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Brad Mehldau Trio al Parco della Musica, Roma

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Brad Mehldau Trio
Parco della Musica
Roma
12.05.2018

Ogni tanto capita che un artista esca dal suo ambito di riferimento generalmente ristretto per venire esposto a un pubblico più vasto ed eterogeneo. Succede ad esempio a quei musicisti jazz che vengono "scoperti," più o meno occasionalmente, da un pubblico generico e non specializzato, approdando a una sorta di Olimpo divistico e potendosi fregiare dello status di big certificato dall'interesse mediatico impensabile fino a poco tempo prima. È quanto successo a Keith Jarrett, per una serie di motivi solo parzialmente legati alla sua musica; e, in misura minore, anche a un altro pianista come Brad Mehldau che fin dal suo esordio sulle scene, poco più che ventenne, ne era stato indicato come l'erede designato, o quanto meno uno dei più accreditati per il ruolo. Basta vedere il pubblico intervenuto numeroso per il concerto del suo trio presso l'Auditorium romano, praticamente indistinguibile da quello di una qualsiasi serata della stagione classica dell'Accademia di S. Cecilia, per rendersi conto che anche nel suo caso il richiamo del nome è maggiore di quello della musica.

Fortunatamente, l'approccio di Mehldau alla sua musica non ha risentito negativamente di questa maggior visibilità conseguita anche attraverso una serie di progetti che lo hanno avvicinato maggiormente al mondo della contemporanea (il passaggio dalla Warner Bros., sua prima etichetta che ha progressivamente eliminato il jazz dal proprio catalogo, alla Nonesuch lo ha sicuramente aiutato in questo). La musica del suo trio, attivo fin dal 1994 con Larry Grenadier al contrabbasso e inizialmente Jorge Rossy alla batteria sostituito da Jeff Ballard nel 2005, è ancora quella che ci aveva fatto scoprire con la serie di album The Art of the Trio, senza ulteriori concessioni ai gusti di una platea generalista; un mix di standard vecchi e nuovi (che includono anche cover di gruppi moderni come Beatles e Radiohead e di cantautori come Nick Drake) e composizioni originali, e che ritroviamo anche nel suo ultimo lavoro appena pubblicato, Seymour Reads the Constitution!.

La serata romana, facente parte del tour promozionale per il nuovo album, si apre con "Ode" per proseguire con il brano che dà il titolo al nuovo CD, dal quale è tratto anche il successivo "Ten Tune." Si continua con "And I Love Her" dei Beatles, poi una ballad ancora senza titolo e infine la swingante "Green M&Ms," una composizione non ancora incisa dal pianista. L'interazione tra i tre è strettissima, Ballard e Grenadier costituiscono una ritmica solidissima, non a caso utilzzata spesso anche da altri. Sono passati 70 minuti, e il trio accenna a lasciare il palco, ma il pubblico reclama il bis a gran voce. Saranno ben tre, per un'altra mezz'ora di musica all'insegna degli standard come "You and the Night and the Music" e "Tenderly," dopodiché il pianista si congeda definitivamente, non senza aver prima invitato il pubblico a incontrarlo nell'annessa libreria per firmare autografi ai fan, consacrazione del proprio status di divo.

Mehldau è sicuramente uno dei pianisti più importanti del jazz contemporaneo, con una profonda conoscenza dell'idioma jazzistico e la capacità di includere nella sua musica anche elementi estranei al jazz ricavandone nuovi stimoli. Il suo limite sta nell'approccio eccessivamente intellettuale, troppo ragionato e controllato, che gli impedisce di lasciarsi andare con la musica, mancando di provocare un vero coinvolgimento a livello emotivo. Forse è anche per questo che non ama il confronto con Bill Evans, riferimento inevitabile per tutti i pianisti venuti dopo; Evans metteva tutto se stesso senza risparmiarsi, cuore e anima, nella sua musica, anche quando il suo fisico era estremamente debilitato, mentre Mehldau dà la sensazione di pesare e calcolare ogni nota che suona evitando di caricarla di contenuti emotivi. La sua musica si può ammirare e rispettare, ma non ha il potere di commuovere come quella di chi suona col cuore anziché con la mente. Un problema comune a molti musicisti, a vari livelli, ma che sembra esasperato nel pianista americano, il che non gli ha impedito di ottenere comunque un notevole successo personale.

Foto (di repertorio): Roberto Cifarelli.

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