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Fabrizio Bosso Spiritual Trio: Un Lungo Viaggio nella Musica Nera.

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Il Jazz è parte integrante della mia vita
Lo Spiritual Trio di Fabrizio Bosso è tra i progetti più interessanti del panorama jazz italiano degli ultimi dieci anni. Con estro e originalità, Bosso l'organista Alberto Marsico e il batterista Alessandro Minetto, continuano la loro personale esplorazione di brani del repertorio della musica nera tra gospel, blues e soul. Il risultato è convicente ma sopratutto coinvolgente anche per un pubblico meno ortodosso grazie alla capacità dei tre musicisti di coniugare energia e sensibilità in una produzione arrivata al terzo album, nel quale l'improvvisazione di matrice più jazzistica fa il paio con un rispetto quasi reverenziale dei temi melodici.

L'ultimo disco dal titolo Someday, che segue i lavori precedenti Spiritual del 2011 e Purple del 2013 amplia l'orizzonte interpretativo includendo canzoni appartenenti al cantautorato americano: allora ecco la tenera ballad di Carla Bley "Laws" e "Bridge Over the Troubled Water" della coppia Simon & Garfunkel in una versione anomala divisa in un'iniziale esposizione del celeberrimo tema melodico da parte Fabrizio Bosso e una parte centrale caratterizzata da un vivace funk-blues.

Evidente in tutto il lavoro l'intesa fra il trombettista e Alberto Marsico, tra i migliori organisti a livello internazionale, capace di intessere tappeti sonori, dialogare e cimentarsi in slanci improvvisativi blueseggianti mantenendo nello stesso tempo rigore tecnico e sensibilità timbrica memore dei lavori più sfaccettamente jazz-pop del grande Jimmy Smith.

Negli altri episodi del disco il mood rimane lo stesso, energico e appassionato, con evidenti richiami alla liturgia a tratti profana del gospel, tra cui spiccano il brano "Cold Duke Time" di Eddie Harris e Les McCann e gli inediti "Bernie's Toon," "Forward," "Say It Loud" e la sognante "A Lullaby."

Il climax raggiunge il suo picco massimo con la versione di "Someday We All Be Free" di Donny Hathaway in due versioni di forte impatto emotivo, una con la partecipazione del crooner italiano per eccellenza Mario Biondi e un'altra strumentale, di chiaro lirismo latino, a chiusura del disco. Fabrizio Bosso dimostra ancora una volta di essere una delle certezze del jazz italiano, un trombettista eccletico, capace di passare da collaborazioni con importanti cantanti del panorama pop a intensi lavori di sapore jazzistico con il suo quartetto gli State Of The Art mantenendo sempre e comunque un timbro ben distinguibile.

All About jazz: Festeggi il traguardo dei dieci anni di attività dello Spiritual Trio con l'uscita del vostro terzo disco dal titolo Someday. Quali sono i motivi della longevità di questo progetto?

Fabrizio Bosso: C'è un grande feeling tra noi non solo a livello musicale ma anche umano. La musica che suoniamo ci fa stare bene, ci rendiamo conto che ai concerti la gente va via felice ed intusiasta. Suoniamo musica apparentemente semplice ma l'intento del trio è stato sempre quello di lavorare sulle melodie delle canzoni che inizialmente siamo andati ad attingere dal repertorio gospel.

AAJ: Che cosa differenzia la scelta dei brani dell'album Someday dai precedenti lavori Spiritual e Purple?

FB: Nell'ultimo disco ci sono brani presi da altri mondi anche se comunque l'idea è quella di mantenere quel tipo di suono, dare importanza alla melodia, all'improvvisazione, al nostro mondo jazzistico con grande libertà. La scelta del repertorio è stata sempre mirata. Come dico spesso quando decido di suonare un brano è perchè avrei voluto scriverlo io. Per costruire una buona scaletta abbiamo scelto la musica che funzionava meglio ma senza prove; quando un gruppo è affiatato e riesce a scegliere la musica insieme non ci sono grossi problemi. Per esempio il brano "A Lullaby" mi è venuto in mente di getto, l'ho suonato, l'ho mandato via whatsapp ad Alberto Marsico dicendogli "vedi se ti esce qualche accordo interessante" e dopo dieci minuti me la rimandata registrata con la mia tromba e suoi accordi, gli ho detto "va bene la possiamo registrare, funziona..." così è nato un pezzo fra Torino e Roma senza vederci.

AAJ: Come nasce l'incontro con Alberto Marsico e Alessandro Minetto con cui dividi il progetto dello Spiritual Trio?

FB: Con Sandro facevo le mie prime jam quando avevo 17, 18 anni poi ho cominciato a viaggiare e dopo un pò di anni è nato questo invito da parte di Sandro Minetto e Alberto Marsico per fare delle improvvisazioni, abbiamo fatto un paio di concerti, ci siamo divertiti un sacco suonando degli standard e da lì è arrivato l'input da parte di Alberto che è un grande conoscitore del repertorio gospel, spiritual e della soul music. Mi ha detto "perché non proviamo ad immaginarci un disco con brani presi dalla tradizione spiritual invece che cantati li facciamo suonare dalla tua tromba"; ho accettato la sfida ed partita l'avventura che dura ormai da dieci anni.

AAJ: Nel disco troviamo una versione del brano "Someday We'll All Be Free" di Donny Hathaway con la partecipazione del crooner italiano per eccellenza Mario Biondi, in precedenza avevi avuto come ospite il giovane crooner Walter Ricci. Quali stimoli ti dà, in particolare nella situazione live, interagire con una voce aggiunta al trio?

FB: Tantissimo, lo adoro. Non a caso ho lavorato molto nel pop e quando mi capitano cose di qualità che mi danno l'opportunità di esprimermi accetto volentieri. In un concerto di pop devi andare ad affrontare i soli con un occhio di riguardo, bisogna considerare che c'è un pubblico che sta ascoltando delle canzoni, i virtuosismi vanno bene ma bisogna cercare di stare sempre dentro il contesto. Nel concerto jazz con i crooner è un'altra cosa perché quando i cantanti sono bravi oltre a cantare le canzoni possono diventare anche un secondo fiato, e lì sta l'interplay che è molto divertente e arricchisce molto il concerto.

AAJ: Hai parlato di pop, sei un trombettista che non ha paura di confrontarsi con generi diversi, hai fatto diverse collaborazioni: Sergio Cammariere, Renato Zero, Nina Zilli ed altri... con lo Spiritual trio affronti il genere soul, blues e gospel ma anche brani di Carla Bley e Paul Simon.

FB: Io nasco come musicista classico, il genere che però ho ascoltato più da piccolo è stato il jazz, sono cresciuto poi con i grandi cantautori infatti i primi passi nel mondo dell'improvvisazione li ho mossi sui dischi della Vanoni, di Gino Paoli, Tenco e Fabio Concato, era il mio svago dopo aver preparato la mia lezione da portare in conservatorio anche se già ascoltavo dischi di Louis Armstrong e Duke Ellington; è stato abbastanza naturale lavorare in altri mondi, adoro la musica brasiliana e la musica latina in generale, ho questo gruppo da molti anni il Latin Mood con Javier Girotto, poi quando faccio dischi con il mio quartetto la matrice è jazz.

AAJ: Date molta importanza all'aspetto melodico dei brani, non andate a destrutturare completamente il brano lasciando la melodia nell'esposizione espressiva delle composizioni contenute nel disco?

FB: È importante perché quando fai un brano come "A Change Is Gonna Come o Someday We'll All Be Free" devi avere rispetto della melodia perché chi la ascolta la deve riconoscere. Certo, quando la interpreti con il tuo suono e la tua intenzione diventa un qualcosa di originale, però non bisogna avere troppa paura di suonare le note della melodia. Quando si registra un disco nuovo se si vuole continuare a suonare live è importante riuscire ad avere una scaletta che tenga la tensione di quella musica che si è portata in giro fino a quel momento; c'è sempre un po' di preoccupazione ai primi concerti perché ci si chiede se questo brano funzionerà come gli altri.

AAJ: Ti dividi spesso fra lavori in studio e live, due dimensioni molto diverse tra di loro specialmente per un improvvisatore come te.

FB: Negli anni ho imparato anche a divertirmi in studio, all'inizio era un grande stress perché la registrazione rimane, ci può essere una sporcatura e devi convincere gli altri a rifarlo, però quando capisci che la take da tenere è quella cominci a divertirti. Quello che ti dà il live a livello di risposta di pubblico è impagabile, però imparare a suonare in studio con l'energia giusta è tutto per un musicista.

AAJ: Un ultimo aspetto ma non meno importante è l'iniziativa di dare la possibilità a chi partecipa ai concerti dello Spiritual Trio di effettuare un contributo per la solidarietà.

FB: Franco Nannucci, il fondatore di Music for Love, è diventato un grande amico. Essendo un appassionato di musica ha partecipato alle registrazioni del disco; avevamo già fatto delle cose insieme e quando gli ho parlato di questo disco mi ha detto che gli avrebbe fatto piacere essere dentro questa cosa. Per questo il disco ha un sapore più bello per me, importante perché aiuterà qualche persona che è meno fortunata di noi. Ho già fatto qualcosa per l'Africa quando sono stato quasi dieci anni fa in Etiopia ad inaugurare una scuola.

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