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Julien Pontvianne Abhra al Torrione Jazz Club di Ferrara

Julien Pontvianne Abhra al Torrione Jazz Club di Ferrara

Courtesy Sergio Cimmino

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Torrione Jazz Club
Ferrara
14.4.2023

Oltre che a Roma, Siena, Mantova, l'attuale tour di Abhra, il sestetto del compositore e tenorista francese Julien Pontvianne, ha fatto tappa anche al jazz club ferrarese. Il gruppo ha alcuni anni di vita e due CD alle spalle, anche se nel secondo, Seven Poems on Water, uscito alla fine del 2022, la formazione ha subito una piccola modifica: Adéle Viret è subentrata a Hannah Marshall al violoncello, mentre la cantante Isabel Sörling ha preso il posto di Lauren Kinsella. Gli altri quattro membri sono rimasti invariati: oltre al leader, Francesco Diodati alla chitarra, Alexandre Herer alle tastiere e Matteo Bortone al contrabbasso. Questa appunto la formazione che a Ferrara ha riproposto il progetto di Pontvianne, teso a tradurre in musica una ponderata selezione di testi poetici o letterari sul tema dell'acqua, tratta da vari autori: scritti da cui traspare una visione panica, come quelli di H. D. Thoreau o di Alessandro Baricco, ma anche le liriche di essenziale bellezza di Nazim Hikmet ed Emily Dickinson...

Lo spettro sonoro del concerto e della formazione nel suo insieme, come per altro nel disco citato, si è mosso con estrema coerenza e continuità fra lente, meditative evoluzioni, ora dolenti ora più serene, senza sussulti ritmici, dirottamenti, cambi di direzione inaspettati... Il canto di Isabel Sörling, svedese ma francese d'adozione, ha interpretato i testi, tutti in inglese, con un'emissione diafana, pensosa, dai risvolti intimisti, prevalentemente sul registro medio-alto. La modulazione di linee melodiche descrittive, del tutto lontane da una piacevolezza smaliziata e accattivante, a tratti ha lasciato il posto a passaggi recitati con un fil di voce, quasi sussurrati fra sé e sé.

I cinque strumentisti, nessuno escluso, hanno tramato un interplay minuto, insistito, attento, realizzando un contesto armonico e timbrico decantato, estremamente equilbrato, appena increspato da anomale stratificazioni, glissando accorati e vibranti, impalpabili variazioni. In questa concezione unitaria, che non ammette alcuna deviazione eccentrica, si sono inseriti gli spazi solistici concessi ai singoli: tutti sempre brevi, trattenuti, attinenti all'estetica complessiva, mai caratterizzati da slanci lirici o da intenti virtuosistici, spesso condensati all'inizio o alla fine dei brani.

In estrema sintesi, la compenetrazione fra scrittura e improvvisazione ha generato una musica uniforme e omogenea, di stampo cameristico e lontana dai generi canonici. Hanno preso forma atmosfere sospese, sofferte, liquide ed evanescenti, che hanno trasposto appunto i testi scelti, di cui a posteriori si è rivelata fondamentale la lettura per poter apprezzare le intenzioni musicali. Un approccio personale, quello di Pontvianne, ermetico e dettato da un'introspezione psicologica, oltre che da riferimenti letterari; un atteggiamento non assimilabile alle vitali esperienze del Romanticismo o dell'Impressionismo ispirate da analoghi richiami a fenomeni naturalistici. In poche altre occasioni ci si è trovati di fronte a concerti così consapevolmente orientati, in grado di contrapporsi in modo deciso a certo sensazionalismo e facile esibizionismo che caratterizzano tanto jazz di oggi.

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