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Fano Jazz by the Sea 2023

Fano Jazz by the Sea 2023

Courtesy Andrea Rotili

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Fano Jazz by the Sea 2023
Varie sedi
Fano
22—30.7.2023

Partecipare a un festival di prestigio storico non significa soltanto ascoltare una serie più o meno coerente di concerti. Equivale anche ad immergersi in un'atmosfera cangiante ed unica, vuole dire vivere una situazione di incontro, in cui si dialoga con le persone del luogo, con gli amici, gli addetti ai lavori, i musicisti, nonché entrare in contatto con la città, con la sua cultura e la sua storia; a tale proposito è imprescindibile il confronto con la gastronomia locale. A Fano, cittadina di mare delle Marche, quasi ai confini con la Romagna, è facile realizzare tutto ciò grazie alla cordialità della sua popolazione che favorisce la comunicazione. Quanto al cibo, oltre al pesce cucinato in un'infinità di soluzioni (irrinunciabile il brodetto alla fanese), a fine pasto è imprescindibile la Moretta: un caffè corretto con una particolare miscela di liquori, a cui va aggiunta una piccola scorza di limone. La Moretta, tema su cui Adriano Pedini, direttore artistico di Fano Jazz by the Sea, potrebbe tenervi una lezione, si beve esclusivamente in questa città e varia da bar a bar, da un ristorante all'altro, diventando a volte un'esperienza inebriante, altre deludente.

Dopo questa breve introduzione di costume, veniamo ora ad un sintetico resoconto musicale, partendo dai concerti pomeridiani della serie Exodus: Gli echi della migrazione, accolti, come avviene dal 2016, nella bella Pinacoteca San Domenico. Il fisarmonicista pugliese Vince Abbracciante ha coniugato strettamente l'anima della tradizione popolare e quella colta dello strumento. Fra original, come "Pango," un tango dedicato al padre, e brani più famosi di altri autori, in primis Ennio Morricone ed Hermeto Pascoal, la sua performance ha dispiegato una tecnica e un'espressività personali e vitalistiche, raggiungendo momenti di una pienezza organistica. Il suo limite, se vogliamo, è stato quello di non aver studiato uno specifico percorso che sfruttasse l'ampia risonanza dello spazio, che è l'elemento imprescindibile e qualificante di quell'ambiente.

L'ampia gamma di strumenti non solo a percussione, a volte anomali ed etnici, che Peppe Consolmagno ha di volta in volta utilizzato, senza per altro spiccare in audaci virtuosismi, ha dato origine ad una esibizione che sarebbe risultata frammentaria e dimostrativa, se altri aspetti non fossero intervenuti ad unificare questa esposizione, costituendone la peculiarità. In primo luogo l'uso mutevole della voce, inserendo anche suggestivi armonici, ma anche una gestualità seducente nella sua morbida lentezza, oltre al coinvolgimento vocale del pubblico, da lui spesso sollecitato ad intervenire.

Nel caldo afoso della spaziosa chiesa sconsacrata sono state altre le apparizioni avvincenti e più pertinenti. Nel suo percorso musicale Mariasole De Pascali si è avvalsa dell'intera (o quasi) gamma della famiglia dei flauti, dall'ottavino al flauto basso, ricorrendo a svariati accorgimenti tecnici: la respirazione circolare, colpi delle dita sulle chiavi e soprattutto l'intelligente abbinamento fra la sonorità degli strumenti e la sua voce, aggiungendo sfumature, controcanti, accenti puntuti... La sua tecnica sofisticata ha permesso di concepire itinerari coerenti ed inventivi dal punto di vista narrativo ed espressivo, mai intellettualistici, senza escludere momenti di spontaneità intimista. Sono prevalse una pronuncia colta e una ricerca appassionata che hanno preso pieghe mistiche, rituali, austere, ma anche riferimenti etnici, come quando l'uso ritmico e acuminato della voce sul flauto basso può aver ricordato il canto di gola delle cantanti Inuit.

Altrettanto giovane e di formazione classica, la violinista milanese Virginia Sutera ha intrapreso una lunga libera improvvisazione. Come avviene nei casi più riusciti, il suo procedere ha risposto ad una logica aggregativa ed evolutiva, trasformandosi in una composizione istantanea. Esibendo un suono caldo e armonioso la Sutera ha generato un discorso continuo, prevalentemente disteso, sempre estremamente melodico, giocato su diverse dinamiche di volume, senza addentrarsi in particolari asprezze sperimentali. In un brano, abbandonato l'archetto, lo strumento è stato pizzicato come una chitarra o un mandolino, con riusciti effetti melodico-ritmici. Soprattutto, in questo percorso improvvisativo sono emerse, sviluppandole e intrecciandole, memorie personali tratte dal repertorio classico come dalla cultura popolare; erano invece praticamente assenti riferimenti alla pronuncia della tradizione jazzistica.

Considerevole anche il concerto del più attempato Dario Cecchini, fondatore e animatore dei Funk Off che dal 2017 ha iniziato ad esibirsi anche in solo-performance, esperienza già documentata su disco. La sua apparizione a San Domenico è risultata un'intima meditazione sul sax baritono, creando un flusso continuo che si è adeguato all'ampio riverbero dello spazio e ha sfruttato questa condizione come componente essenziale della struttura dell'improvvisazione stessa. Dapprima sono prevalse lente e brevi scale, lasciando risuonare e intrecciare fra loro le note finali. Poi il modo di differenziare il suono, da esili accenti a profonde e potenti note basse, e la graduale complicazione del fraseggio hanno conferito spessore e varietà al percorso sonoro. La coerente concentrazione e il notevole risultato espressivo dell'esibizione del baritonista di Vicchio sono stati siglati da una scura, spaziata e notturna versione di "Round Midnight."

I concerti serali del main stage alla Rocca Malatestiana hanno previlegiato protagonisti e gruppi stranieri, soprattutto statunitensi, testimoniando la volontà di sondare le espressioni più intriganti dell'attualità jazzistica più trasversale. La prima serata a cui ho partecipato è stata quella del quartetto di Lakecia Benjamin. Nella conduzione del repertorio, con le dediche a John e Alice Coltrane, nel modo di strutturare l'improvvisazione e di dare spazio ai partner, nei lunghi interventi verbali declamati con foga, di evidente impegno politico con la citazione di Angela Davis, nell'estroversione della presenza scenica, il concerto fanese è stato pressoché la fotocopia di quello di marzo a Bergamo Jazz; conferma questa di come viene concepito un tour internazionale da parte delle star, emergenti o consolidate che siano. Ciò nonostante, e qui sta la sorprendente, qualificante imprevedibilità del jazz, il fraseggio del contralto della leader ha preso atteggiamenti diversi: fluido, veloce, virtuosistico a Bergamo, si è soffermato maggiormente sulla rifinitura di brevi frasi insistite a Fano.

A mio parere la palma dei concerti serali va al Donny McCaslin Quartet, una delle band più compatte, unitarie e rappresentative di un jazz attuale e visionario, fortemente compromesso con un rock strumentale ed elettronico, ma anche con le cadenze caraibiche, emerse in un brano. Notevole la struttura compositiva dei brani, basata su graduali progressioni, ma anche su cambi di direzione, soste, spazi solistici, riprese dei temi... Il tenore del leader, dalla sonorità costantemente, con gradazioni diverse, riverberata dall'uso dell'elettronica, si è mosso per lo più da note lunghe e ripetute, che via via hanno iniziato ad evolvere in un crescendo lirico verso il registro acuto. La pronuncia del sassofonista e la sua leadership sono di per sé autorevoli e caratterizzanti, tanto che nei momenti in cui egli taceva il trio procedeva autonomamente, riempiendo gli spazi con trame, passaggi e protagonismi di grande efficacia. Come non definire di natura rock gli intrecciati flussi sonori creati dalle tastiere di Jason Lindner, l'insistito e variegato lavoro del morbido basso elettrico di Tim Lefebvre e soprattutto le metriche imperterrite, puntigliosissime tracciate sulle pelli e sui piatti da Nate Wood? Questi ultimi due, sostituiti nel concerto di maggio a Vicenza, hanno fatto la differenza nell'apparizione fanese, che ha rappresentato al meglio l'estetica perseguita oggi dal sassofonista californiano.

Con Theo Croker ci si è trovati di fronte ad un esponente di quel jazz nero-americano di oggi, leggermente venato di misticismo, esotismo, hip-hop e di una moderata componente elettronica, che sembra voler rinnovare la temperie dello Spiritual Jazz e l'Afro Jazz che negli anni Settanta guardava con orgoglio all'Africa, come documentato dall'etichetta Strata East e altre. Nel concerto alla Rocca la voce strumentale del trentottenne trombettista-leader ha presentato un sound rotondo e un fraseggio prevalentemente disteso, riflessivo, con inflessioni liriche ma lontane da slanci "eroici." Immancabili poi gli spazi riservati al canto, sia in una timida forma canzone, che in declamazioni rap. Molto professionale, a tratti avvincente anche se non innovativo, è risultato il contributo dei tre partner: il tastierista Ashley Henry, il bassista Eric Wheeler e Dexter Hercules alla batteria.

Se la partecipazione dell'emergente Croker si è rivelata tutto sommato deludente, in quanto non è riuscita a dare corpo e consistenza ad un nuovo progetto, più apprezzabile è stata la persistenza di una tradizione jazzistica autentica, rappresentata la sera dopo da un maestro del passato come il dinamico e simpatico settantaduenne Stanley Clarke. In un concerto dedicato alla memoria dell'amico Chick Corea, il bassista-leader non si è certo risparmiato, esprimendo il meglio di sé al contrabbasso con una tecnica ancora prodigiosa per agilità e sonorità. L'autorevole leadership di Clarke ha motivato i quattro giovani talenti che lo contornavano. Il chitarrista Colin Cook ha esposto veloci virtuosismi sia alla chitarra elettrica che in quella acustica, mentre il pianismo di Beka Gochiashvili è risultato ricco e rapsodico. Soprattutto il batterista Jeremiah Collier si è messo in evidenza: incalzante come accompagnatore, negli assoli ha espresso un drumming attuale, sensazionalistico ma pieno d'idee e d'energia. Forse più in disparte, se non in un paio di episodi, il tenorista Emilio Modeste è parso molto concentrato su un fraseggio selettivo. Inincidente infine la cantante Natasha Agrame, chiamata sul palco solo in un brano. Uno squassante bis, con il leader al basso elettrico, ha siglato un concerto che ha registrato un'ottima affluenza e successo di pubblico.

Interessanti sono state le apparizioni di due trii europei. Lo scandinavo Rymden è formato da due componenti del glorioso E.S.T., il bassista Dan Berglund e il batterista Magnus Ostrom, ai quali si è affiancato il tastierista Bugge Wesseltoft, ben noto per altre esperienze. Il contrabbasso di Berglund è emerso spesso in primo piano, insistendo su frasi semplici ma rese gonfie e magniloquenti da una mirata amplificazione, mentre il drumming di Öström, timbricamente e dinamicamente ricco, ha tracciato linee ritmiche di grande efficienza. Se in questi momenti le tastiere e l'elettronica manovrate da Wesseltoft hanno per lo più tramato un tessuto minuto di sottofondo, i ruoli si sono riequilibrati nei brani della seconda metà del concerto, in cui il trio è cresciuto in modo paritario, dando pienezza ad una comunicazione a tratti avvincente. Le diverse strutture dei brani hanno teso comunque a configurare un'atmosfera evocativa, un messaggio seducente, quasi ammaliante. Rivelatore anche il fatto che nel finale un lungo e frastagliato assolo del batterista ha addirittura ricordato le esibizioni muscolari degli esponenti della fusion classica.

Scozzese è invece l'emergente pianista Fergus McCreadie (classe 1997), il cui trio ha riservato una sorpresa molto positiva, se non esaltante, per l'equilibrio e l'autentica intensità della proposta. Acquarelli sonori, con sfumate velature più o meno marcate, sono stati dipinti dal suo pianismo teso a rendere scene del paesaggio scozzese. Sono riemerse reminiscenze dell'impressionismo musicale d'inizio Novecento, non solo francese, con l'aggiunta però di qualche insistenza minimalista alla Michael Nyman, sortendo effetti struggenti e incantatori. Il carattere melodico, ritmico e dinamico si è andato poi gradualmente inspessendo, con l'inserimento anche di un incedere motorio tipico di certe danze popolari. Le progressioni su insistite basi tematiche hanno talvolta lasciato il posto a fasi di decantazione, recuperando la meditativa serenità iniziale; il pianismo del leader si è sviluppato sempre in modo conseguente, con una diteggiatura delicata ma finalizzata con determinazione. Il suo mondo estetico si è avvalso del contributo adeguato, controllato, a tratti quasi trattenuto, del contrabbassista David Bowden e del batterista Stephen Henderson, che non hanno mai ecceduto in esorbitanti protagonismi, pur assecondando i momenti più tonici e briosi.

Seun Kuti cerca di portare avanti la tradizione rivoluzionaria del padre Fela, ereditandone anche il nome della formazione che dirige: Egypt 80, presentata come la più autentica espressione dell'Afrobeat e un'infernale macchina del ritmo. Per far funzionare questo meccanismo si ricorre a un espediente elementare: l'estrema semplicità e fissità, in ogni brano, delle frasi ripetute dai singoli strumentisti della formazione (chitarra, basso elettrico, batteria e un trio di fiati), tutti di livello tecnico piuttosto modesto. Il vero e unico mattatore sul palco è il leader, irrefrenabile nei movimenti ritmici mentre canta, suona il contralto o la tastiera, dirige i partner e danza, affiancato da due danzatrici nigeriane, contorno rituale e visivo non marginale. A questo bisogna aggiungere l'orgoglio politico di cui trasudano i testi delle sue canzoni e le concioni rivolte al pubblico. Fano Jazz by the Sea 2023 si è concluso alla Rocca con il successo scontato di questo spettacolo africano, prima di trasferirsi, come ormai tradizione, alla Golena del Furlo il 30 luglio, dove si è esibita la bassista Manou Gallo.

Tanto altro ci sarebbe da raccontare sul festival marchigiano: da ulteriori serie di concerti, a cominciare da quelli del Young Stage nel tardo pomeriggio e quelli di Round About Midnight, svoltisi al Jazz Village allestito nel Piazzale Malatesta all'esterno della Rocca, per arrivare a iniziative apparentemente secondarie ma estremamente meritorie come i Campus Musicali per bambini e ragazzi, sfociati nella sorprendente esibizione dell'Orchestra Mosaico diretta da Jean Gambini. Tutto questo per dare una pallida idea dell'organica complessità delle proposte che la manifestazione ha riversato quotidianamente nel tessuto cittadino.

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