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Intervista ad Alter Ego. Conversazione con Manuel Zurria.

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Costituitosi a Roma nel 1991, Alter Ego è ospite abituale delle principali stagioni concertistiche e festival di musica contemporanea in tutto il mondo. Ciò che più caratterizza la sua attività è la costante collaborazione che ha instaurato con artisti provenienti da diverse esperienze artistiche: artisti elettronici (Deathprod, Philip Jeck, Matmos, Pan Sonic, Robin Rimbaud aka Scanner), cantanti pop (Frankie HI-NRG, John De Leo), artisti visivi (D-Fuse, Andrew Hooker, Michelangelo Pistoletto), attori (Vladimir Luxuria), interpreti (Irvine Arditti, David Moss, Neue Vocalsolisten).

Tra i compositori vanno segnalati gli stretti legami con Louis Andriessen, Gavin Bryars, Alvin Curran (prima assoluta per Alter Ego e Frankie HI-NRG al Festival delle Nazioni di Città di Castello), Philip Glass (realizzazione in prima europea di 600 Lines al festival Settembre Musica, opera inedita del 1968 concessa in esclusiva europea ad Alter Ego), Jonathan Harvey, Toshio Hosokawa, Giya Kancheli, Bernhard Lang, David Lang (in residence al 36° Festival di Nuova Consonanza), Alvin Lucier, Terry Riley (prima assoluta di The slaving wheel of meat conception per il Romaeuropa Festival e l'Accademia Nazionale Santa Cecilia con Matmos e lo stesso Riley al pianoforte), Frederic Rzewski (prima mondiale di Main Drag per la RAI Radio 3), Kaija Saariaho, Laszlo Sáry, Salvatore Sciarrino, Joji Yuasa...

Nel 2004 Alter Ego ha curato un proprio Festival dal titolo COMETODADDY all'Auditorium di Milano con ospiti internazionali e con la collaborazione dell'Orchestra Sinfonica di Milano. Nel 2005 Alter Ego ha presentato alla Biennale Musica di Venezia una nuova versione di The Sinking of the Titanic di Gavin Bryars con la partecipazione dell'autore al contrabbasso, di Philip Jeck e un video originale di Andrew Hooker. Questa nuova versione di The Sinking of the Titanic è stata incisa per la Touch Music.

Nel 2006 Alter Ego ha presentato il progetto Microwaves con il duo elettronico finlandese Pan Sonic e la collaborazione dei compositori Atli Ingolfsson, Yan Maresz, Riccardo Nova e Giovanni Verrando, co-prodotto da sei festival internazionali (Stockholm New Music, MaerzMusik, Festival Archipel, Ircam, Holland Festival, Romaeuropa Festival) e presentato in tutta Europa (Ultima Festival di Oslo, Wien Modern, Gaida Festival, Huddersfield Festival, Nous Sons a Barcellona, Taktlos a Berna, Musica Electronica Nova a Wroclaw...).

Nelle ultime stagioni Alter Ego ha avviato una regolare collaborazione con l'Auditorium Fondazione Musica per Roma e ha stabilito una consolidata collaborazione artistica con la Stradivarius con la quale si è impegnato per la realizzazione di una collana di CD monografici tra cui Philip Glass (recentemente ristampati in un doppio CD dalla storica etichetta di Glass OrangeMountainMusic), Claude Lenners, Frederic Rzewski, Nicola Sani, Salvatore Sciarrino (Esplorazione del bianco, Fiato), accolti da unanimi consensi di pubblico e critica.

Pur avendo già effettuato una intervista con gli Alter Ego (2003) abbiamo approfittato di questa occasione per una nuova e stimolante chiacchierata con Manuel Zurria.

All About Jazz Italy: Cominciamo dalla domanda più banale: cos'è per voi un ensemble?

Alter Ego: Un ensemble è un collettivo di musicisti che si unisce allo scopo di condividere un progetto. Non è necessario formare un gruppo per svolgere attività musicale, ma diventa necessario quando il progetto che si intende portare avanti assume un ruolo decisivo. Nel nostro caso l'obiettivo non è stato immediatamente chiaro ma il percorso che abbiamo fatto per delineare un'immagine coerente di Alter Ego è la somma delle esperienze che negli anni ci ha portato al punto in cui siamo oggi, che spero sarà diverso da quello in cui ci troveremo tra qualche anno. Penso sia positivo il fatto che l'immagine di un gruppo possa cambiare nel tempo, di conseguenza anche i suoi interessi e i suoi obiettivi. Il cambiamento è il sale della vita.

AAJ: Hai voglia di raccontare come, quando e dove si è formato il vostro Ensemble?

A.E.: La nostra prima riunione ha avuto luogo nel 1989 e il primo concerto di Alter Ego nel 1990 a Villa Medici a Roma (un omaggio a Jacques Ibert.... Sic!). Avevo incontrato Oscar (Pizzo) a Darmstadt nel 1986 mentre Paolo (Ravaglia) aveva già suonato con Oscar in alcune occasioni. A un certo punto abbiamo pensato di condividere le nostre esperienze e di tentare una strada insieme. Francesco (Dillon) è arrivato solo qualche anno dopo e Aldo (Campagnari) è stato l'ultimo ad aggregarsi al simpatico carro. Roma è sempre stata l'epicentro delle nostre scorribande, il luogo predestinato per le prove e la sede naturale della nostra attività.

AAJ: Quali sono le ragioni del nome che avete scelto.

A.E.: Non c'è stata una ragione precisa nella scelta del nome. Il nome è ovviamente una scelta necessaria ed obbligata, per questo, quando è giunto il momento, abbiamo portato delle proposte sul tavolo e le abbiamo votate insieme. Alter Ego ci sembrava suonasse bene e in seguito ha espresso un concetto importante del nostro fare musica insieme. Quello di essere interscambiabili ed interdipendenti, individuali ma doppi allo stesso tempo. Altri ma Eghi. C'è sempre un destino nelle scelte, che siano consapevoli o inconsce...non credi?

AAJ: Senza dubbio! I presupposti che vi hanno portato a unirvi sono gli stessi sui quali ancora oggi basate il vostro legame?

A.E.: No, direi che il tempo ha modellato i presupposti in maniera molto decisa. Ovviamente ci sono dei presupposti incontrovertibili, quali i rapporti interpersonali di amicizia e di stima che ci legano, ma quelli squisitamente estetici sono in continua mutazione... guai se non fosse così. Un gruppo a mio avviso deve essere in grado di vivere le proprie scelte con grande rischio e per fare questo ha bisogno di grande libertà e curiosità. Non significa rinnegare quello che si è fatto per qualcos'altro, dico solo che tutto fa parte di un'esperienza che cresce per accumulazione e che guida alla scoperta di nuovi progetti, nuovi territori, nuove collaborazioni.

AAJ: Per quanto riguarda il repertorio, come scegliete i brani e come lavorate per l'esecuzione...magari potete raccontarlo a partire da un progetto che avete realizzato che vi sta particolarmente a cuore.

A.E.: Questo è il punto più importante (forse anche più divertente) della nostra attività. In genere ci scambiamo molte idee, dischi, segnalazioni di nuovi compositori. Siamo in costante aggiornamento e la nostra radar-attività ci consente di amplificare, sondare e verificare le notizie che rimbalzano sul web. Internet è una garanzia di pluralità nell'informazione, ma è anche un mare così vasto che ci si può perdere se non si ha una bussola perfettamente calibrata.

L'ultimo importante progetto che abbiamo realizzato in prima esecuzione alla Philarmonie a Berlino, è un progetto che si chiama TablesAreTurned, realizzato in collaborazione con il compositore austriaco Bernhard Lang e il tableturnist Philip Jeck. Abbiamo commissionato a Bernhard un nuovo lavoro di un'ora per Alter Ego e questo progetto ha avuto un prologo quanto mai complesso. Abbiamo dovuto preparare, registrare ed incidere su vinile una serie di brani che poi Philip Jeck potesse suonare dal vivo insieme a noi.

AAJ: Che cosa vi interessa maggiormente mettere in luce della musica del Novecento? Quali sono gli aspetti sui quali voi come Ensemble ritenete di dover maggiormente lavorare?

A.E.: Direi che il Novecento offre degli spunti straordinari di approfondimento. Quello che ci interessa però è di sfruttare le opzioni del tempo presente per rendere sempre attuale il processo di sperimentazione di questi lavori. Qualche anno fa abbiamo realizzato un progetto sul Pierrot Lunaire di Arnold Schoenberg con David Moss (il celebre e acclamato vocalist). Il Pierrot è un pezzo davvero molto sperimentale che offre grandi spunti di ricerca sulla vocalità. Purtroppo l'interpretazione di questo capolavoro è stata da lungo tempo relegata al mondo dell'Accademia. La scelta di una voce maschile poi... un sacrilegio! Insomma, per farla breve, il progetto era davvero bellissimo, David aveva fatto una versione assolutamente attenta e fedele allo sprechgesang senza licenze particolari ma ricchissima di nuances e di sfumature, ma solo dopo due concerti (al Festival TransArt a Trento e a Berna), ci è arrivata una lettera dell'editore Universal che ci diffidava dal portare avanti questo progetto che non corrispondeva alle originali intenzioni di Schoenberg (pena multe salatissime). Abbiamo tentato di ragionare ma non c'è stato dialogo. Con gran divertimento ieri ho letto di un Festival tedesco che propone la Kammersymphonie n.1 con un'orchestra di vegetali (zucchine, carote etc etc)... chissà come andrà a finire a loro!

AAJ: Il suono (o meglio la ripetizione del suono) è al centro della vostra ricerca. Cosa significa?

A.E.: Il suono è il verbo, l'oggetto della nostra ricerca. Alcuni compositori come Scelsi o Cage hanno restituito al suono la sua autonomia. E' anche vero che il suono senza struttura, senza forma, non sarebbe musica. Lo stesso Cage che negava questa affermazione, si avvaleva di forme casuali (regolate per esempio dall'i-ching) o delle cosiddette brackets (una forma a pannelli temporali molto fluida ma con parametri ben organizzati). Alternativamente sarebbe il caos che è comunque una scelta.

Il free jazz per esempio, pur essendo una forma totalmente libera vive al suo interno di moduli spesso abbastanza codificati, non lo dico polemicamente, penso che sia giusto così.... La nostra esperienza sul suono più importante è sicuramente quella con Alvin Lucier, che ci ha insegnato molto sulla ricchezza del controllo del suono, sulla scoperta della fisicità dei parametri nascosti, sulla magia della sua effimera esistenza, e quella con Salvatore Sciarrino, uno dei compositori più importanti del nostro tempo, con il quale abbiamo condiviso per oltre vent'anni una pratica attenta e appassionata della sua musica.

AAJ: L'improvvisazione è una pratica del vostro fare musica insieme? Nel caso, come avviene e quanto peso ha nel vostro lavoro?

A.E.: L'improvvisazione non è una pratica costante del nostro fare musica. A volte ci è richiesto di improvvisare o di essere aperti e di andare oltre la musica scritta. Certo oggi un interprete deve essere scaltro e andare oltre la musica scritta, che non significa improvvisare, semplicemente avere la capacità di guardare oltre la pagina.

AAJ: ... e l'elettronica?

A.E.: L'elettronica è fondamentale per la nostra estetica. Oggi tutto è connesso alla tecnologia e sarebbe un delitto non avvalersi di questo bene prezioso. L'elettronica è il presente della musica, ci offre opportunità incredibili di agire con strumenti complessi per la trasformazione del suono in tempo reale con strumenti semplici ed economici. Cerchiamo di sfruttare tutto questo al massimo nella nostra attività. Vorrei ricordare che Eugenio (Vatta) è il nostro tecnico del suono (ed esperto elettronico) ed è un membro effettivo del gruppo a tutti i livelli. Il suo apporto è determinante per la riuscita dei nostri concerti.

AAJ: Vorrei tornare su due collaborazioni molto importanti per voi Matmos e Pansonic.

A.E.: Sono state due collaborazioni diverse ed entrambe importantissime per noi. Con i Matmos abbiamo realizzato un progetto su Scelsi (Pranam, al Festival Dissonanze a Roma) del quale i Matmos sono dei seguaci appassionati. Poi dopo qualche anno ci siamo incontrati nuovamente in occasione del concerto per il Festival RomaEuropa con Terry Riley e Stefano Scodanibbio [leggi una recensione del concerto a Settembre Musica 2005]. Terry ha scritto un brano originale di oltre 40 minuti per questo strano gruppo di persone (The slaving wheel of meat conception) e poi è stato davvero divertentissimo suonare insieme a loro e a Terry in C per oltre un'ora e mezza.

Il progetto con i Pan Sonic era invece molto più strutturato. Originariamente avremmo dovuto farlo con Fausto Romitelli, poi quando Fausto è venuto a mancare abbiamo deciso di metterlo via. Solo dopo abbiamo pensato che sarebbe stato bello affidare ad alcuni amici intimi di Fausto il ruolo che avrebbe avuto lui nel progetto. E' stato così che abbiamo coinvolto Riccardo Nova, Atli Ingolfsson, Yan Maresz e Giovanni Verrando. Microwaves (questo il titolo del progetto) è stato replicato almeno venti volte in alcuni tra i più importanti Festival europei (Stockholm, MaerzMusik Berlin, Auditori Barcelona, Huddersfiel UK, Geneve etc). E' stato il nostro tributo a un grande amico che è andato via troppo presto.

AAJ: Avete sempre uno sguardo attento ai generi trasversali. Penso ai lavori con Frankie HI NRG, Giuseppe Ielasi, Scanner. Come e quanto avete trasformato la vostra veste classica lavorando con loro?

A.E.: Si attenzione però. Tutti i nostri progetti "trasversali" non vogliono essere in alcun modo esempio di contaminazione. Non mi è mai piaciuta questa parola, mi ha sempre dato l'impressione di raggiro fatto per compiacere il pubblico. Ogni qual volta abbiamo deciso di coinvolgere un personaggio fuori dalle righe non è stato per compiacere ma per rispondere a un'oggettiva necessità del progetto. Frankie HI NRG ad esempio, era perfetto per Coming Together, il famoso brano di Frederic Rzewski, un vero rap ante litteram. Farlo con lui aveva un senso più attuale, più profondo, più onesto. E poi Frankie è stato davvero bravissimo a calarsi in un ruolo a lui estraneo. La nostra collaborazione ha avuto un tale successo che è stata proposta ad Alvin Curran che ne ha fatto un brano di oltre un'ora per il Festival delle Nazioni a Città di Castello (Brute Beat Brut Bruit, Museo Burri).

AAJ: Essendo All About Jazz una rivista dedicata al Jazz, quanto pensate il vostro lavoro abbia a che fare con questo genere? Che cosa vi interessa in particolare del jazz?

A.E.: Paolo (Ravaglia) è la nostra anima jazz. A parte lui, nessuno di noi ha voce in capitolo in questo genere musicale se non in veste di occasionale ascoltatore. Evan Parker è un personaggio col quale mi piacerebbe Alter Ego potesse avere un confronto o un progetto nel futuro. E Ornette Coleman, sicuramente.

AAJ: Portate avanti un lavoro teorico (letture, discussioni sulla metodologia, studi o ricerche, seminar) a livello di Ensemble oppure la formazione e la ricerca sono un percorso individuale da condividere solo in un secondo momento insieme?

A.E.: Nulla di accademicamente prestabilito. Direi che la ricerca segue dei percorsi individuali che solo in sede di prova crea le giuste interferenze.

AAJ: Nei vostri concerti eseguite autori contemporanei. Come costruite un concerto e attorno a quali aspetti puntate maggiormente?

A.E.: La scelta dei programmi è fondamentale. Serve a creare l'immagine di un gruppo. Sentiamo molto la responsabilità delle nostre proposte. E' un modo semplice e importante di fare cultura e contribuire all'interesse delle persone che ci seguono. Per questo cerchiamo sempre di non deluderle.

AAJ: Il pubblico è importante? E in che forma, dimensione, misura...?

A.E.: Il pubblico è importantissimo e non sbaglia mai. Il risultato di un progetto lo decreta sempre il pubblico e devo riconoscere che ha sempre il giusto intuito per stabilire la validità di una proposta. Sempre. Nella mia esperienza non ho mai visto fallare una sola volta il pubblico. Allo stesso tempo però dico che il pubblico va stimolato perché può essere un soggetto pigro, che tende alla pinguedine, che spesso è soddisfatto quando ha conferma delle proprie certezze. Nello stesso tempo però può essere un partner estremamente duttile e curioso e lasciarsi guidare ad esperienze nuove particolarmente eccitanti. Ho visto il pubblico in delirio per la musica di Sciarrino e Lucier, non è che si tratta proprio di robetta per tutti....

AAJ: Avete una casa discografica di riferimento?

A.E.: Abbiamo fatto molti dischi con Stradivarius, recentemente anche con Touch e God Records.

AAJ: Dal punto di vista economico, come avete provveduto fino ad ora a finanziare i vostri progetti? Quali margini di autonomia avete rispetto a chi che vi sovvenziona?

A.E.: Autonomia massima per il semplice fatto che non ci sovvenziona nessuno. I nostri progetti sono auto-finanziati. Qualche volta (come per Microwaves e per TablesAreTurned) siamo riusciti a creare un network di enti che commissionano il progetto, finanziano la commissione al compositore, ospitano il concerto nel proprio Festival e garantiscono una visibilità ed una circuitazione importantissima all'evento. Tutto questo grazie alla preziosa collaborazione di Elisabetta Longardi, nostra manager della Resia da molti anni.

AAJ: Pensate che ci sia una politica in Italia attenta agli Ensemble e/o su cosa dovrebbe sostenere realtà come la vostra la politica (locale, nazionale?)?

A.E.: Non abbiamo mai prestato grande attenzione a questo tipo di problemi. Chi fa questo tipo di lavoro deve poter volare e questo spesso significa vivere al di fuori della realtà e dei problemi contingenti. Ci sono gruppi molto abili nell'organizzazione della propria struttura e questo non può essere che un bene per la stabilità stessa dell'ensemble. Sarebbe molto bello avere aiuto e supporto dalle politiche locali o nazionali ma basta aprire un giornale per capire che i problemi sono altri. La musica (e la cultura in genere) svolgono oggi il ruolo di un edulcorante nel caffè. Qualcosa che ci alleggerisce dal peso della vita ma del quale si potrebbe tranquillamente fare a meno. Niente di più falso, ovviamente!

AAJ: C'è un modello all'estero che a voi pare vincente a cui ispirasi oppure, al contrario, come avete impostato il vostro lavoro credete che possa essere di esempio oltr'alpe?

A.E.: Vedo una grande coerenza nell'esperienza di alcuni gruppi nati negli anni settanta. Il MEV di Alvin Curran e Frederic Rzewski ad esempio, Sonic Arts Union di Lucier, Behrman, Ashley e Mumma, la Scratch Orchestra di Cornelius Cardew, il collettivo di musicisti che ha riunito a Budapest persone come Eotvos, Sary, Jeney. Attualmente non vedo prospettive entusiasmanti. Il modello francese non mi pare interessante. Molto burocratizzato e dipendente dalle scelte di un unico referente. La presenza di un compositore all'interno di un gruppo la trovo devastante. Non può fare altro che condizionare il gruppo in base alle proprie ideologie e ai propri gusti. Alter Ego è un gruppo democratico. Nessuno si fa carico di imporre le scelte. Si discute ad armi pari e si decide insieme. Non ci sono direttori artistici e comitati di lettura. Quando possiamo (quasi sempre) evitiamo anche di affidarci ad un direttore d'orchestra. La parte più stimolante di un gruppo sta nella scelta delle interpretazioni. A che scopo delegare qualcun altro per questo?

AAJ: Mi piacrebbe capire da dove parte il vostro interesse per il minimalismo e cosa oggi di questo tipo di musica, squisitamente americana, può essere ancora attuale.

A.E.: Il minimalismo ha avuto il merito di rompere gli equilibri. Fino a quel tempo c'erano gruppi classici ma con l'avvento dei minimalisti tutto è cambiato. Molti dei protagonisti del genere hanno deciso di fondare delle vere e proprie band (Glass, Reich) per suonare la propria musica. Il minimalismo ha avuto un ruolo importante nella musica degli ultimi cinquant'anni. Ha sviluppato il parametro del ritmo e della ripetizione che hanno una presenza profonda nell'animo di ciascuno di noi. Ecco perché ci sembra così naturale. Naturale come il ritmo dei nostri sensi, del nostro cuore e del respiro.

AAJ: Entrando nel merito della vostra produzione. Inizierei con Gavin Bryars e la registrazione (nonché le molte realizzazioni live) di The Sinking Of The Titanic. Quanto è diverso eseguire live quest'opera e registrarla? Che rapporto avete instaurato con Bryars?

A.E.: Abbiamo incontrato Gavin di ritorno da un nostro concerto ad Huddersfield. Siamo andati a trovarlo a casa sua vicino Londra per discutere la possibilità di fare insieme una nuova versione di The Sinking of the Titanic, un nostro vecchio sogno. L'occasione nasceva da un concerto al Teatro Malibran a Venezia per la Biennale Musica e Venezia era una sede ideale per parlare di un naufragio [leggi l'intervista effettuata nel corso della Biennale: A fondo con Gavin Bryars ].

Il progetto coinvolgeva anche Andrew L. Hooker che ha lavorato sodo per realizzare un fantastico video di accompagnamento, e Philip Jeck che ha cosparso tutto di polvere, la polvere nata dai suoi vecchi dischi e dai giradischi anni '50 che utilizza in concerto. La Touch ha pubblicato poi il disco (che è un live con Gavin al contrabbasso) che ha avuto un grande successo, tanto da essere inserito nella Top 50 della rivista Mojo tra i migliori dischi dell'anno.

AAJ: Non posso non chiedervi di Philip Glass, una pietra miliare del Novecento.

A.E.: Si certo. In quegli anni lavoravamo in un centro, Opera Paese, che aveva una sede magnifica. Un grande loft molto NYC di 1000 mq di cemento. Per questo abbiamo avuto l'idea di riproporre il concerto che Philip aveva fatto a NYC alla Cinemateque nel 1969 negli anni in cui era molto legato al mondo delle arti visive e a Richard Serra in particolare. Era un concerto molto netto e pulito, fatto e condito da elementi visivi minimali che ne garantivano una grande coerenza. Philip è stato molto generoso e prodigo di consigli sulla ricostruzione di quel lontano concerto, poi è venuto a Roma senza chiederci nulla, solo per il piacere di esserci. Un grande insegnamento. In seguito ha recuperato dal cassetto un lungo pezzo di oltre 40 minuti del 1968, 600 Lines, che aveva composto per il proprio gruppo prima di Einstein on the Beach e che metteva fine al periodo ripetitivo. Diceva che era un lavoro troppo "difficile" anche per il suoi musicisti dell'epoca e per questo lo aveva ritirato dal suo catalogo. Per noi però, fece uno strappo e ci regalò la prima esecuzione (al festival Settembre Musica a Torino).

Con Stradivarius abbiamo registrato due cd con la musica di Glass di quegli anni, tra cui anche 600 Lines. Uno dei due dischi ha vinto il prestigioso Editor's Choice di Gramophone, mentre lo stesso Glass, che aveva conservato i diritti delle registrazioni, ha deciso recentemente di ristamparli in un unico doppio cd per la Orange Mountain Music, la sua casa discografica.

AAJ: Sono curiosa di capire il vostro approccio e rapporto con Toshio Hosokawa.

A.E.: Toshio è un grande compositore e una persona di grande carisma. Un artista vero che vive profondamente il suo ruolo nel solco della sperimentazione e della tradizione culturale giapponese. Abbiamo incontrato molte volte Toshio, sia in Italia che in Giappone. L'anno scorso sono volato a Sapporo per suonare il suo Concerto per flauto e orchestra, Landscape V, al Pacific Music Festival, diretto dallo stesso Hosokawa. E' stata un'emozione indimenticabile, un pezzo davvero magnifico.

AAJ: Volevo chiedervi come ensemble quali scelte avete operato per la realizzazione di Esplorazione del Bianco di Sciarrino (incisa per Stradivarius)?

A.E.: Esplorazione del Bianco è stato il primo disco ufficiale di Alter Ego, il primo dedicato interamente alla musica di Sciarrino per Stradivarius, seguito dopo qualche anno da un secondo cd intitolato Fiato. A quel tempo era difficile convincere le case discografiche della genialità di quella musica, solo Stradivarius ci ha creduto veramente e ci ha dato fiducia. D'altra parte la musica di Salvatore Sciarrino, come tutta la grande musica di questo secolo, correva troppo velocemente perché gli altri potessero stare al suo passo. Credo che questo fosse il motivo per il quale i discografici fossero così titubanti sul valore della sua musica. Oggi fortunatamente la sua fama è così consolidata che nessuno si permetterebbe di rifiutare una sua pubblicazione, ma vent'anni fa le cose andavano molto diversamente...

AAJ: Ricorre il centenario della nascita di John Cage e il ventennale della morte. Qual è l'eredità che lascia Cage ad un esemble come il vostro?

A.E.: Quella di aprire bene le orecchie e di vivere le proprie esperienze senza timore. Senza paura e senza compromessi. Come ci ha insegnato nella sua lunga vita.

Foto di Marco Delogu (la prima e l'ottava), Roberto Masotti (la terza), Claudio Casanova (la quarta e la settima), Elisabetta Catalano (la decima).


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