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Joe Harriott: Free Form & Abstract Revisited

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Joe Harriott: Free Form & Abstract Revisited
La serie "revisited" della ezz-thetics, prodotta da Werner Uehlinger, ha raggiunto ormai un cospicuo numero di CD, tale da costituire un effettivo e riassuntivo corpo sonoro, a disposizione per ri-sistematizzare la storia del jazz d'avanguardia degli anni Sessanta del secolo scorso.

Certe edizioni però sono più importanti di altre, nel senso che meritavano sul serio una ristampa (molti titoli invece continuano ad esseere facilmente reperibili nelle edizioni originali...). È il caso di queste due opere del sassofonista Joe Harriott, Free Form e Abstract, radunate nel dischetto in questione, che tornano a illuminare il talento di questo solista e leader giamaicano mai davvero troppo considerato dalla critica specializzata.

Cresciuto a Kingston e arrivato a Londra nel 1951, Harriott si inserisce nella scena del jazz inglese con una gavetta che comprende ruoli tradizionali in diversi gruppi ma che si traduce presto in una leadership originale in grado di sintetizzare influenze afrocaraibiche e nuovi sviluppi del post-bop.

Free Form è della fine del '60 ed è inciso da un quintetto di ottimi solisti tra cui spicca il talento del batterista Phil Seaman. Il titolo dell'album prevede una musica libera da strutture ma è un po' fuorviante, dal momento che Harriott è saldamente legato alla lingua jazz degli anni Quaranta e Cinquanta, come lo era del resto anche quella di Ornette Coleman, probabile fonte di studio per il sassofonista anglo-giamaicano. La sua creatività si concentra allora nel trovare una evoluzione sensata all'eredità di Charlie Parker, che in termini solistici continua ad essere modello imprescindibile. C'è un maggior approfondimento per le orchestrazioni, in cui si percepiscono certe derivazioni da George Russell o Charles Mingus, specie nell'entusiasmo con cui si affrontano metri spezzati e nell'uso del contrappunto. I dialoghi tra Harriott e la tromba vivace di Shake Kane rimandano istintivamente a quelli tra Ornette e Don Cherry, ma la concezione ritmica del quintetto di Harriott è assai diversa, più legata a uno swing leggibile, favorito anche dall'uso del pianoforte tradizionale (Pat Smythe). Il repertorio comunque è vario e tocca molti registri espressivi, Nell'Inghilterra del tempo non molti gruppi jazz potevano vantare una tale caratura inventiva. "Parallel" e "Calypso" appaiono i brani più riusciti.

Diverso è il discorso per Abstract, inciso in due sedute (novembre 1961 e maggio 1962) Specie nella prima parte del programma ("Subject," "Shadows" la "Oleo" di Rollins), il quintetto, che vede Bobby Orr alla batteria—rimpiazzato nella seconda parte ancora da Seaman—è più incline ad abbandonare certezze ritmiche e di scrittura, avventurandosi in diverse sequenze sperimentali di notevole impatto. Down Beat diede il massimo della valutazione ad Abstract, per la prima volta ad un disco di jazz inglese. Ed in effetti la qualità degli arrangiamenti, che lasciavano ampie libertà dialogiche agli strumentisti, la sintesi tra indeterminazione e schemi preordinati, la brillantezza del solismo di Harriott (non lontano dall'acume post parkeriano di Jackie McLean), giustificavano la considerazione della critica americana.

È sempre il tempo allora di riscoprire il talento di Joe Harriott, specie ora che una nutrita scena britannica, influenzata alla grande dalla tradizione caraibica, si è imposta all'attenzione mondiale.

Album della settimana.

Track Listing

Formation; Coda; Abstract; Impression; Straight Lines; Calypso; Tempo; Subject; Shadows; Oleo; Modal; Tonal; Pictures; Idiom; Compound.

Personnel

Additional Instrumentation

Shake Keane: flugelhorn; Phil Seaman: drums (1-8, 13-16); Bobby Orr: drums (9-12); Frank Holder: bongos (9, 10).

Album information

Title: Free Form & Abstract Revisited | Year Released: 2021 | Record Label: Ezz-thetics


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