad esempio, c'è una interpretazione avvincente e per nulla ortodossa di "Blue in Green" in Confusion Bleue. Ce ne racconti la genesi?

N.S.: Credo che sia l'improvvisazione sia la composizione si basino sul medesimo processo creativo. Secondo me, la spontaneità è il primo e più importante fattore in qualunque esecuzione, completamente improvvisata o meno. Voglio dire che il modo di suonare è inevitabilmente legato a svariati fattori: i propri limiti come musicista, il proprio percorso personale, gli strumenti utilizzati, gli altri membri del gruppo, il tempo e il luogo di esecuzione, eccetera. Questi fattori sono presenti sia in caso di musica basata su composizione sia in caso di musica completamente improvvisata. Quindi l'improvvisazione, sia essa basata sulla composizione o meno, non porta automaticamente alla libertà musicale, ma molti improvvisatori sembrano aver rimosso, o semplicemente ignorano, questo fatto. La verità è che se si riesce ad essere spontanei, si riesce a raggiungere la libertà musicale in qualunque genere musicale e in qualunque contesto. Da un certo punto di vista, eseguire un classico del Jazz è un ottima palestra per migliorare la propria spontaneità e per suonare free.

Per questi motivi sono orgoglioso della mia interpretazione di "Blue in Green" nell'album Confusion Bleue. Per la prima volta sono riuscito a registrare quella che è la mia visione di un classico—interplay spontaneo nel rispetto della melodia e della struttura complessiva. E sono felice di dire che questo brano è stato recentemente giudicato come una tra le 10 migliori interpretazioni di un classico del Jazz dalla rivista Spagnola Toma Jazz.

La mia composizione originale "Pochi" è inclusa nell'album An die Musik ed è dedicata al mio defunto gatto. Trovai Pochi davanti al mio vecchio appartamento a Berkeley e lo portai con me a Chicago, e poi anche a Baltimora. Tra tutte le mie composizioni è quella che preferisco, e sono stato felice di pubblicarla ufficialmente prima che Pochi morisse—è morto di cancro a 17 anni, il 2 Settembre 2008, circa 3 mesi dopo l'uscita di An die Musik. In origine l'avevo scritta per un trio di pianoforte—un altro mio progetto, cui Giovanni Bonandrini teneva moltissimo. La versione presente in An die Musik è in realtà una versione ridotta. Spero di pubblicarne la versione integrale a breve.

Nel primo anniversario della sua scomparsa, precisamente il primo Settembre 2009, ho eseguito "Pochi" in duo con il grande Achille Succi al festival Jazz di Sant'Anna Arresi, in Sardegna. Achille ha una vena molto lirica e melodica, ma ha anche un carattere progressive e free, combinazione rara ed invidiabile. Ho cominciato a frequentare Achille dietro suggerimento del critico di AllAboutJazz Budd Kopman qualche anno fa. Achille è ancora poco noto negli Stati Uniti, ma credo davvero che il suo caleidoscopico talento meriti una maggiore considerazione.

AAJ: Parliamo della tua formazione: musica e psicologia di ricerca; cosa sono per te, una specie di stile di vita yin-yang?

N.S.: Non direi, poiché sia la musica sia la scienza condividono la medesima l'essenza, vale a dire la creatività. Il fondamento della scienza è la deduzione logica, ma senza un'idea creativa, un'intuizione, la logica porta a "vuoto intellettuale..." proprio come gli esercizi di teoria in musica—una procedura logica che porta allo stesso risultato vuoto senza la melodia; gli elementi intuitivi della musica.

AAJ: Sei anche un collaboratore della rivista Giapponese Jazz Tokyo. Ci racconti qualcosa di questa rivista e della tua esperienza di giornalista Jazz?

N.S.: Jazz Tokyo è la pubblicazione online più di spicco in Giappone. La rivista è stata fondata da Kenny Inaoka per parlare di Jazz e non solo, soprattutto per far conoscere le etichette indipendenti di tutto il mondo che pubblicano musica creativa ma che non hanno le risorse finanziarie per promuoversi efficacemente.

Inaoka è il direttore responsabile, ed è anche un famoso produttore in Giappone—noto soprattutto per il suo lavoro di produttore per la Trio Records, che è un'etichetta specializzata in Jazz fondata nei primi anni Settanta dalla Kenwood. Ma ha anche lavorato per altre etichette, incluse la Why Not, la ECM e la Sony. È stato il produttore di molti jazzisti famosi, quali Al Haig, Elvin Jones, Don Cherry, Anita O'Day, Jack DeJohnette, Masahiko Togashi, Masabumi Kikuchi e molti altri. Ha anche prodotto la colonna sonora di Keith Jarrett per il video Nihon Sora Kara No Oudan ("Japan from the Sky"). Si tratta di una performance completamente improvvisata di Keith e di suo figlio Gabriel alle percussioni.

Nel 2007 ho cominciato a collaborare con Jazz Tokyo invitato da Inaoka, e ho scritto recensioni di CD, ho intervistato i miei idoli, tra i quali Keith Jarrett, Michel Legrand, Gary Peacock, Paul Bley, Bill Frisell, Marilyn Crispell e Chico Hamilton.

AAJ: E a proposito del catalogo della ECM appena pubblicato in Giappone?

N.S.: Si tratta del primo catalogo completo dei dischi della ECM al mondo. Il curatore è Kenny Inaoka, che ha gestito la distribuzione della ECM in Giappone tramite la Kenwood. E sono onorato di essere uno degli autori che ha contribuito. Il catalogo include tutti gli album ufficiali oltre ai dischi promozionali, gli EP, gli LP, i CD e i DVD pubblicati dalla ECM e dalla sua consociata JAPO tra il 1969 e il 2010. Le copertine degli album sono tutte riprodotte a colori, e le note di accompagnamento sono in Giapponese. Ma tutte le altre informazioni, come i titoli degli album, quelli dei brani e i nomi dei musicisti sono in Inglese. Quindi il catalogo è fruibile anche da appassionati non Giapponesi.

In origine la pubblicazione del catalogo era prevista per il 2009, per celebrare il quarantesimo anniversario della etichetta Tedesca, ma in realtà è stato pubblicato il 13 Luglio 2010 dalla Kirara Sha attraverso la Kawade Shobou.

AAJ: Progetti per il futuro?

N.S.: Ho alcune registrazioni pronte per la pubblicazione. Una performance completamente improvvisata eseguita nel Gennaio 2009 con Lee Pembleton, Achille Succi, Alan Munshower e Daniel Barbiero. Daniel è un contrabbassista molto attivo nell'effervescente panorama dell'improvvisazione di Washington D.C. È un esecutore sensibile dal tono dolce e buon conoscitore della musica classica contemporanea. Credo che questa registrazione sia l'esempio più maturo ed equilibrato del mio approccio globale alla musica completamente improvvisata, e spero che sia pubblicata al più presto. L'album si intitolerà L'Albero delle Meduse, [in Italiano, N.d.T.] e c'è un aneddoto simpatico dietro la scelta del titolo.

C'è poi un'altra registrazione con Lee Pembleton, Ross Bonadonna e Jason Bivins. Jason è professore associato di Filosofia e Studi Religiosi All'Università del North Carolina. Scrive articoli sul Jazz per diverse pubblicazioni, tra le quali Cadence, Paris Transatlantic e Dusted Magazine, ed è anche un chitarrista molto estroso, il cui stile ricorda Keith Rowe e Derek Bailey. L'idea originaria era di far una cosa tipo "un incontro tra gli AMM e Jarrett." Di solito sono contrario alla post-produzione della musica completamente improvvisata, a parte il semplice mixaggio. Ma in questo caso abbiamo fatto un'eccezione e abbiamo usato una post-produzione abbastanza sofisticata per arrivare ad ottenere la colonna sonora virtuale del racconto del 1927 di H.P. Lovecraft "La ricerca fantastica dello sconosciuto Kadath." La musica sarà accompagnata da illustrazioni realizzate da Honyo Ohte (chi altri?) ispirate al racconto.

A Febbraio di quest'anno ho partecipato, con Achille Succi e Daniel Barbiero, ad una sessione di registrazione condotta da Andrea Centazzo e con noi c'era anche il fantastico trombettista Dave Ballou. Abbiamo suonato e improvvisato, basandoci su una partitura di Andrea. Andrea sta ora curando la post-produzione, per cui spero che anche questo disco sia presto in uscita.

Al momento sono concentrato sul trio di improvvisazione totale con Achille Succi e con il leggendario percussionista Barry Altschul. A seguito della nostra performance in duo al festival Jazz di Sant'Anna Arresi, in Sardegna, Achille ed io abbiamo deciso di formare un gruppo stabile e siamo davvero eccitati che Barry sia con noi. La parola d'ordine di questo trio è versatilità, e spero che riusciremo a coprire una vasta gamma di contesti musicali senza essere costretti nei confini della musica completamente improvvisata. Achille e Barry sono entrambi capaci di esprimere un lirismo sottile ma anche cimentarsi nell'avanguardia più aggressiva, di suonare in modo concreto e melodico ma anche di esplorare sonorità astratte, mantenendo un forte senso del ritmo e del groove nel suonare free, oltre a possedere un orecchio allenato sia per la tonalità sia per l'atonalità. Sono soprattutto spontanei, che è un fattore fondamentale qualunque musica si suoni, improvvisata o meno. Perciò Achille e Barry sono i partner ideali, a tutto tondo, sia per la musica completamente improvvisata sia per l'improvvisazione totale.

Discografia Selezionata

Nobu Stowe, Confusion Bleue (Soul Note, 2010)

Nobu Stowe, An Die Musik (Soul Note, 2008)

Nobu Stowe, Hommage an Klaus Kinski (Soul Note, 2007)

Nobu Stowe, The Soul in the Mist (Ictus, 2007)

Nobu Stowe, New York Moments (Konnex, 2007)

Nobu Stowe, Brooklyn Moments (Konnex, 2006)

Foto di Pagine 1-3, 5, 7: Agostino Mela Pagina 4: Katsuhiko Suto Pagina 6: per gentile concessione di Nobu Stowe

Traduzione di Stefano Commodaro

Articolo riprodotto per gentile concessione di All About Jazz USA


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